Scorcio dell'abitato di Castelvittorio (IM) |
Nel marzo del 1944 i fascisti di Castelvittorio (IM) invitarono me ed altri ragazzi ad una riunione, durante la quale insistettero perché ci iscrivessimo al Partito: O vi iscrivete, o partite per il militare, ci dissero perentoriamente.
Io fui l'unico ragazzo ad avere il coraggio di dire di no.
Parlai per primo, dopo di che i fascisti mi obbligarono ad uscire dalla loro sede.
Io fui l'unico ragazzo ad avere il coraggio di dire di no.
Parlai per primo, dopo di che i fascisti mi obbligarono ad uscire dalla loro sede.
Tre giorni più tardi avevo già alle calcagna la milizia di Pigna in quanto elemento sospetto e, per non essere arrestato, dovetti abbandonare il villaggio.
Presi lo zaino e mi rifugiai in campagna; ma dopo circa un mese anche i dintorni di Castelvittorio diventarono malsicuri, così mi trasferii a Cetta [Frazione di Triora (IM), in Alta Valle Argentina] con l'amico Gino Asplanato, per cercare di unirmi alla Resistenza.
Presi lo zaino e mi rifugiai in campagna; ma dopo circa un mese anche i dintorni di Castelvittorio diventarono malsicuri, così mi trasferii a Cetta [Frazione di Triora (IM), in Alta Valle Argentina] con l'amico Gino Asplanato, per cercare di unirmi alla Resistenza.
Là conobbi Vittorio Guglielmo (Vittò) [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo], un capo partigiano. Questi mi disse che stava organizzando un distaccamento collegato con i partigiani di Sanremo, e mi suggerì di entrare nella milizia per spiare i fascisti di Ventimiglia.
Mi arruolai con mio cugino Italo [Falce] Rebaudo, che dopo l'8 settembre era scappato dall'esercito.
Nella milizia sabotavamo a più non posso: ad esempio, prendevamo le bombe a mano e toglievamo loro la capsula per renderle innocue. Dopo circa un mese, però, ci dissero che avremmo dovuto partecipare ad un rastrellamento di partigiani, così decidemmo di fuggire.
Nella milizia sabotavamo a più non posso: ad esempio, prendevamo le bombe a mano e toglievamo loro la capsula per renderle innocue. Dopo circa un mese, però, ci dissero che avremmo dovuto partecipare ad un rastrellamento di partigiani, così decidemmo di fuggire.
Giacomo Romolo Rebaudo, testimonianza in Marco Cassioli, Ai confini occidentali della Liguria. Castel Vittorio dal medioevo alla Resistenza, Comune di Castel Vittorio, Grafiche Amadeo, Chiusanico (IM), 2006
[…] A Langan i partigiani presero le mie generalità e mi diedero Rodi
quale nome di battaglia. Nei giorni successivi, Bruno Luppi [Erven] costituì
un distaccamento [il V° dell’allora IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi
“Felice Cascione”, formata il 20 giugno 1944 e diventata il 7 luglio
1944 II^ Divisione “Felice Cascione”] di una trentina di uomini con base
in un bosco vicino alla frazione Vignai, nel comune di Baiardo: il
gruppo aveva lo scopo di isolare la postazione tedesca sul monte Ceppo,
che impediva il transito da Baiardo a Langan. Io entrai a far parte del
distaccamento in qualità di portaordini e il 26 giugno 1944 ricevetti il
battesimo del fuoco. […] già alla fine di luglio formammo un nuovo
distaccamento agli ordini del comandante Mosconi [Basilio Moscone] e tornammo nei boschi intorno a Castel Vittorio. In settembre partimmo poi per Cima di Marta, con l’incarico di stare di vedetta per controllare che non arrivassero tedeschi dalla Val Roia.
Là rimasi fino al rastrellamento dell’8 ottobre, quando Langan fu di
nuovo occupata e noi dovemmo ritirarci a Piaggia (CN), poi alle falde
del Mongioie, in Piemonte. […]
Stefano Rodi Millo [conosciuto soprattutto come Mario], testimonianza in Marco Cassioli, Op. cit.
Gli uomini del distaccamento di Vittò [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo] e di Erven [Bruno Luppi] (5° distaccamento) nelle ore pomeridiane del… [10 giugno 1944],
si recano a Castelvittorio, e si intrattengono nel paese, cantando
inni partigiani. Restano fino a tarda sera. Quando partono, i fascisti
che sono a Pigna, incominciano a sparare. I partigiani, mentre si
allontanano, sentono gli spari… A Passo Muratone, situato fra Pigna e
Saorge, a monte di rio Muratone, vi erano cinque o sei guardie di
finanza della repubblica di Salò… una pattuglia del distaccamento di Vittò e di Erven va
al Passo Muratone. Sulla base delle citate indicazioni, l’azione
avviene in data 11 giugno. La pattuglia partigiana è comandata da Assalto [Carlo Peverello, nato a Castelvittorio il 28 febbraio 1923]. I partigiani, in tutto, erano circa una ventina, fra cui Serpe [Isidoro Faraldi, in seguito comandante del IV° Distaccamento del II° battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“], Guido di Cetta, Marconi [Gino Asplanato] di Castel Vittorio, e i giovinetti Géna e Spezia (o «Scarzéna») [Pietro Bodrato, nato a Lerici, classe 1927]. L’azione
era difficile per la posizione della caserma, che aveva alle spalle il
monte e davanti lo strapiombo. A compiere l’attacco fu Assalto, insieme con Géna e Spezia…
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
Il 20 corrente, verso le ore 17.30, banditi armati irruppero in Castelvittorio e, dopo aver bloccato tutte le strade di accesso al paese, penetrarono nella casa comunale dove bruciarono i manifesti e le bollette esattoriali, asportando una macchina da scrivere. Successivamente si portarono nell'ufficio postale ove danneggiarono l'apparecchio telegrafico, rendendolo inservibile. Infine si presentarono in diversi negozi di commestibili, asportando complessivamente 15 quintali di generi alimentari.
Nell'allontanarsi costrinsero certo Bruno Rebaudo a seguirli.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 24 giugno 1944, p. 33. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
Nell'allontanarsi costrinsero certo Bruno Rebaudo a seguirli.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 24 giugno 1944, p. 33. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
Tornammo a Castelvittorio proprio il 2 luglio [1944], il giorno della battaglia fra la popolazione civile e i tedeschi. Quando arrivammo lo
scontro era già finito, i nemici avevano ucciso sette persone e stavano
bruciando le case del paese.
Uomini e donne scappavano terrorizzati verso le campagne e noi andammo con loro; poi proseguimmo verso Langan [comune di Castelvittorio (IM)] e Cetta per raggiungere il quartier generale di Vittò.
Uomini e donne scappavano terrorizzati verso le campagne e noi andammo con loro; poi proseguimmo verso Langan [comune di Castelvittorio (IM)] e Cetta per raggiungere il quartier generale di Vittò.
Nelle settimane successive, mio cugino ed io fummo assegnati a due
distaccamenti diversi: Italo raggiunse Baiardo con il comandante Marco [Candido Queirolo], io mi diressi invece sul monte Gordale con il comandante Mosconi [Basilio Moscone Mosconi, comandante di un Distaccamento, poi comandante del II° Battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata], che mi diede Romolo quale nome di battaglia.
Là rimasi fino a settembre, quando il mio distaccamento si spostò a
Marta per vigilare che i tedeschi non arrivassero dalla parte francese.
Poi l'8 ottobre 1944 i nazifascisti fecero un grosso rastrellamento
in tutta la provincia di Imperia, così le formazioni partigiane che
operavano nella zona dovettero ritirarsi fino in Piemonte, ai piedi del
Mongioie.
Il 22 novembre 1944 i comandanti ci dissero di tornare a casa per
trascorrere l'inverno al sicuro, in attesa di riprendere la lotta in
primavera.Italo ed io rientrammo quindi a Castelvittorio, passando i mesi di dicembre, gennaio e febbraio nascosti in una tana, in regione Viameglio.
Avevamo scavato un buco sottoterra e vi ci rannicchiavamo dentro come due volpi, e mia nonna chiudeva l'ingresso con una pietra [...]
Giacomo Romolo Rebaudo in Marco Cassioli, Op. cit.
La collaborazione civili-partigiani, che si concretizzò tante volte
nel corso della lotta di Liberazione, fu determinante nei primi giorni
di luglio 1944 a Castelvittorio (IM).
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
Il paese rientrava nell'ambito di una vasta operazione di rastrellamento
dei tedeschi, che tentarono in questo caso con ingenti mezzi lo
sfondamento delle linee partigiane nel tentativo di creare una grande
sacca in cui chiudere tutte le formazioni garibaldine e privarle, in tal
modo, d'ogni via di fuga verso i territori piemontesi.
Il 2 luglio i nazisti requisirono la preziosa farina, suscitando una
reazione d'orgoglio in numerosi abitanti, che, come ricordava il parroco
don Caprile, imbracciarono le armi con la parola d'ordine di difendere
il paese. Iniziata la sparatoria, per circa 5 ore borghesi, armati di
fucili di ogni specie, resistettero ad un contingente tedesco ben
armato.
Il giorno dopo il nemico trovò gli abitanti intenzionati a dare di nuovo battaglia.
Erano schierate fianco a fianco più generazioni del paese.
Tra i più maturi vi erano Mario Tucin [Mario Alberti, nato a Castelvittorio, classe 1896], Giuan Grigiun [anche Tumelin, Giovanni Orengo, nato a Castelvittorio, classe 1890], l'Acidu [Giuseppe Verrando, nato a Castelvittorio, classe 1886] e U Sociu [Giuseppe
Caviglia, nato a Castelvittorio, classe 1892, morto il 16 dicembre a
Castelvittorio in seguito a malattia contratta in servizio], buoni
montanari, per lo più sulla cinquantina o sulla sessantina e vecchi
combattenti dell'altra guerra mondiale, tutti tiratori infallibili per
la loro lunga esperienza di cacciatori. Infine, i tedeschi se ne
andarono, anche se gli abitanti di Castelvittorio furono tristemente
consapevoli che quelli avrebbero fatto ritorno, come in effetti accadde
nel mese di ottobre dello stesso anno. Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
[…] Eravamo verso la fine di agosto del 1944. Il Comandante Vitò aveva
previsto nel consiglio di stato maggiore ogni possibilità di attacco.
La sera prima dell’attacco stabilito, una numerosa colonna di tedeschi
arrivò a Pigna. Il comando partigiano allora si radunò a Monte Vetta
[nel comune di Castelvittorio (IM)] per studiare la nuova situazione.
Intanto, nella stessa notte dell’arrivo dei tedeschi, Fuoco [Marco Dino Rossi] con alcuni suoi uomini, il suo gruppo volante di distruttori, con Pagasempre [anche Ruffini,
Arnolfo Ravetti, poco tempo dopo capo di Stato Maggiore della V^
Brigata] e con uomini decisi di Castelvittorio, erano andati verso
Dolceacqua per minare un ponte e tagliare la ritirata ai tedeschi. Ma le
sorprese sono sempre in agguato. Lo avevano trovato presidiato. Si
dovettero ritirare e mentre ritornavano verso Pigna, camminando a mezza
costa per essere nascosti, si accorsero che i nazifascisti
abbandonavano Pigna.
I troppi attacchi avevano loro consigliato il ripiegamento su lsolabona
e Dolceacqua. Tra gli attacchi che indusssero i tedeschi ad andarsene,
vi furono continui disturbi degli uomini del distaccamento di
Castelvittorio (IM), guidato da Fuoco.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
Fu una giornata di festa: i visitatori si trattennero fino al tardo pomeriggio.
Mario Tucin, mentre i tre mangiavano, raccontò nei particolari la battaglia dei primi di luglio 1944; poi, con emozione, a Erven [Bruno Luppi, comandante partigiano rimasto gravemente ferito nella battaglia di Sella Carpe]: "Da quel giorno dell'aprile '44, quando tu, Vitò e un gruppo di vostri partigiani scendeste per primi a Castelvittorio, e deste fuoco sulla piazza a carte e arredi della sede del Fascio, alle liste di leva, ai ruoli delle tasse, e vedemmo i pochi fascisti del paese scappare a nascondersi, non mi siete più passati di mente. Vi ho sempre avuti nel cuore come angeli venuti dal cielo; io da sempre sono contro i fascisti e come me l'Acido e quasi tutti gli uomini del paese".
Erven gli sorrise, e lui, volto a Chechin, lo complimentò per la tenda e apprezzò la scelta del posto. Ma a Chechin venne di dire: "Però, se ci individuano e ci dovessero girare addosso il tiro dei mortai, saremmo come topi in trappola: qui non abbiamo ripari, non scampo in questa montagna ripida e in questo bosco impraticabile!".
"Già, non avete scampo!" ripeté Mario, e restò assorto tenendo una mano sulla tesa del cappello di panno nero gualcito, come a tirar fuori dalla fronte un ricordo confuso. Poi, brillando luce negli occhi, d'improvviso esclamò: "'A' grota du Leuvu'', sì, 'a' grota du Leuvu''. Deve essere proprio in questi paraggi. L'Acido e io l'abbiamo saputo dai nostri vecchi che esisteva... e un giorno, tanti anni fa, ci siamo stati dentro!".
Invitò Chechin a seguirlo e, facendosi strada per l'intrico del bosco, con l'agilità e la forza, lui quasi cinquantenne, da fare invidia a un giovane, si arrampicò per la costa e scomparve. Si ricordava di una piccola radura in quella zona del bosco, fatta di roccia arida coperta di gramigna nella parte assolata e di muschio nel declivio umido. Cercò a lungo ma solo quando si trovò in alto riuscì a individuare nel bosco la radura. Vi scese; vi riconobbe la roccia grigia, le pietre, i massi sepolti fra rovi ed erbacce. Frugò con occhio attento ogni pietra, ogni macigno fino a che, alla base di una sporgenza rocciosa, notò fra due massi un piccolo foro. Chiamò Chechin per farsi aiutare a spostare i massi; e n'ebbero appena spostato uno che apparve una cospicua buca, aperta in una specie di cunicolo che, scendendo, si perdeva nel buio.
"Eccola!" disse a Chechin esultando come avesse scoperto un tesoro. "Qui sotto avete spazio per nascondervi e per ripararvi anche dalle V2".
La radura rimaneva poco in alto e a una ventina di metri dalla tenda. Ridiscesero; Mario con la moglie e la figlia ripartì per rientrare a casa, promettendo di ritornare presto a trovarli [...] Uno di quei giorni Mario Tucin venne in compagnia del famoso Acido. l tre ci tenevano a conoscerlo e Mario li aveva accontentati. Era, l'Acido, piuttosto piccolo, grassoccio con tendenza al tondo anche nell'ovale del viso, fronte spaziosa per la calvizie, guance sane e fresche nonostante marciasse verso la sessantina, occhi piccoli e arditi come il temperamento che esprimeva nella energia dei movimenti e nella parlata rapida e concisa del tipico dialetto di Castelvittorio.
Quando Erven, nel porgergli la mano, gli disse: "Sono contento di conoscere un coraggioso come voi, un nostro amico", egli si illuminò e disse: "Ho imparato da mio padre ad amare la giustizia. Noi di Castelvittorio siamo abituati al lavoro, alla fatica e alla vita semplice, vogliamo bene a Cristo e alla Madonna, ma guai se ci pestano! Vogliamo vivere con dignità. Per questo il fascismo non ci va e non ci è mai andato. Le prepotenze malvolentieri le sopportiamo; e abbiamo fatto le 'giornate di luglio'. Siamo tutti con voi partigiani".
Fu piacevole la conversazione con lui e con Mario Tucin. Al termine, su proposta di Erven, Mario e l'Acido si presero l'incarico di organizzare in Castelvittorio il CLN.
Bruno Luppi, Saltapasti, La Pietra, Milano, 1979
Mario Tucin, mentre i tre mangiavano, raccontò nei particolari la battaglia dei primi di luglio 1944; poi, con emozione, a Erven [Bruno Luppi, comandante partigiano rimasto gravemente ferito nella battaglia di Sella Carpe]: "Da quel giorno dell'aprile '44, quando tu, Vitò e un gruppo di vostri partigiani scendeste per primi a Castelvittorio, e deste fuoco sulla piazza a carte e arredi della sede del Fascio, alle liste di leva, ai ruoli delle tasse, e vedemmo i pochi fascisti del paese scappare a nascondersi, non mi siete più passati di mente. Vi ho sempre avuti nel cuore come angeli venuti dal cielo; io da sempre sono contro i fascisti e come me l'Acido e quasi tutti gli uomini del paese".
Erven gli sorrise, e lui, volto a Chechin, lo complimentò per la tenda e apprezzò la scelta del posto. Ma a Chechin venne di dire: "Però, se ci individuano e ci dovessero girare addosso il tiro dei mortai, saremmo come topi in trappola: qui non abbiamo ripari, non scampo in questa montagna ripida e in questo bosco impraticabile!".
"Già, non avete scampo!" ripeté Mario, e restò assorto tenendo una mano sulla tesa del cappello di panno nero gualcito, come a tirar fuori dalla fronte un ricordo confuso. Poi, brillando luce negli occhi, d'improvviso esclamò: "'A' grota du Leuvu'', sì, 'a' grota du Leuvu''. Deve essere proprio in questi paraggi. L'Acido e io l'abbiamo saputo dai nostri vecchi che esisteva... e un giorno, tanti anni fa, ci siamo stati dentro!".
Invitò Chechin a seguirlo e, facendosi strada per l'intrico del bosco, con l'agilità e la forza, lui quasi cinquantenne, da fare invidia a un giovane, si arrampicò per la costa e scomparve. Si ricordava di una piccola radura in quella zona del bosco, fatta di roccia arida coperta di gramigna nella parte assolata e di muschio nel declivio umido. Cercò a lungo ma solo quando si trovò in alto riuscì a individuare nel bosco la radura. Vi scese; vi riconobbe la roccia grigia, le pietre, i massi sepolti fra rovi ed erbacce. Frugò con occhio attento ogni pietra, ogni macigno fino a che, alla base di una sporgenza rocciosa, notò fra due massi un piccolo foro. Chiamò Chechin per farsi aiutare a spostare i massi; e n'ebbero appena spostato uno che apparve una cospicua buca, aperta in una specie di cunicolo che, scendendo, si perdeva nel buio.
"Eccola!" disse a Chechin esultando come avesse scoperto un tesoro. "Qui sotto avete spazio per nascondervi e per ripararvi anche dalle V2".
La radura rimaneva poco in alto e a una ventina di metri dalla tenda. Ridiscesero; Mario con la moglie e la figlia ripartì per rientrare a casa, promettendo di ritornare presto a trovarli [...] Uno di quei giorni Mario Tucin venne in compagnia del famoso Acido. l tre ci tenevano a conoscerlo e Mario li aveva accontentati. Era, l'Acido, piuttosto piccolo, grassoccio con tendenza al tondo anche nell'ovale del viso, fronte spaziosa per la calvizie, guance sane e fresche nonostante marciasse verso la sessantina, occhi piccoli e arditi come il temperamento che esprimeva nella energia dei movimenti e nella parlata rapida e concisa del tipico dialetto di Castelvittorio.
Quando Erven, nel porgergli la mano, gli disse: "Sono contento di conoscere un coraggioso come voi, un nostro amico", egli si illuminò e disse: "Ho imparato da mio padre ad amare la giustizia. Noi di Castelvittorio siamo abituati al lavoro, alla fatica e alla vita semplice, vogliamo bene a Cristo e alla Madonna, ma guai se ci pestano! Vogliamo vivere con dignità. Per questo il fascismo non ci va e non ci è mai andato. Le prepotenze malvolentieri le sopportiamo; e abbiamo fatto le 'giornate di luglio'. Siamo tutti con voi partigiani".
Fu piacevole la conversazione con lui e con Mario Tucin. Al termine, su proposta di Erven, Mario e l'Acido si presero l'incarico di organizzare in Castelvittorio il CLN.
Bruno Luppi, Saltapasti, La Pietra, Milano, 1979
… Tucin [Mario Alberti], Giuan Grigiun [Giovanni Orengo], l’Acidu
[Giuseppe Verrando] furono tutti membri del C.L.N. di Castelvittorio e
nel dopoguerra composero la giunta comunale del paese quando mio padre
era sindaco. Con loro c’era anche Giulio Rebaudo…
Stefano Rodi Millo in Marco Cassioli, Op. cit.