domenica 19 settembre 2021

Guide francesi prendevano in consegna elementi sbandati della IV armata italiana

Nizza: Piazza Massena

Nel luglio del 1943 una buona parte del Comitato di Informazione italiano e dell'O.V.R.A. [presenti in Francia] erano passati sotto il quadro dell'Intelligence Service inglese (2).
[...] Alla fine di agosto le suddette sagge misure, e notizie, permisero di allacciare contatti e tenere riunioni comuni con soldati e ufficiali italiani che, grazie anche ad una efficace e discreta propaganda, erano diventati filofrancesi ed erano arrivati a rifiutare l'atto di occupazione della Francia da parte dell'esercito italiano, strategicamente e politicamente insensato, attribuito più che altro alla follia di Mussolini e della sua cricca, ma che non era stato mai approvato dal popolo italiano. Non mancarono anche riunioni clandestine con vari membri dei partiti comunisti e socialisti (3). Dopo la capitolazione dell'8 settembre 1943 diciassette guide francesi prendevano in consegna, individualmente o a piccoli gruppi, gli elementi sbandati della IV armata italiana dissoltasi, e, oltre a curarne i feriti, li rifornivano di cibo e di abiti borghesi, accompagnandoli quindi con tutta sicurezza verso il rifugio «Nizza», situato nella regione di Tenda. Al passaggio della frontiera questi sbandati venivano presi in consegna da elementi italiani che lavoravano  in pieno accordo con i Francesi, e si cercava di convincerli a costituirsi in formazioni partigiane sia sulle alpi che sulla costa ligure, in previsione di uno sbarco delle truppe alleate.
[...]
Una seconda catena di protezioni e di aiuti agli sbandati italiani era stata costituita nelle regioni di St. Martin Vesubie, di Boreau e del colle della «Ciriegia». Messi in contatto alla frontiera con i primi elementi della Resistenza italiana, chi aveva abbandonato l'esercito veniva diretto su San Giacomo e su Entraque (4).
Tutte le suddette missioni compiute nella prima fase della lotta, vennero condotte a termine con efficacia e con poco rischio; invece quelle della seconda fase si rivelarono molto difficili e pericolose. Per sviluppare ulteriormente le informazioni militari, politiche ed economiche della parte di territorio italiano sotto il loro controllo, i resistenti francesi prendevano contatto con Lauck Albert, responsabile di collegamento con i capi del movimento «Combat», e nella zona di Ventimiglia-Grimaldi, con Vincenzo Pallanca che, durante il fascismo in Italia, era stato uno dei responsabili addetti alla protezione degli antifascisti (5).
Il Pallanca si metteva immediatamente a disposizione dei resistenti francesi e italiani con suo cognato Giovanni Raffa, proprietario di un garage a Nizza, Avenue Desambras. Ad essi si aggiungeva un certo Squarciafichi detto «Gima», Alberto Pallanca fratello di Vincenzo e suo cognato Silvestri Claudio. L'attività del Silvestri divenne di capitale importanza: infatti grazie alle sue funzioni di maresciallo dei carabinieri ed alle sue complicità con una donna guardiana delle carceri di Ventimiglia in contatto con la Resistenza francese, riuscì a far evadere parecchi partigiani francesi prigionieri.
Come è noto nel settembre del 1943 gran parte dei soldati della IV armata italiana furono catturati, maltrattati e a reparti interi fucilati dai Tedeschi. In questi frangenti difficili la catena costituita per le evasioni riusciva a mettere in salvo un altro centinaio di uomini che, dopo molte difficoltà, raggiungevano l'Italia o i «Maquis» della Resistenza francese.
Furono atti e sacrifici di sangue che consolidarono ulteriormente, in modo fraterno, l'amicizia franco-italiana.
Un episodio che ha favorito le relazioni italo-francesi è stato quello che ha avuto per protagonista Salvatore Bono comandante di una sezione della IV armata di presidio nella stazione forroviaria di Nizza: l'8 di settembre non solo non si arrese e non consegnò l'edificio alle truppe d'occupazione tedesche, ma con coraggio, autorità e sprezzo del pericolo, fece aprire il fuoco dai suoi uomini contro il nuovo nemico. Tra l'altro l'atto eroico rinforzò la volontà degli  Italiani residenti in Francia di liberarsi dal giogo nazifascista (6).
Nel gennaio del 1944 sulla costa ligure i contatti tra partigiani italiani e francesi erano già abbastanza consistenti e si cercò di rinforzarli. Tre resistenti italiani riusciranno ad infiltrarsi in seno alle formazioni repubblicane fasciste per intervento dei Francesi. Grazie a loro si stabilirono relazioni con l'insieme della costa ligure da Ventimiglia a Genova.
Un altro protagonista e fautore della fraternità d'anni tra partigiani francesi e italiani a Vallecrosia, fu il dottor Giacomo Gibelli (di cui abbiamo già parlato), residente in Camporosso, che fece la sua parte per organizzare la Resistenza imperiese. La sua attività permise di far entrare nei ranghi dell'Azione italo-francese della Resistenza i partigiani Ugo Lorenzi, Francesco Marcenaro (ex radiolettricista della Marina italiana) e Mario Lorenzi conoscitore esperto di tutti i più reconditi passaggi della frontiera delle Alpi Marittime (7).
Da parte della Resistenza francese vennero stabiliti altri contatti con due membri del Partito comunista italiano di Boves, con l'ex tenente della IV armata Nadio Pranzati e con Primo Giovanni Rocca, comandante della IX divisione garibaldina; furono prese iniziative per sviluppare ulteriormente la lotta sulla costa ligure e lungo la vallata del Roja dove i contatti erano già stati presi con i partigiani di Casterino, di Collardente e della regione di Briga-Tenda allora italiana, dove Camillo Maurando del luogo, Pierino Lanciolli di San Dalmazzo e un certo Massa avevano costituito i primi gruppi di partigiani francesi (8).
[NOTE]
(2) Da una testimonianza scritta del comandante partigiano francese Joseph Manzone detto «Joseph le Fou»
(3) Dalla testimonianza scritta succitata. Le prime riunioni si svolsero a Boves, a Borgo San Dalmazzo e a Entracque.
(4) Questa testimonianza scritta - scrive «Joseph le Fou» - è destinata a onorare la resistenza italo-francese e soprattutto a onorare gli abitanti dei paesi e delle città che hanno aiutato tanti giovani senza aver chiesto o ricevuto nessuna ricompensa e nessun riconoscimento, come Pieracci Costantino, di Nizza, ecc.
(5) Vincenzo Pallanca aveva facilitato l'evasione verso la Francia di tutti i nemici del Regime, braccati o condannati nel loro paese, dal 1929 al 1939, anni precendentì alla seconda guerra mondiale. Come vedremo nelle note che seguono,  lui e i suoi famigliari vennero sterminati dai Tedeschi il 9 dicembre 1944.
(6) Bono Salvatore, medaglia d'oro, uccide un ufficiale delle S.S. Colpito da una raffica di mitra mentre lancia una bomba a mano, viene ricoverato dilaniato nell'ospedale di Nizza in gravissime condizioni. Vedi: Secchia Pietro, Enciclopedia dell'Antifascismo e della Resistenza - Edit. La Pietra, Milano, 1968, Vol. I, pag. 329
(7) In una sua testimonianza il partigiano Francesco Marcenaro scrive quanto segue: « .. Uno dei tanti episodi della guerra partigiana sconosciuto ai più, è quello vissuto da Ugo Lorenzi, Mario Lorenzi e Francesco Marcenaro, che, dopo  gli avvenimenti dell'8 settembre 1943, si erano trovati nella zona tra Ventimiglia e il confine francese. Soli e con il solo scopo di contribuire alla lotta di liberazione, dopo un lungo peregrinare per sottrarsi alle rappresaglie  tedesche e dopo una fuga da una casa di Grimaldi dove erano stati accerchiati, con grande coraggio tentarono l'impossibile attaccando per primi con bombe a mano le truppe che effettuavano l'accerchiamento, creando un disorientamento tale da poter evadere dalla casa saltando da una finestra. Oltre ai succitati, nella casa si trovavano dei giovanissimi ragazzi: Alberto Lorenzi, Oreste Tarabusi ed Enrico Tarabusi; quest'ultimo venne poi preso da una pattuglia mentre tentava di raggiungere Ventimiglia, e si deve al suo coraggio, nel negare di essere a conoscenza del fatto, se le famiglie dei protagonisti della lotta non subirono rappresaglie. Mentre i giovani rientravano a Ventimiglia, i tre succitati raggiungevano un rifugio, sul limite del confine, di proprietà  di Antonio Lorenzi e  del fratello Alberto. Questi erano già in contatto con Vincenzo Pallanca e con Giovanni Raffa garagista di Nizza. Vagliate le conseguenze dell'episodio passarono il confine e raggiunsero le formazioni partigiane francesi comandate da «Joseph le fou». Ai suoi ordini parteciparono a numerose azioni di sabotaggio ed attuarono molti collegamenti via terra e via mare con le forze italiane  di liberazione come testimoniano i documenti rilasciati dalle Autorità militari franco-alleate... ».
(8) Dalla testimonianza scritta di «Joseph le Fou».

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

Scontri avvennero a Villafranca e a Mentone, con perdite fra il personale della Marina. Il 9 settembre [1943] caddero a Mentone il sottocapo infermiere Mario Acquisti e il cannoniere Armando Alvino.
Ammiraglio Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale, Anno XXIX, 2015, Editore Ministero della Difesa

All’inizio del ‘44 tutta la Costa Azzurra fu teatro di una serie di attentati, sabotaggi, esecuzioni di fascisti e collaborazionisti, che trovarono anche il sostegno della popolazione francese locale.
Gli italiani non erano organizzati solamente nella Moi, ma anche in maquis che al Sud erano appunto a maggioranza italiana, come fu quello dell’“Albarea”, località nei pressi del paese di Sospel, nelle alture sopra a Mentone, divenuto celebre per il sacrificio di tutta la formazione <44.
Ftp, Moi e milizie golliste collaborarono in un’azione accorata per l’insurrezione di Nizza, che fu programmata dai resistenti il 28 agosto ‘44, forzando i piani degli Alleati che erano fermi al di là del fiume Var. Tra i principali organizzatori dei partigiani italiani della Moi vi fu Ernesto Marabotto, quilianese d’origine, emigrato all’inizio degli anni Venti, che militò a stretto contatto con la nipote Alba, attivissima nella logistica e nella lotta armata <45. Nel settembre ’44, mentre continuava l’impegno degli italiani sul campo francese contro i tedeschi, sulle Alpi di frontiera fu costituito un corpo di volontari, italiani immigrati in Francia ed ex soldati della IV Armata, cui si unirono partigiani piemontesi sconfinati oltralpe, guidati dal celebre comandante giellista Dante Livio Bianco: il “battaglione dell’Alta Tinea” <46.
"Mio papà [Ernesto Marabotto] faceva parte del Cln, era in collegamento con il Consolato [...], non c’erano più i soliti fascisti, i soliti impiegati, era collegato con Belvedere, e lì tutti partigiani italiani, vicino alla frontiera italiana, e gli italiani erano passati dalla frontiera italiana, lì c’era il fior fiore dei partigiani italiani, c’era Nuto Revelli, un nostro grande amico […], c’erano tutti quelli di Cuneo, poi noi alla liberazione siamo andati a Cuneo, siamo stati ricevuti da questa gente, da Nuto, che erano gente agiata, siamo stati una settimana […] erano tutti ufficiali che erano passati in Francia <47.
[NOTE]
44. Benoît Gaziello, Le maquis franco-italien de L’Albarea et le drame de Sospel, Douments-Témoignages-Recherche, Musée de la Résistance Azuréenne, in http://resistance.azur.free.fr.
45. Intervista a Georgette Marabotto cit. Archivio Musée de la Résistance Azuréenne: Carte de combattant volontaire de la résistance délivrée à M.me Marabotto épousée Durand Alba Josephine; BH1II4-4: Général de la Division Olleris commandant la IX Région Militaire à Alba Astegiani Durand, Marseille 10/02/1947: attribution de la Croix de Guerre avec étoile de bronze; BH1II4-5: Décoration avec référence au titre de la résistance: Alba Durand, 15/03/1954; BH1II4-6: Rapport de Alba Durand sur Liban et Matelot Dubois. Secondo le informazioni riportatemi dal gestore dell’archivio Jean-Louis Panicacci, Alba Marabotto, nata a Vado Ligure in provincia di Savona il 9/03/1919, fu militante combattente della resistenza francese e dal febbraio 1945 sedette al Comité Départemental de Libération.
46. Tombaccini, Storia dei fuoriusciti cit.; Ead., «Gli antifascisti nelle Alpes-Maritimes» cit., pp. 288-293.
47. Intervista a Georgette Marabotto cit.

Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista in Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, Anno accademico 2014-2015

Copia del documento Garin-Comboul relativo a Joseph Manzone (vedere traduzione infra)

Io sottoscritto, Garin, Jean, Xavier, Léon, tenente colonnello della Riserva, già incaricato della missione di prima classe D.G.E.R. [n.d.r.: Direzione Generale di Studio e di Ricerca] (con base a Nizza), Cavaliere della Legione d'Onore, attesto volentieri che il Gruppo del Capitano MANZONE, detto "Joseph le Fou", ha compiuto diverse missioni, sovente pericolose, in Italia, sia attraverso la frontiera che su imbarcazioni.
Anche per l'azione di questo Gruppo la Resistenza ed i Servizi di informazione hanno potuto avere eccellenti contatti in territorio nemico e conseguire preziose informazioni.
Jean Garin
Il Comandante Raymond Comboul, Commendatore della Legione d'Onore, capo dipartimentale Alpi Marittime per i C.F.L.N. (Corpi Franchi della Liberazione Nazionale) è completamente d'accordo sui termini della presente attestazione.
Raymond Comboul
Nizza, 22 giugno 1967
Documento francese, Archivio SHAT - Service historique de l'armée de terre -, copia di Giuseppe Mac Fiorucci, autore di Gruppo Sbarchi VallecrosiaIstituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia < Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM) >, 2007
 
Attestazione - scritta finita la guerra - del comandante partigiano piemontese Rocca e rilasciata a Joseph Manzone

L’Avv. Giordanengo, invece, ha ricordato le dichiarazioni di Francesco Marcenaro che si trovava quella tragica notte nei pressi dell’Hotel Vittoria e aveva sentito gli spari dell’eccidio.
Il Marcenaro ha consegnato alla Polizia Giudiziaria la Relazione sull’accaduto redatta dal Comandante Joseph MANZONI responsabile della “Missione Alleata” per la zona di confine Italia - Francia il quale attribuisce la responsabilità della strage a una pattuglia tedesca delle SS inviata da due repubblichini.
Tribunale Militare di Torino, ufficio del G.U.P., sentenza del 15 maggio 2000, sulla responsabilità di Goering e Geiger per la fucilazione il 7 dicembre 1944 davanti all’Albergo “Vittoria” in frazione Grimaldi del Comune di Ventimiglia (Fonte: http://www.diritto2000.it)

lunedì 23 agosto 2021

La donna, trovata colpevole di spionaggio, fu fucilata


Uno scorcio di Pigna (IM)

Da Pigna giungevano continuamente notizie di un certo sergente dell'esercito, scoperta spia e delatore dei tedeschi e dei fascisti. Si vedeva spesso tra marzo e aprile 1944 in un certo bar. Sembrava che lì avesse organizzato un centro di spionaggio. Il fatto seccava naturalmente ai partigiani, dava fastidio che, impunemente, un tizio allo scoperto, agisse con tanta baldanza.
Vitò ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] mi dice:
"Allora decisi di andare io a Pigna ad informarmi ed a esplorare. Raccolsi molte voci e seppi che molti di Pigna erano accusati di fascismo. Ne avevo un nutrito elenco. Però volevo accertarmi di che tipo di fascismo si trattasse. In Italia moltissimi dovevano essere fascisti per bisogno di  lavoro, per commercio, per non essere perseguitati e vessati. Il fascista, solo perchè era fascista non era da perseguitarsi. Volevo accertare se al termine fascista si aggiungesse qualche aggettivo, come spia, delatore, informatore, staffetta, combattente.
Incaricai Fragola-Doria [Armando Izzo] di andare a prelevare quelli che più erano indiziati. Ne portò alla Goletta 13 legati insieme con una corda. Era una donna che li accusava formalmente e citava alcuni dati incontestabili. Era l'amante del  sergente spia di Pigna che poi fu fucilato. Era vedova di un maresciallo dell'esercito che lei diceva essere stato ucciso dai partigiani. Questo non mi risultava.
Instaurammo un processo. Era presente Fragola-Doria, avvocato, che avrebbe potuto imbastire meglio la causa. Non ho pensato a questa possibilità. Non avevo nemmeno tempo perchè era giunto un avviso che c'era un rastrellamento in atto.
Non potevamo sapere con precisione se le accuse erano fondate o no. Condannare degli innocenti non era affatto mio intendimento. Capisco che facemmo le cose con una certa premura. Era un po' crudele, ma pure bisognava agire. Quella  donna accusava senza sosta e sempre più accanitamente.
Accusava con precisi riferimenti di luoghi e di persone. Gli accusati ammettevano di essere fascisti, o almeno di avere la tessera del fascismo per ragioni di lavoro, ma affermavano che non erano spie e che non intendevano danneggiare nessuno. Pensavo che tra i tredici qualcuno era spia, ma non potevo condannarlo senza prove. Fingemmo delle esecuzioni iniziando da quelli che mi parevano i più innocenti. Si condannava uno, gli si faceva firmare una dichiarazione, e lo si  portava in luogo discosto da quello del processo. Dietro un cespuglio i partigiani, da me istruiti, sparavano, fingendo una fucilazione e costringevano quello a sdraiarsi con la farsa di essere sepolto.
Dal luogo del processo si vedeva la terra smossa e si mettevano le sue scarpe in vista. Ognuno le vedeva".
Raccontare ora è niente, non si prova nessuna emozione, ma vivere quei momenti nella realtà, produceva una sensazione di  angoscia e, diciamolo pure, di spavento.
Nessuno dei tredici si seppe difendere veramente e con alibi precisi dall'accusa di spie, dicevano che erano iscritti al fascio ma null'altro. Terminate le finte esecuzioni, rimaneva da processare la donna accusatrice. Certamente l'unica che poteva essere accusata di spionaggio.
Aveva fatto capire che era soddisfatta delle esecuzioni e non riusciva a nascondere la gioia di essere stata vendicata. Ma il suo senso di esultanza cessò quando Vitò ordinò di ripresentare al tavolo del processo  gli uomini  che  in  realtà non erano stati fucilati. La donna rimase confusa, spaventata. Interrogata nuovamente non seppe dire il perchè aveva accusato quegli innocenti. Nel suo cuore allignava odio e disprezzo per l'altrui felicità.
I rivivi, che avevano scampato la vita, si accanirono contro la donna accusandola di ogni azione vile contro molte persone di Pigna. Era avvilita che il suo amante fosse stato ucciso come suo marito. Si vendicava cercando il male altrui. I finti fucilati avevano avuto uno choc nervoso deprimente, ma alla vista dell'accusatrice ora sotto accusa, tentarono di scagliarsi addosso.
Vitò evitò il linciaggio.
"Voi siete dei semplici cittadini e non potete sostituirvi alla legge, sia pure di guerra. In questo momento sono io il giudice".
I poveretti, estenuati dalle forti emozioni manifestavano un collasso preoccupante. Bisognava assisterli. Il vento della morte aveva colpito i loro corpi e li aveva quasi raggelati.
Vitò offrì a tutti del cognac perchè si riprendessero.
"Quanto mi rincresceva vedere il mio cognac consumarsi! Era per me e per i miei uomini una fonte sicura di rianimazione nei momenti di depressione. Non avevo altro ed era difficile poterne procurare. Credo che quei fortunati scampati alla morte si ricorderanno ancora ora del mio cognac".
La donna, trovata colpevole di spionaggio, amante del sergente spia, fu fucilata. Il ricordo del fatto fece pronunciare a Vitò: "Io mi sentivo un combattente e non un giudice. Pregai il Comando di Divisione di togliermi quell'attributo e di darlo ad altri.
«L'umanissimo Vitò», diceva Erven [Bruno Luppi].
don Ermando MichelettoLa V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni (Dal Diario di “Domino nero” - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

[n.d.r.: Paolo Veziano, nel libro cit. infra, da cui qui si traggono brani pertinenti, fornisce ulteriori dati, tra cui nome e cognome, di questa donna, delatrice dei partigiani]

Anna Grillo, proprietaria dell'Albergo Viaggiatori di Pigna, fu arrestata - circostanza non casuale - il 2 settembre, giorno dell'arresto di "Fuoco", perché considerata un'attiva spia. Due giorni dopo ammise di essere in contatto con l'agente Golia dell'Ufficio Politico Investigativo (UPI), al quale trasmetteva i nominativi di persone sospettate di appartenere a bande partigiane. Dichiarò di avere fornito notizie in merito al partigiano "Tommaso" sul quale pendeva una taglia di £. 25.000. <138
Su suggerimento di Golia in marzo, servendosi di un pretesto, si era spinta sulle colline circostanti per conscere la dislocazione delle formazioni.
Rivelò infine il suo numero di matricola dell'ufficio al quale apparteneva: Z74.
Anna Grillo fu giustiziata il 4 settembre alle ore 11.00. < 139
Nel capitolo Il processo ai tredici di Pigna Ermando Micheletto impiega una testimonianza di "Ivano" ["Vitò"] per svelare i retroscena della drammatica vicenda di un gruppo di persone tra le quali una donna che risponde certamente al nome di Anna Grillo.
138 Archivio ISRECIM, Sezione I, cart. L128, Servizio SIM V brigata a SIM divisionale, Relazione sull'interrogatorio e sull'esecuzione di Anna Grillo.
139 Ibidem

Paolo Veziano, Giustizia partigiana in La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020, pp. 126,127
 
[ nd.r.: tra i lavori di Paolo Veziano si segnalano: Paolo Veziano, Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, ed. Fusta, 2014; Paolo Veziano, Sanremo. Una nuova comunità ebraica nell'Italia fascista. 1937-1945, Diabasis, 2007; Paolo Veziano, Ombre di confine: l'emigrazione clandestina degli ebrei stranieri dalla Riviera dei fiori verso la Costa azzurra, 1938-1940, Alzani, 2001 ] 

lunedì 19 luglio 2021

La strage nazifascista del Gordale


All'alba del 3 dicembre 1944, ebbe inizio il rastrellamento a monte Gordale, dove i tedeschi sapevano esservi partigiani alloggiati e riforniti di viveri dalla popolazione di Castelvittorio. Nel corso di uno scontro a fuoco un sottufficiale della GNR rimane ferito, per altre fonti invece morì, si tratta del maresciallo Salvatore Salvagni di Dolceacqua. La reazione fu immediata e si abbatté spietata ed inesorabile sui contadini. Le porte vennero sfondate, gli occupanti radunati. La rappresaglia si palesò nelle sue forme più tragiche in località Gordale, dove furono fucilati quattordici uomini di cui solamente tre in età per essere sospettati di far parte della Resistenza, mentre gli altri undici erano più che quarantenni. Nello stesso momento una famiglia di quattro persone, tra cui una bimba di due anni, veniva arsa viva nella propria abitazione, sempre in località Gordale. Due giorni dopo altri due uomini vennero fucilati in paese. Secondo Armando Izzo Fragola la reazione nazifascista scattò violenta perché il partigiano Fulvio Vicari Lilli, o meglio la sua fidanzata, aveva sparato una raffica di mitra verso un gruppo di tedeschi e fascisti.
Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016
 
[ n.d.r.: Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]

Uno dei fatti più orrendi, solo secondo a quello di Torre Paponi, accade il 3 dicembre 1944 nell'alta Val Nervia, quando duecento uomini combattenti Tedeschi, bersaglieri e brigatisti neri, provenienti da Dolceacqua raggiungono il paese di Castelvittorio per rastrellare la zona.
Dal giorno che un reparto tedesco si era insidiato nell'abitato (8 ottobre 1944) la popolazione, benchè costretta a subire continue violenze, aveva fatto capire da quali sentimenti era animata. Ai lavori di fortificazione e di costruzione di trinceramenti, che i Tedeschi imponevano, spesso non si presentava nessuno o solo pochi comandati.
I Castellesi non avevano timore di tenere occultati nelle proprie case di campagna i partigiani, con pericolo della vita.
La collaborazione con le forze partigiane, invece di affievolirsi, si faceva più solidale, anche se il rischio era maggiore.
Si taceva e si lavorava per la Resistenza. Il nemico lo sapeva e tacciava di “banditi” tutti gli abitanti ed attendeva il giorno della sanguinosa vendetta. Non bastavano più le vessazioni quotidiane, i giorni di terrore trascorsi dagli uomini trattenuti come ostaggi nelle celle della posticcia prigione locale.
Appunto il 3 dicembre si presenta l'occasione per la rappresaglia. All'alba, iniziato il rastrellamento a monte Gordale, dove i tedeschi sapevano esservi partigiani alloggiati e riforniti di viveri dalla popolazione di Castelvittorio, si accende una sparatoria durante la quale un sottufficiale nemico rimane ferito.
La reazione è immediata e si abbatte spietata ed inesorabile sui contadini. Le porte vengono sfondate, i barbari entrano con impeto e ferocia nelle case, strappano gli uomini dai loro letti senza dare alcuna spiegazione, urlano solo “alles Kaput” (tutti a morte).
Gli uomini e le donne capiscono che è la fine: stringendo i denti e muti, come sanno essere i contadini delle aspre montagne liguri nei momenti terribili, vanno avanti nella direzione indicata loro dai carnefici. Cinque minuti dopo giunge l'ordine di fucilare i diciannove catturati: dieci in un luogo e nove in un altro.
La sentenza viene impartita, come poi ha riferito un Tedesco, dall'ufficiale Von Katen, aiutante maggiore del battaglione, con queste precise parole: “la terza compagnia, che ha avuto un ferito, ha l'onore di fucilare dieci civili”. A trecento metri di distanza viene ripetuta la stesa sentenza per gli altri nove condannati.
Prima dell'esecuzione, a tutti viene promessa salva la vita se avessero svelato l'ubicazione del rifugio partigiano, dal quale erano partite le fucilate, ma nessuno parla.
Anche le madri e le mogli rimaste nei casolari vicino odono e capiscono, ma non parlano, non dicono niente che possa danneggiare i partigiani. Lunghe raffiche di mitragliatori “Mayerling” abbattono i diciannove condannati i cui corpi rimangono sparpagliati per le “fasce” ed i cespugli. Tra questi una madre e due ragazze, falciate a bruciapelo, colpevoli di essersi scagliate con veemenza contro coloro che stavano per uccidere marito e padre.
Seguono saccheggi e rapine.
Emilio Allavena e Giovanni Orengo (Tumelin) emergono ancora di più da questo eccidio senza pari in Val Nervia.
La lezione che il nemico vuole impartire al paese non è ancora finita: ai due suddetti, accusati di aver rifornito i garibaldini, viene riservata la fucilazione da eseguirsi sulla pubblica piazza del paese.
Mentre la popolazione è a monte Gordale a raccogliere i propri famigliari trucidati, un tribunale improvvisato pronuncia la sentenza di morte.
Anche questi due contadini dimostrano al nemico ed ai compaesani di quale sangue freddo si può essere capaci. Nessuna disperazione ma calma assoluta, e vanno alla morte.
È il 5 di dicembre quando una scarica di mitra nel petto dei due padri di famiglia chiude la settimana più terribile che la storia del paese ricordi.

Così ancora una volta, dopo il 3 di luglio (sette trucidati), il 19 e il 29 di agosto, il 2 di settembre, il 5 e il 10 di ottobre, i Castellesi versano il loro sangue per la libertà.

Vittime del 3 dicembre 1944:
Allavena Eugenio Giovanni di Giacomo nato a Castelvittorio il 21-8-1923
Allavena  Filiberto  di  Giacomo                  "                              21-8-1923
Balbis  Mario  di  Giovanni                          "                               8-12-1902
Moro  Remo fu Giuseppe                             "                               25-4-1913
Orengo Giacomo fu Francesco                     "                              25-7-1884
Orengo Giuseppe  fu Francesco                   "                               15-11-1892
Orengo Giobatta  fu Giacomo                      "                               10-10-1894
Orengo  Luigi di  Luigi                                 "                               1-12-1903
Orengo Luigi fu Giacomo
Orengo Maria Caterina
Orengo  Maria  Caterina di Luigi                "                                25-11-1915
Orengo Giovanna Caterina                          "                               di  anni due
Pastor  Ludovico fu Giacomo                      "                                31-10-1905
Peverello Giuseppe fu Giovanni                  "                                 19-3-1902
Rebaudo  Stefano fu Giacomo                      "                                31-8-1894
Rebaudo Giuseppe fu Giacomo                    "                              25-11-1885
Rebaudo Giovanni fu Giacomo                   "                                 3-12-1887
Rebaudo  Giovanni fu Luigi                        "                               17-11-1907
Rebaudo  Stefano di  Luigi                          "                                   3.2.1902

Vittime del  5 dicembre 1944:
Allavena  Emilio fu Giacomo                        "                                17-8-1908
Orengo  Giovanni fu Bartolomeo                   "                              15-5-1890

Il 16 di dicembre muore a Castelvittorio anche il garibaldino Giuseppe Caviglia (Sorcio) fu Giacomo, nato nel Comune il 24-5-1892, a seguito di malattia contratta in servizio.
Dopo qualche mese i Tedeschi se ne andranno ma non dimenticheranno Castelvittorio.
Durante due rastrellamenti catturano altri giovani che vengono seviziati per far loro confessare di appartenere a bande di partigiani: ancora omertà assoluta, è la loro salvezza. Chi ammette di aver fatto parte di bande perché arruolato per forza è passato per le armi. Alcuni vengono arruolati nelle forze repubblichine. Fuggiranno alla prima occasione.
In un successivo rastrellamento, Revello Maggiorino e Rebaudo Primolino, catturati in paese con altri giovani, pagheranno con la vita per aver appartenuto alle formazioni. Traditi da spie, saranno condotti prima a Pigna per subire interrogatori, quindi a Latte [Frazione di Ventimiglia] dove verranno fucilati il 14-3-1945.

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

venerdì 18 giugno 2021

Ettore Renacci, martire della Resistenza

Ettore Renacci
 
Verso la fine del '42 alcuni antifascisti di Bordighera, o ivi residenti, che precedentemente svolgevano un'attività contro il fascismo non coordinata, si riuniscono, e formano un gruppo organizzato. Fra questi antifascisti Tommaso Frontero allaccia il gruppo al PCI di Sanremo e prende contatto con i comunisti sanremesi Luigi Nuvoloni, Umberto Farina, Alfredo Rovelli. Ai primi del '43 si crea in Bordighera il comitato comunista di settore, con a capo Tommaso Frontero, Ettore Renacci e Angelo Schiva. In seguito a queste persone si aggiunsero altre, fra cui Charles Alborno, Siffredo Alborno, Pippo Alborno, l'architetto Mario Alborno (che prese poi il nome di battaglia Cecof), Renzo Rossi. Dopo il 25 luglio 1943 il gruppo entra in contatto con altri antifascisti di Bordighera, fra i quali Renato Brunati, indipendente. Al gruppo si aggregano nuovi elementi.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
 
Bordighera (IM)

Ettore Renacci, Tommaso Frontero e Angelo Schiva facevano parte di un gruppo comunista formatosi già all'inizio del 1943 in Bordighera. Nel dicembre dello stesso anno, tale gruppo assunse la denominazione di «Comitato Comunista di Settore» e si unì ad elementi di altre correnti e partiti antifascisti. In seguito all'attività comune fu creato il CLN di Bordighera per la lotta resistenziale ma la rete clandestina venne scoperta e sgominata. Frontero e Renacci furono arrestati nelle rispettive abitazioni verso le 8 del 23 maggio 1944. Subirono maltrattamenti e furono condotti a Imperia: se ne decise la fucilazione per il 25 maggio. Ma la Gestapo li considerava elementi troppo preziosi e cercò di indurli a rivelare notizie utili sull'organizzazione antifascista. Frontero e Renacci raggiunsero quindi le carceri di Marassi e, nel giugno, fecero parte di un gruppo di 59 prigionieri trasferiti da Genova a Fossoli per mezzo di camion. A Fossoli il Renacci venne fucilato ed il Frontero inviato nei Lager in Germania.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, p. 571
 
Ettore Renacci: nato a Bordighera (IM) il 6 gennaio 1907, residente a Bordighera, calzolaio, coniugato con Maria Gatto, partigiano. Dopo l’8 settembre 1943 organizza il CLN nella sua zona e indirizza i renitenti alla leva fascista tra le file della Resistenza. Arrestato a Bordighera il 23 maggio 1944, viene condotto prima a Imperia e poi a Genova; fra il 6 e il 9 giugno 1944 giunge al Campo di Fossoli, dove riceve la matricola 1455. Viene fucilato al Poligono di Tiro di Cibeno il 12 luglio 1944 ed è riconosciuto dalla cognata e da un conoscente.
Daniel Degli Esposti, Episodio del Poligono del Cibeno, Fossoli, Carpi, 12.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Ettore Renacci, di anni 37, calzolaio, coniugato. Nato il 6 gennaio 1907 a Bordighera (IM) e ivi residente. Convinto antifascista, già all’inizio del 1942 aderì al Comitato di settore del Partito comunista del luogo. Dopo l’8 settembre 1943 operò per organizzare la fuga di soldati sbandati verso la montagna. Insieme a Tommaso Frontero, animatore della sezione locale del PCI, costituì il CLN cittadino. Ettore funse da coordinatore tra questa organizzazione e le formazioni partigiane in montagna. Esponente anche del gruppo filorepubblicano "Italia Nuova", risultava incluso nella lista nera dei fascisti di Bordighera. Ciononostante, il 23 maggio 1944 fu arrestato per caso, in quanto si imbatté sulle scale dell’abitazione di Frontero nei militi giunti per perquisirla. Recluso nelle carceri di Imperia, fu sottoposto a violenti interrogatori durante i quali non rivelò nulla sull’organizzazione clandestina. Destinato alla fucilazione, fu momentaneamente tratto in salvo dall’intervento della Gestapo che lo trasferì, insieme agli altri compagni catturati nel corso della retata, alle prigioni di Marassi nella sezione destinata ai detenuti politici. Dopo nuovi interrogatori questi prigionieri furono tutti inviati all’inizio di giugno 1944 al campo di Fossoli. I suoi compagni furono poi deportati a Mauthausen, mentre Renacci fu fucilato il 12 luglio al poligono di tiro di Cibeno, insieme ad altri 66 internati politici. La condanna fu motivata come rappresaglia per un attentato partigiano compiuto a Genova.
[...]   La strage nazista del 12 luglio 1944 compiuta al poligono di Cibeno presenta ancora molti aspetti oscuri e di difficile lettura. Le ricostruzioni di quell’evento concordano comunque sul fatto che alle vittime, tutti prigionieri politici internati al campo di Fossoli a Carpi (Mo), fu letta la sentenza di condanna a morte, motivata come rappresaglia per un attentato a Genova. Alle 4 del mattino del 12 luglio 1944, 71 prigionieri politici, selezionati la sera prima formalmente per partire per la Germania, furono fatti uscire dalla baracca in cui avevano alloggiato la notte. Renato Carenini fu escluso, Teresio Olivelli riuscì a nascondersi mentre un primo gruppo di 20 prigionieri venne condotto al poligono di tiro. Quando il secondo gruppo di 25 persone giunse al poligono, Mario Fasoli ed Eugenio Jemina si resero conto del pericolo e innescarono una ribellione durante la quale riuscirono a fuggire. I restanti ribelli furono uccisi sul posto dalla guardia russa del campo. Dopodiché i 24 componenti del terzo gruppo partirono dal campo ammanettati per essere fucilati al poligono dove i corpi venivano gettati insieme agli altri in una fossa comune scavata precedentemente da ebrei del campo. 67 furono i prigionieri politici coinvolti nella strage: Achille Andrea, Alagna Vincenzo, Arosio Enrico, Baletti Emilio, Balzarini Bruno, Barbera Giovanni, Bellino Vincenzo, Bertaccini Edo, Bertoni Giovanni, Biagini Primo, Bianchi Carlo, Bona Marcello, Brenna Ferdinando, Broglio Luigi Alberto, Caglio Francesco, Ten. Carioni Emanuele, Carlini Davide, Cavallari Brenno, Celada Ernesto, Ciceri Lino, Cocquio Alfonso Marco, Colombo Antonio, Colombo Bruno, Culin Roberto, Dal Pozzo Manfredo, Dall’Asta Ettore, De Grandi Carlo, Di Pietro Armando, Dolla Enzo, Col. Ferrighi Luigi, Frigerio Luigi, Fugazza Alberto Antonio, Gambacorti Passerini Antonio, Ghelfi Walter, Giovanelli Emanuele, Guarenti Davide, Ingeme Antonio, Kulczycki Sas Jerzj, Lacerra Felice, Lari Pietro, Levrino Michele, Liberti Bruno, Luraghi Luigi, Mancini Renato, Manzi Antonio, Col. Marini Gino, Marsilio Nilo, Martinelli Arturo, Mazzoli Armando, Messa Ernesto, Minonzio Franco, Molari Rino, Montini Gino, Mormino Pietro, Palmero Giuseppe, Col. Panceri Ubaldo, Pasut Arturo, Pompilio Cesare, Pozzoli Mario, Prina Carlo, Renacci Ettore, Gen. Robolotti Giuseppe, Tassinati Corrado, Col. Tirale Napoleone, Trebsé Milan, Vercesi Galileo, Vercesi Luigi.

Lettera di Ettore Renacci alla cognata, scritta in data 11-07-1944
Cara Lina, come già ti dissi domani parto per dove non si sa, ma probabilmente per la Germania, mi raccomando torna subito a casa ed a Mariuccia cerca di dirlo in modo che non si impressioni; se mi sarà possibile scriverò subito in modo di farvi avere mie notizie. State tranquille, fatevi buona compagnia e pensatemi come vi penso io. [...] Come ti ripeto spero di andare in posto da poterci stare bene, sembra che pure gli altri dovranno partire.
Tantissimi baci a Mariuccia e a te un grosso bacio e grazie di quanto hai fatto. Torna subito a casa mi raccomando fatevi coraggio e fate tutto bene.
Tanti saluti e baci alla famiglia telef. a tutti gli amici che spero presto poterli vedere.
Tanti baci a Teresa - Pina - Lucia Mamma che la penso sempre.
Torna subito a casa e state bene, pregate per me e fatevi coraggio.
Baci a tutti
Ettore

Enrica Cavina, Ettore Renacci, Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana
 
[...] Ettore Renacci viene arrestato per caso, anche se il suo nome era stato segnalato da due delatori ed era quindi nella lista nera: si imbatte sulle scale di casa di Frontero, coi militi che vanno a perquisirne l'abitazione la mattina del 23 maggio 1944.
Tradotto in carcere e brutalmente interrogato, è destinato alla fucilazione coi compagni arrestati nella stessa retata, dopo un sommario processo. Li salva, per il momento, l’intervento della Gestapo che reclama per sé i condannati e li trasferisce al carcere di Marassi, 4a sezione politici, per nuovi interrogatori. Poi, per tutti, Fossoli.
Renacci finisce a Cibeno. Gli altri a Mauthausen, da cui torna vivo solo Frontero.
Nel 1984 fu inviata da Sanremo al sindaco di Carpi una busta con le fotocopie di due lettere scritte da Ettore Renacci a Fossoli. Precisa il biglietto di accompagnamento: "La lettera recante il n. 2 fu lanciata dal Renacci legata ad una pietra attraverso la recinzione, ma ricadde entro il campo stesso, il repubblichino di guardia, che la raccolse, la vendette alla cognata del Renacci <1 cui era destinata, per la somma di Lit. 14.000 dell’epoca, un anno o più di lavoro".
La lettera, senza busta e senza data, è evidentemente l’ultimo messaggio. La cognata Lina, sorella della moglie, era fra i numerosi parenti di internati presenti a Fossoli in quei giorni
[...]
La vedova si fa viva, per noi, solo nel 1997, quando scrive al sindaco di Carpi:
"[...] Nei giorni scorsi venne da me il comandante dei carabinieri locale, perché dalla Spezia avevano richiesto notizie e documenti riguardanti il campo di Fossoli e di tutti quelli che erano stati nel campo, ma di tutto il gruppo numeroso di Bordighera e Ventimiglia i superstiti sono solo due. Tutto quello richiestomi su mio marito Ettore Renacci lo notificai al comandante dei carabinieri in loco.
Vi ringrazio ma non chiedetemi altro.
Oramai ad 83 anni ho dimenticato
Distinti saluti
Gatto Maria
"
<1 Ettore Renacci, di anni 37, nato il 6 gennaio 1907 a Bordighera, ivi residente, calzolaio, coniugato con Gatto Maria.
Arrestato a Bordighera il 23 maggio 1944, incarcerato prima a Imperia, poi a Genova, quindi trasferito a Fossoli tra il 6 e il 9 giugno, matricola campo 1455. Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 8, fu riconosciuto dalla cognata Carmelina Gatto e da un conoscente.

Anna Maria Ori, Carla Bianchi Iacono, Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, Comune di Carpi (MO), Fondazione ex Campo Fossoli, Edizioni APM, 2004

[ n.d.r.: nella relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti di cui alla legge n. 107 del 2003, trasmessa alle Presidenze delle Camere il 9 febbraio 2006, la figura di Ettore Renacci viene ricordata nel seguente modo:  "Imputati: Ignoti militari tedeschi - Delitto previsto dagli art. 185, 2° comma, e 211 c.p.m.g. - Parte lesa: Renacci Ettore - ECCIDIO DI FOSSOLI ABBINATO AL FASCICOLI RG 2 - INVIATO ALL’AMBASCIATA DI GERMANIA - Archiviato dal Gip della Procura della Repubblica presso il Tribunale Militare di La Spezia (p. 27 del doc. 86/0)"  ]

mercoledì 12 maggio 2021

In Provincia il campo fu istituito a Vallecrosia


Il campo di concentramento provinciale di Imperia sorse in località Vallecrosia, nei locali di una ex caserma militare Gaf. Fu aperto il 21 gennaio 1944 per accogliere ebrei, familiari di renitenti alla leva, fermati politici non responsabili di reati e fu chiuso a metà luglio [n.d.r.: nella relazione - vedere infra - del Questore repubblichino di Imperia si dice: 11 settembre 1944] per timore di attacchi partigiani.
A quella data, però, i circa 40 ebrei lì internati erano già stati trasferiti al carcere genovese di Marassi a inizio febbraio 1944 e consegnati alle autorità germaniche.
Cornelio Galas, Lager per Ebrei in Italia..., TeleVignole, 13 settembre 2016
 
Nel corso del 1944, nuovi campi furono aperti a Pian di Coreglia (Genova), Vallecrosia (Imperia), Celle Ligure (Savona) e Cortemaggiore (Piacenza), portando la capienza delle strutture d’internamento della Rsi a oltre 8000 posti.
Carlo Spartaco Capogreco, Lager, totalitarismo, modernità, Bruno Mondadori, Milano 2002 

Dal Commissariato di P.S. di Ventimiglia, reggente il campo di transito di Vallecrosia,  al Comando GNR di Ventimiglia. 28 febbraio 1944. Richiesta di trasferimento al campo di concentramento di Fossoli di due detenute ebree. Fonte: I campi fascisti

Dal Commissariato di P.S. di Ventimiglia alla Direzione del campo di concentramento di Fossoli. 2 marzo 1944. Segnalazione di imminente trasferimento di 5 detenute ebree. Fonte: I campi fascisti

Il campo di Vallecrosia era una caserma destinata agli internati civili di guerra.
I detenuti francesi potevano uscire un'ora al giorno nel cortile della caserma.
[...] Ogni giorno venivano richiesti dei volontari per scavare bombe inesplose. Questo lavoro poteva essere considerato non solo pericoloso, ma anche incompatibile con la situazione di prigionieri [di guerra]. Quando non si trovavano abbastanza volontari, i lavoratori venivano designati d'ufficio e i poliziotti li scortavano e li sorvegliavano sui luoghi di lavoro.
Questa caserma era molto vicina ad un'altra caserma, sede di "camice nere".
Gli allarmi per attacchi dall'aria e dal mare furono molto frequenti giorno e notte.
Non venne mai approntato alcun riparo: in caso di allarme ai poliziotti sembrava sufficiente fare scendere i detenuti al piano terra.
Questo campo venne evacuato - trasferendo i detenuti ad Imperia - il 20 luglio 1944 nell'imminenza di un colpo di mano, di cui aveva avuto sentore il Commissario di Polizia di Ventimiglia, che dovevano effettuare i partigiani.
Ricondotti a Vallecrosia il 23 agosto 1944, i prigionieri francesi furono portati il 4 settembre 1944 di notte dalle S.S. al carcere di Marassi a Genova e messi a disposizione del comando S.D.
Ministero francese dei combattenti e delle vittime della guerra (ACVG), Elenco e rapporto su campi e carceri italiani, 24 maggio 1949. Fonte: International Tracing Service ITS, Bad Arolsen
 
Bartoli Ivo: nato a Buti (Pi) il 24 agosto 1924, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo.
Interrogatorio del 26.6.1945: Nei primi di gennaio del 1944 fui rastrellato in via Vittorio di Sanremo, nel caffè Iris, da agenti di polizia e internato nel campo di concentramento di Vallecrosia. Qui ci venne fatta la proposta di arruolarci nelle forze armate repubblicane o di andare a lavorare in Germania. Decisi di arruolarmi nel Battaglione Italiani all’Estero di stanza a Taggia. Dopo alcuni giorni venni trasferito a Genova ed incorporato nel Comando Marina dove rimasi fino al mese di luglio quando disertai tornandomene a casa [...]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019
 
Fonte: AS GE cit. infra

Capo Provincia Genova
4 144 TF I 1715. Capi province libere Genova Imperia Savona Spezia  
N° 5 comunicasi per immediata esecuzione la seguente ordinanza di Polizia che dovrà essere applicata in tutto il territorio di codesta Provincia:
1° Tutti gli ebrei anche se discriminati a qualunque nazionalità appartengano e comunque residenti nel territorio Nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili ed immobili devono essere sottoposti ad immediato sequestro in attesa di essere confiscati nello interesse della Repubblica Sociale Italiana la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche.
2° Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero in applicazione delle leggi razziali italiane vigenti il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana devono essere sottoposti a speciale vigilanza degli organi di polizia. Siano per intanto concentrati gli ebrei in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati punto Ministro Interno Buffarini.
Documento della Questura di Genova, in Archivio di Stato di Genova , Repubblica sociale italiana, 35, fasc. 10
 
 
Fonte: AS GE cit.

Ministero dell’Interno
Direzione generale della P.S.
Roma, 13 dicembre 1943 - XXII
Capi provincie non occupate
Questore Roma
E p.c. Ministero Interno
Direzione Gen. Demorazza SEDE
Oggetto: Ebrei
Si ripete per lettera il telegramma circolare n. 442/57460 in data 10 corrente:
“In applicazione recenti disposizioni, ebrei stranieri devono essere assegnati tutti at campi concentramento. Uguale provvedimento deve essere adottato per ebrei puri italiani, esclusi malati gravi et vecchi oltre anni settanta. Sunt per ora esclusi i misti et le famiglie miste salvo adeguate misure vigilanza”.
Pel capo della Polizia
Documento del Ministero dell'Interno [della Repubblica Sociale] in Archivio di Stato di Genova, Repubblica sociale italiana, 35, fasc. 10
 
Nella primavera 1943 la presenza ebraica si accrebbe grazie all’arrivo di connazionali rimpatriati dalla Francia. Completata rapidamente occupazione militare della Provincia, le unità tedesche Gestapo e SS avevano visionato gli elenchi degli ebrei residenti. Ottenuta anche l’indispensabile collaborazione della polizia italiana, furono in grado di scatenare una lunga e spietata caccia all’ebreo già sperimentata altrove.
La stagione del terrore ebbe inizio il 18 novembre 1943 a Bordighera con l’arresto dei tre membri della famiglia Hassan. Nella tragica notte tra il 25 e 26 novembre, uomini delle SS e agenti della polizia italiana operarono una grande retata. Vi incapparono trentacinque ebrei che furono arrestati a Ventimiglia, Bordighera e San Remo. Furono rinchiusi nelle carceri di San Remo ed Imperia e trasferiti successivamente a Genova. Il 5 dicembre 1943 il Ministro dell’interno della Repubblica Sociale italiana ordinava che «tutti gli ebrei, anche se discriminati fossero arrestati ed internati in appositi campi di raccolta provinciali e i loro beni mobili e immobili sottoposti ad immediato sequestro».
In Provincia il campo fu istituito a Vallecrosia, in un’area già occupata da edifici militari. Entrò in funzione nel febbraio 1944 e fu chiuso nell’agosto dello stesso anno [n.d.r.: nella relazione - vedere infra - del Questore repubblichino di Imperia si dice: 11 settembre 1944]. Nel campo furono internati soprattutto prigionieri politici, genitori dei renitenti alla leva e solamente cinque ebree arrestate a Bordighera e San Remo. Nei mesi successivi i pochi arresti operati appaiono riconducibili allo squallido fenomeno delle delazioni. Alcune famiglie, che, invece, erano riuscite fortunosamente a sottrarsi alla cattura, partirono immediatamente e si diressero con successo verso la Svizzera. Altri nuclei familiari o singoli furono nascosti e protetti da amici o conoscenti; alcuni trovarono rifugio presso istituti religiosi. Una nuova recrudescenza della caccia all’ebreo si registrò nell’aprile 1944, quando furono arrestati a San Remo cinque anziani ebrei. Tra questi figurava anche Elena Abraham che sarebbe morta in carcere ad Imperia. La stagione del terrore sarebbe terminata il mese successivo. Il bilancio degli arresti e delle deportazioni in questa Provincia in cui la presenza ebraica non fu mai troppo importante, è tuttavia impressionante e ammonta ad almeno 54 deportati. Solo cinque sopravvivranno all’inferno dei lager nazisti e faranno ritorno.
Paolo Veziano, La persecuzione antiebraica in provincia di Imperia (1938-1945), Amministrazione Trasparente, Provincia di Imperia
[ Altri scritti di Paolo Veziano: La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Paolo Veziano, Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, ed. Fusta, 2014; Paolo Veziano, Sanremo. Una nuova comunità ebraica nell'Italia fascista. 1937-1945, Diabasis, 2007; Paolo Veziano, Ombre di confine: l'emigrazione clandestina degli ebrei stranieri dalla Riviera dei fiori verso la Costa azzurra, 1938-1940, Alzani, 2001]
 
Campo di concentramento di Vallecrosia
Data:
28-02-1944
Ente intestario:
Repubblica sociale italiana. Commissariato PS di Ventimiglia. Campo di concentramento di Vallecrosia
Autore:
Marchetti
Qualifica:
Commissario di Polizia. Dirigente del campo
Destinatario:
Comando Guardia Nazionale Repubblicana Ventimiglia
Contenuto:
Ordine di trasferimento di due donne ebree dal campo di concentramento di Vallecrosia al campo di concentramento di Fossoli.
Luoghi citati:
Vallecrosia - Campo di concentramento RSI Fossoli - Campo di concentramento RSI
documento riprodotto in I campi fascisti
 
Campo di concentramento di Vallecrosia.
Data:
02-03-1944
Ente intestario:
Repubblica sociale italiana. Commissariato PS di Ventimiglia. Campo di concentramento di Vallecrosia
Autore:
Firma illeggibile
Qualifica:
Commissario di Polizia. Dirigente del campo
Destinatario:
Direzione campo di concentramento Fossoli di Carpi
Contenuto:
Comunicazione sul trasferimento di cinque ebrei dal campo di concentramento di Vallecrosia al campo di concentramento di Fossoli su ordine della questura di Imperia.
Luoghi citati:
Vallecrosia - Campo di concentramento RSI
Fossoli - Campo di concentramento RSI
documento
riprodotto in I campi fascisti
 
[...] La capienza del campo di concentramento di Vallecrosia è di 150 persone. Provvedendosi ad opportuni adattamenti delle due ali del fabbricato, che importerebbero una spesa di 270 mila lire, si potrebbero avere 800 posti disponibili; attualmente vi si trovano internati 30 detenuti alcuni dei quali provenienti dal carcere di Imperia-Oneglia colà sfollati a seguito dei bombardamenti dei quali è stato riferito nella presente relazione.
Dovendosi poi, d'ordine dell'Autorità militare germanica, sgombrare quanto prima il carcere di San Remo, circa una settantina di detenuti ivi ristretti verranno anch'essi assorbiti dal campo di concentramento di Vallecrosia.
Alla direzione ed all'amministrazione di esso è preposto il Commissario di P.S. Dr. Marchetti, addetto all'ufficio di P.S. di Ventimiglia Città, coadiuvato dal V. Commissario Aggiunto di p.s. ausiliario Curci, da 25 militi, incaricati della vigilanza esterna del campo, e da 18 agenti, per la maggior parte ausiliari, incaricati della vigilanza interna.
Data la ubicazione del campo e la disposizione dei locali occorrebbe portare a 50 il numero dei militi ed a 25 quello degli agenti che dovrebbero essere per la maggior parte effettivi, anziché ausiliari.
Il campo risulta deficiente di brande, pagliericci, coperte e di quant'altro indispensabile per l'alloggiamento degli internati ed è necessario rifornirlo di quanto abbisogna.
L'ISPETTORE GENERALE DI ZONA
(Giuseppe Delitalia)
Rapporto n° 3 in data 18 aprile 1944 dell'Ispettorato Regionale di Polizia - Zona Savona=Imperia - alla Direzione Generale di Polizia del Ministero dell'Interno [n.d.r.: della Repubblica Sociale di Salò] con timbro di arrivo del 26 aprile 1944 

“Copia di telegramma della Questura di Imperia in data 21 luglio 1944 diretto al capo di polizia Maderno”, 27 luglio 1944, riguardante un attacco partigiano il 20 luglio 1944 alle carceri giudiziarie di Oneglia Imperia. Per il timore di nuovi azioni, fu decisa l'evacuazione dei 33 internati nel campo di Vallecrosia: «[…] Eventualità colpo mano Campo concentramento Vallecrosia Capo provincia habet disposto evacuazione suddetto campo comprendendo 33 internati. Detenuti sono stati ristretti carceri Oneglia provvedendosi intensificazione vigilanza interna con agenti custodia et agenti polizia et vigilanza esterna guardia nazionale repubblicana».
ACS, MI, PS, Massime M4, b. 135, fasc. 16 “Campi di concentramento”, Ins. 37 “Savona”, documenti vari; Ivi, b. 127, “Ins. Imperia Vallecrosia

Gli attacchi aerei sono diminuiti di intensità mentre quelli navali cominciano a far sentire il loro preoccupante peso in quanto da circa una settimana dinanzi alla costa Ligure numerose navi di ogni tipo cannoneggiano Mentone (che è stata evacuata dai tedeschi nelle ultime 24 ore), Ponte S. Luigi, Grimaldi, i forti di La Turbie, Vallecrosia e Bordighera.
Per tali ragioni nella giornata di ieri ho sfollato sia i detenuti che gli internati del campo di concentramento di Vallecrosia.
Imperia, 12 settembre 1944
Giovanni Sergiacomi, Questore di Imperia, Al capo della Polizia

Appunto per il Colonnello Kappler presso la Direzione Generale di Polizia
Data:
14-10-1944
Ente intestario:
Repubblica Sociale Italiana. Ministero dell'Interno. Direzione Generale di P.S. Divisione A.G.R.
Autore:
Firma illeggibile
Qualifica:
Senza qualifica
Contenuto:
Si fa presente che la maggior parte dei campi di concentramento in cui si trovano internati i sudditi di stati nemici, erano situati nell'Italia ora occupata.
Dei pochi rimasti nel territorio non invaso, nel luglio scorso venne soppresso a seguito della richiesta delle autorità germaniche, quello di Fossoli di Carpi, mentre quelli di Scipione di Salsomaggiore, Celle Ligure, Vallecrosia, San Martino di Rosignano (Monferrato), sono stati successivamente soppressi perché non offrivano sufficienti garanzie di sicurezza ed i sudditi di Stati nemici sono stati prelevati e trasferiti in campi di concentramento germanici.
Luoghi citati:
Fossoli - Campo di concentramento RSI
Scipione - Campo di concentramento RSI
Celle Ligure - Campo di concentramento RSI
Vallecrosia - Campo di concentramento RSI
San Martino di Rosignano - Campo di concentramento RSI
documento riprodotto in I campi fascisti
 
[...] A Calvari di Chiavari, vicino Genova, gli ebrei rinchiusi nel campo provinciale erano stati trasferiti al carcere milanese di San Vittore già il 21 gennaio e poi aggiunti al convoglio che partì da Milano verso Auschwitz il 30. Il campo fu riadattato successivamente solo per internare prigionieri politici italiani e stranieri: un'azione partigiana a metà giugno del 1944 convinse le autorità a inviare gli internati a Fossoli (poi deportati nel Reich) e a chiudere questa struttura 220. Per motivi analoghi, negli stessi mesi furono evacuati e chiusi i campi provinciali di Celle Ligure e di Vallecrosia, rispettivamente in provincia di Savona e Imperia: nel dicembre 1943 erano stati approntati come luoghi di raccolta degli ebrei arrestati dopo l'ordinanza n. 5, i quali però vennero trasferiti a Fossoli ben prima dell'estate del 1944 - e poi deportati nell'Europa Orientale 221  [ p. 241] [...]
Imperia
Il campo di concentramento provinciale sorse in località Vallecrosia, nei locali di una ex caserma militare Gaf. Fu aperto il 21 gennaio 1944 per accogliere ebrei, familiari di renitenti alla leva, fermati politici non responsabili di reati e fu chiuso a metà luglio [n.d.r.: nella relazione - vedere infra - del Questore repubblichino di Imperia si dice: 11 settembre 1944] per timore di attacchi partigiani. A quella data, però, i circa 40 ebrei lì internati erano già stati trasferiti al carcere genovese di Marassi a inizio febbraio 1944 e consegnati alle autorità germaniche.
Principali fonti d'archivio
ACS, MI, PS, Massime M4, Mobilitazione civile, b. 127, fasc. 16 “Campi di concentramento”, Affari per provincia”, “Imperia”;
ACS, MI, PS, A5G II Guerra Mondiale, b. 151, fasc. 230 “Ebrei”, “Ebrei. Atti pervenuti dalla segreteria del Capo della Polizia, senza lettera d'accompagnamento”;
ACS, MI, PS, A5G II Guerra mondiale, Italia liberata, b. 3, fasc. “Rimpatrio degli ebrei italiani deportati in Germania”. [p. 266].
220 G. Viarengo, Il campo di concentramento provinciale per ebrei di Calvari di Chiavari (dicembre 1943 - gennaio 1944) e le sue altre funzioni, in «La Rassegna mensile di Israel», maggio-agosto 2003, pp. 415-430.
221 Cfr. ACS, MI, PS, Massime M4, b. 135, fasc. 16 “Campi di concentramento”, Ins. 37 “Savona”, documenti vari; Ivi, b. 127, “Ins. Imperia Vallecrosia”, “Copia di telegramma della Questura di Imperia in data 21 luglio 1944 diretto al capo di polizia Maderno”, 27 luglio 1944, riguardante un attacco partigiano il 20 luglio 1944 alle carceri giudiziarie di Oneglia Imperia. Per il timore di nuovi azioni, fu decisa l'evacuazione dei 33 internati nel campo di Vallecrosia: «[…] Eventualità colpo mano Campo concentramento Vallecrosia Capo provincia habet disposto evacuazione suddetto campo comprendendo 33 internati. Detenuti sono stati ristretti carceri Oneglia provvedendosi intensificazione vigilanza interna con agenti custodia et agenti polizia et vigilanza esterna guardia nazionale repubblicana».

Matteo Stefanori in Ordinaria Amministrazione: i campi di concentramento per ebrei nella Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Laurea, Università degli Studi della Tuscia, Viterbo, in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense

[...]
Cosa succede in provincia di Imperia?
“Alla raccolta degli ebrei rastrellati nell’estremo ponente della Provincia venne destinata dal Prefetto una delle zone del plesso militare esistente nel Comune di Vallecrosia, che comprendeva tre aree distinte nelle quali insistevano alcuni edifici adibiti, dal 1939, all’acquartieramento dei soldati e delle relative sussistenze e salmerie”.
Com’era suddiviso questo campo?
“La prima di queste aree si trovava tra la parte a mare e quella a monte di Vallecrosia, compresa tra via San Rocco a nord, via Baude a sud; via Roma a est e un boschetto di ulivi, eucaliptus, pini marittimi e palme, a ovest. Questa zona, di circa ottomila metri quadrati, è attualmente occupata dai giardini pubblici, da un giardino per auto e, un tempo, dall’ampio complesso della ditta Fassi. In quest’area, che fu impropriamente definita come il ‘campo’, si trovavano quattro edifici rettangolari uguali, costruiti tre il 1932 e il 1935, di cui uno era adibito a caserma per i soldati e tre a stallaggio per i cavalli. Dopo la guerra: tre edifici sono stati demoliti e il quarto venne acquistato dalla Fassi. Quest’ultimo, affacciato sul boschetto a ovest, era quello destinato all’internamento e detenzione degli ebrei rastrellati, che vi venivano rinchiusi nelle camere di sicurezza e sorvegliati da militari dell’esercito. La seconda area militare si trovava, all’epoca, subito a nord della prima, a monte di via San Rocco, angolo con via Roma, e in essa c’erano quattro edifici che, costruiti attorno al 1830 per accogliere una distilleria di lavanda, erano poi stati trasformati in caserme. La terza area militare si trovava a circa cinquecento metri a nord, a monte e a valle della attuale via Orazio Raimondo e in essa erano situati altri quattro edifici, di cui due a monte della via, adibiti a caserme per i soldati, ufficio dettaglio e uffici comando, e due a valle, destinati a magazzini. Dopo la guerra, nella caserma del comando trovò sede il municipio di Vallecrosia, mentre gli edifici a valle mantennero la loro destinazione a magazzini”.
Abbiamo qualche cifra legata all’attività di questo campo?
“Il campo di raccolta di Vallecrosia funzionò come tale, dal 9 febbraio al 2 agosto 1944, secondo quanto risulta da una relazione del Questore di Imperia del 10 agosto 1944 e da quella del Direttore del campo, del 28 giugno 1944, indirizzate entrambe al Ministero dell’Interno della Repubblica Sociale. In esso vennero detenuti, ciascuno per un periodo assai breve: circa 40 persone. A questo proposito, interessante è la vicenda che di due sorelle detenute, Gabriella e Mirella Perera e della loro madre, Raimonda Devaux, arrestate tutte insieme, in quanto ebree, a Bordighera, dove abitavano, il 15 febbraio del 1944 e subito portate al campo di Vallecrosia. Un altro figlio della signora Devaux fu arrestato, come ebreo, a Milano, l’11 settembre del 1944 e finì anch’egli in un Konzentration-lager in Germania. E’ da ricordare, in riferimento a questa vicenda, che il padre, Orlando Perera, non fu arrestato, poiché di religione cattolica; i suoi tre figli invece lo furono e vennero successivamente deportati in Germania, in quanto ritenuti automaticamente ebrei poiché nati da donna ebrea e, secondo la legge talmudica, tutti i nati da donna ebrea sono considerati ebrei”.
Quale epilogo ebbe la vicenda delle sorelle Perera?
“Gabriella, che all’epoca aveva 12 anni, venne poi trasferita da Vallecrosia al centro di raccolta di Fassoli da cui venne inviata al carcere di Verona e quindi al Konzentrationlager di Ravensbrueck. Fu liberata dagli americani, il 30 aprile del 1945 e rientrò in Italia. Mirella, all’epoca ventenne, assieme alla madre finì al Konzentrationlager di Bergen-Belsen e venne liberata dagli americani il 15 aprile del 1945, rientrando quindi in Italia. Durante la loro breve detenzione nel “campo” di Vallecrosia le sorelle Perera e la loro madre furono assistite da alcune compagne di scuola di Mirella: Angela Biancheri ed Esterina Ursida, che, rientrando a casa dalla Scuola Maria Ausiliatrice di Vallecrosia e passando accanto al campo, portarono loro viveri di conforto”.
Ci sono altre storie che possiamo ricordare?
“Altra vicenda interessante fu quella di Franco Bragadin che, nel mese di febbraio del 1944, prese alloggio al primo piano della villetta di Giorgio Pellegrino nella via Romana, attuale civico 73, per poter essere vicino e assistere la moglie ebrea, arrestata a Imperia, il 12 febbraio del 1944 e detenuta nel campo di Vallecrosia, sino al 22 febbraio del 1944, quando venne inviata al campo di Fossoli, per poi essere trasferita in Germania. Pare che si sia salvata e che abbia poi preso dimora a Genova”.
Gustavo Ottolenghi intervistato da Fabrizio Tenerelli, Shoah, a Vallecrosia quel campo di concentramento terribile ma sconosciuto, Vivi Israele, 24 gennaio 2019
 

Non c’erano rose a Ravensbrück nell’estate del 1944, quando Gabriella Perera, dodici anni, arrivò al lager nascosto tra i boschi, 80 chilometri a nord di Berlino, insieme con la mamma Raimonda Devaux e la sorella ventenne Mirella, portate via a febbraio, dalla loro casa di Bordighera, dai repubblichini. Erano partite da Vallecrosia, estremo ponente ligure: un piccolo campo di raccolta della Rsi - praticamente dimenticato o più facilmente una memoria rimossa, com’è accaduto a decine e decine di altri in Italia - un edificio austero a neanche quindici chilometri dal confine francese che avrebbe significato la salvezza e la libertà, per lei come per le altre donne ebree recluse. Una ex caserma diventata prigione per gli ebrei e i detenuti politici ma anche per i militari che si erano rifiutati di aderire alla Repubblica sociale, insieme con le famiglie dei partigiani e dei giovani renitenti al bando di Badoglio. Gabriella, che riuscì a tornare, dopo aver trascorso un anno tra Ravensbrück e Bergen Belsen, e a vivere la sua vita a Genova, raccontava cinquant’anni dopo il suo disorientamento ma anche l’amarezza e la rassegnazione: nella sua famiglia, come in molte altre, si sapeva quale futuro fosse destinato agli ebrei; la speranza di sopravvivere, o anche solo di non vivere al peggio quei mesi, era affidata all’incontro con poche, singole persone, e ai loro comportamenti.
I tedeschi mi hanno tolto tutto e, inoltre, mi hanno umiliata con l’intenzione di disumanizzarmi; però nella cattiva sorte sono stata fortunata. Infatti, una kapò mi aveva offerto un po’ del suo spazio in un letto che era molto meglio del mio. L’orrore che ha affrontato, invece, Gabriella non lo racconta. Nella sua testimonianza, davanti ai ragazzi di una scuola media, dice di aver assistito a episodi tragici e di averli anche subiti «ma non posso descriverli perché siete troppo piccoli»
[...] No, non c’erano le rose, allora. Ci sono oggi, piantate lungo i muri della recinzione, sopra la terra che ricopre ciò che resta delle tante che da quel campo, nascosto tra i boschi, affacciato su un laghetto circondato da conifere e betulle [...]
tratto da “Destinazione Ravensbruck. L’orrore e la bellezza nel lager delle donne” di Donatella Alfonso, Laura Amoretti, Raffaella Ranise.
Redazione, Destinazione Ravensbruck. Le rose fioriranno ancora, ANPI Genova, 4 febbraio 2020 

Alcune erano bambine, partite sole o con l’intera famiglia, altre ragazze di vent’anni, madri di famiglia oppure già anziane.
Sui treni che le portavano al campo di concentramento di Ravensbrück il lager delle donne, a nord di Berlino, finirono detenute politiche, prostitute, o appartenenti a famiglie ebraiche. Reiette da isolare, da eliminare, per il regime nazista. Mille tra le italiane deportate, di ogni età, non tornarono mai: tra loro anche alcune passate per un piccolo e quasi dimenticato centro di detenzione nell’estremo ponente ligure, a Vallecrosia, simbolo del desiderio di rimozione. La storia di queste donne, ragazze e bambine, i ricordi, la capacità che ebbero molte di loro, nonostante la tragedia che stavano vivendo, di ritrovare un affetto, un gesto, un sorriso, si affiancano ai momenti più cupi vissuti nel lager e, per le sopravvissute, riportati nella vita vissuta a partire dal loro ritorno [...]
Donatella Alfonso, Laura Amoretti, Raffaella Ranise, Destinazione Ravensbrück. L’orrore e la bellezza nel lager delle donne, All Around, 2020
 
Una foto d’epoca con Maria Musso che , in primo piano, indossa una maglietta a righe. Fonte: Giampiero Cazzato, art. cit. infra

«Quante storie/ son passate di lì./ Mamme abbracciate a bambini/ uomini giovani/ già vecchi cadenti sono finiti/ in un fumo tremendo./ Chi conosce/ la mappa dei lager?/ Terra di Germania./ Suolo tedesco/ impregnato di cenere bianca,/ di ossa spezzate./ Saranno anche/ belli i giardini/ da quella terra spunteranno dei fiori/ Il mondo diviso:/ chi vuole testimonianza/ chi desidera/ silenzio assoluto./ Mi arrivano spesso/ questionari, inviti./ Aborriamo la rabbia/ ma forse è giusto/ che chi ha vissuto/ quel tempo porti il suo…/ granello di sabbia». Maria Musso, l’autrice di questa dolorosa poesia, era nata a Diano Arentino, un piccolo paese del ponente ligure. Aveva appena vent’anni e splendidi capelli neri e ricci, raccolti con un nastro rosso quando la presero. Chissà, forse i fascisti che l’arrestarono, su quel nastro rosso appuntarono il loro ghigno di sgherri.
Maria Musso fu deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück il 2 settembre del 1944. Riuscì a tornare a casa, a raccontare e a scrivere l’orrore che aveva vissuto, il suo granello di sabbia, a spiegare ai giovani l’abominio del nazifascismo. Maria è mancata nel 2011.
La sua storia - e quella delle altre deportate - è raccontata in “Destinazione Ravensbrück. L’orrore e la bellezza nel lager delle donne”, libro edito dalla casa editrice All Around, che ha avuto il patrocinio di Aned, Anpi, e degli istituti storici della Resistenza Ilsrec, Isrecim, Isr e Isrec. A scriverlo tre donne, Donatella Alfondo, Laura Amoretti e Raffaella Ranise.
[...] Prima di piombare nell’inferno di Ravensbrück molte prigioniere italiane, in particolare le liguri, passarono per un piccolo e quasi dimenticato centro di detenzione nell’estremo ponente, a Vallecrosia. E già, perché sulla presenza di campi di concentramento in Italia ha prevalso per tanti anni un desiderio di rimozione. “Campo dimenticato” lo chiamano le autrici in un capitolo del loro libro. Vallecrosia: dopo la fine della guerra e fino al 2010 in questo angolo di Liguria c’era la sede dell’Istituto biochimico-farmaceutico Fassi, quelle delle famose pastiglie, ma quella grande caserma, tra gennaio e agosto del 1944, fu un campo di prigionia repubblichino dove ebrei, prigionieri politici, renitenti alla leva della Rsi, venivano raccolti prima di essere inviati in Germania o in Polonia. Solo nel 2005, grazie all’impegno di ex partigiani e di storici locali, la polvere del tempo che l’aveva quasi cancellato dalla memoria venne rimossa. Anche se l’assenza «assoluta di fonti», come spiega lo storico Paolo Veziano nel libro, «ci costringe a ricostruire, in modo quanto mai approssimativo» quella pagina triste della persecuzione antiebraica. Tra il 1943 e il 1945 l’Italia della Rsi avvia alla deportazione circa 7.500 ebrei italiani che persero la vita nei lager nazisti. In Liguria - dove oltre a Vallecrosia fu attivo come campo di raccolta quello di Pian di Coreglia-Calvari, in Val Fontanabuona, oltre ai “trasporti” di arrestati in partenza dal cercare genovese di Marassi - furono deportate 261 persone. Ne sono sopravvissute una ventina. Dall’imperiese partono in 53, solo sei riuscirono a tornare».
Descrivere l’orrore è difficile. Descriverlo dopo averlo vissuto è difficile e penoso assieme. Si avrebbe voglia di ritrarsi dall’abisso in cui si è precipitati. Ecco perché la memoria di queste donne è un valore inestimabile, da conservare e custodire. È una memoria costruita sulle loro carni vive. «Ho visto scheletri/larve, feriti./ Ho visto uomini/ che eran stati tali./ Ho visto belve/ con volti umani/ ho visto troppo per dimenticare», scrive Maria Musso in una sua altra poesia. Noi che non abbiamo visto, se non attraverso i loro occhi, anche noi dovremmo essere capaci di non dimenticare.
Giampiero Cazzato, Io, donna, nel campo della memoria taciuta, Patria Indipendente, 11 settembre 2020
 
Eppure un campo di concentramento - sebbene molto diverso da quelli tedeschi e austriaci - era presente anche nella provincia di Imperia. Era situato a Vallecrosia e fu istituito nel 1944.
Alla sua apertura, quasi tutti gli ebrei della zona erano già stati deportati e così al suo interno ne finirono solo cinque. Cinque donne, per l’esattezza. Vi furono internati invece molti avversari politici della Repubblica Sociale Italiana.
Sul campo di concentramento di Vallecrosia cadde, dopo la fine della guerra, un profondo silenzio. Della sua esistenza si è tornato a parlare soltanto nel 2003, grazie all’opera di recupero storico avvenuto a livello locale. Ancora oggi, tuttavia, soltanto in pochi ne conoscono la vicenda. Per il Giorno della Memoria Riviera Time, grazie al contributo dello storico locale Gian Paolo Lanteri, vi racconta questa triste vicenda del Ponente ligure.
Santo Scarfone, Il campo di concentramento di Vallecrosia, Riviera Time Televisione, 27 gennaio 2017 

Vallecrosia, 27 Gennaio 2014: Cittadinanza onoraria a Stefano ‘Nini’ Rossi e a Mario Rossi per essere stati ‘internati’ per qualche mese, con la mamma, nel 1944, nel campo di ‘concentramento’ di Vallecrosia. I genitori avevano nascosto in casa loro due militari inglesi.
Chiara Salvini, Stefano ‘Nini’ Rossi e Mario Rossi. Vallecrosia rende omaggio alla loro prigionia..., Nel delirio non ero mai sola, 28 Gennaio 2014
 
[...]  All’epoca aveva solo 16-17 anni e viveva a Vallecrosia Alta con la sua famiglia, visto che ha dovuto abbandonare la casa di origine, sita a Vallecrosia, a causa della guerra. L’area intorno alla sua abitazione era infatti diventata una zona minata e recintata di filo spinato. "Sono stato sfollato a Vallecrosia vecchia con la mia famiglia. Mio nonno però non voleva lasciare la sua casa, infatti più volte è scappato per tornare alla sua abitazione e alle sue cose, ma ogni volta lo riportavamo indietro in bicicletta. Una volta ha addirittura attraversato un intero campo minato fortunatamente senza rimanere ferito."
[...] "Mi ricordo che nei giardini di via San Rocco, a pochi passi dall’ex fabbrica della Fassi, vi era un campo di concentramento provinciale. Avevano costruito tutto intorno una recinzione con alte torrette e nessuno poteva avvicinarsi - così inizia il racconto - All’interno si intravvedevano tante persone rinchiuse: bambini, donne e uomini. Non sapevamo però da dove venissero. Erano chiusi lì come prigionieri, non credo che li abbiano mai fatti lavorare come avveniva in altri campi. Era un luogo di internamento. Non erano ebrei, visto che erano già stati portati via tempo prima. So che avevano rinchiuso anche qualche partigiano". [...]
Elisa Colli, “Per non dimenticare”, il ricordo del campo di concentramento a Vallecrosia..., Riviera 24.it, 28 gennaio 2018