venerdì 20 novembre 2020

I patrioti martiri di Pigna (IM)

Il ponte vecchio di Latte, Frazione del comune di Ventimiglia (IM), ponte vicino al luogo dell'eccidio ricordato in questo articolo

Il 10 e l'11 marzo 1945 i tedeschi effettuano un rastrellamento nella zona di Buggio-Pigna- Castelvittorio (IM). Tutti i civili rastrellati vengono portati a Pigna dove un capitano delle SS e due fascisti di Ventimiglia (S. e A.) li esaminano.
Al termine dei controlli, i tedeschi trattengono quattordici giovani (tutti partigiani) in licenza invernale, che dovevano ritornare in montagna per raggiungere le rispettive formazioni. 
I trattenuti sono rinchiusi in una casa isolata, fuori dal paese, oltre il ponte sul Nervia. 
Nella notte, gli abitanti più vicini alla casa isolata sentono gli urli dei catturati sottoposti a torture inaudite.
Alcuni giorni dopo il rastrellamento i 14 giovani, legati e incatenati a due a due sotto scorta armata intraprendono la strada verso Ventimiglia (IM) dopo di che se ne perdono le tracce. 
Probabilmente, nella notte del 21 (?) vengono fucilati nel vallone di Latte [Frazione di Ventimiglia] e  i loro corpi coperti con poca terra.
Le salme recuperate subito dopo la Liberazione saranno pietosamente ricomposte. 
Da altre fonti risulta la data di questa fucilazione risulta essere quella del 28 marzo 1945. 
Risulta che la causa della cattura dei 14 partigiani è dovuta al precedente arresto del partigiano Luigi Albini, incaricato dal Comando della V^ Brigata di far rientrare nelle formazioni dalla licenza invernale i suddetti partigiani. 
I nazifascisti trovarono in tasca all'Albini l'elenco dei richiamati. Per questo motivo il capitano delle SS, sulla piazza di Pigna, scelse a colpo sicuro i giovani partigiani per farli fucilare (vedasi anche relazione di Giovanni Monaco Rebaudo, conservata nell'Archivio ISRECIM III 26).
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 1998, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2005, Grafiche Amadeo
 
La chiesa di Latte

21 marzo 1945
Anche oggi Ada è andata verso i Carletti per raccogliere un canestro d'uva e, dopo la chiesa di Latte, ha visto per terra delle macchie di sangue senza che vi fosse alcun segno di lotta o di schegge. Ha notato però sul bordo della strada della terra smossa dalla quale sembra escano degli stracci. Le sono venuti in testa brutti pensieri ed è tornata a casa assai impressionata.
23 marzo 1945
[...] Il sangue visto per la strada sopra la chiesa di Latte pare sia di soldati e, da sottoterras, si vede uscire un gomito già pieno di mosconi. Sembra ve ne siano seppelliti una quindicina.
Caterina Gaggero Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988 
 
Alle prime luci dell’alba dell’11 marzo soldati tedeschi (plotone comando del 253° reggimento e 3° compagnia del I° battaglione) con i calci dei loro fucili aprirono le porte delle case sia in paese sia in campagna, radunando tutti coloro che venivano sorpresi nei loro letti, indipendentemente dal loro sesso e dalla loro età.
Era l’inizio di un grande rastrellamento: chi venne fermato fu radunato e raggruppato in colonne che percorsero le mulattiere che portavano a Pigna.
La fortuna volle che nelle prime ore del mattino alcune persone si stessero recando dalle campagne in paese per presenziare ad un funerale per morte naturale di un anziano, circostanza che permise di dare l’allarme che salvò numerosi giovani in età di leva che riuscirono a sottrarsi al rastrellamento.
Coloro che incapparono nelle maglie del rastrellamento furono radunati alla Giaira, presso la rimessa delle corriere: ad un tavolino erano seduti dei civili e dei miliziani provenienti da Dolceacqua; si seppe poi che si trattava, tra gli altri, dei famigerati Stillo, Piccinini e Verardi.
I fermati passarono, ad uno ad uno, di fronte a questi sinistri individui, esibendo i propri documenti; i controlli venivano effettuati scorrendo un registro, alcuni vennero separati dalla maggioranza degli intimoriti civili.
Un’altra fortunata circostanza volle che proprio in quei momenti un aereo da ricognizione sorvolasse il cielo di Pigna, attirando l’attenzione dei soldati tedeschi incaricati della custodia di coloro che non avevano ancora passato il controllo: una mezza dozzina di questi riuscì a nascondersi nel vicino vallone di «Lavalle», risalirlo e raggiungere la salvezza <1.
I fermati furono tenuti qualche giorno nella costruzione che si trova al di là del ponte di San Pancrazio; successivamente vennero trasferiti verso valle, prima a Dolceacqua e poi verso Ventimiglia.
Si seppe in seguito che vennero portati nell’attuale casa di riposo di Latte e che il 19 marzo furono fucilati presso il cimitero della frazione ventimigliese dagli uomini del maggiore Hans Geiger (2° battaglione del 253° reggimento), già macchiatosi il 7 dicembre 1944 di un altro atroce delitto, la fucilazione a Grimaldi, presso l’hotel Vittoria, di cinque donne, quattro uomini e tre bambini per motivi la cui inchiesta e il relativo processo nuovamente istruiti nel 2000 non seppero chiarire.
Il maresciallo Ernst Schifferegger, sottoufficiale dell’ufficio di Sanremo della SD, altoatesino, precedentemente interprete presso la caserma di via Tasso a Roma alle dirette dipendenze del colonnello Kappler, nel corso dell’interrogatorio del 2 giugno 1947 condotto dal P.M. di Sanremo, dichiarò che l’11 marzo 1945 si recò a Pigna, insieme all’altro sottufficiale Schmitd e all’autista Fioravanti Martinoia, su incarico del maresciallo Joseph Reiter, comandante il reparto SD di Sanremo, e riferì le modalità con cui venne effettuata la cernita dei rastrellati.
«Terminato il rastrellamento, io, Schmidt e l’autista Martinoia, che ci accompagnò, ci recammo sul luogo dove erano convenuti circa 300 persone catturate nel corso dell’operazione. Sulla piazzetta di Pigna, in fila per tre, c’erano riuniti i rastrellati. Io e Schmitd, da una parte, e un ufficiale della 34^ Divisione unitamente ad un membro della brigata nera, del quale non so il nome, dall’altra, incominciammo la prima cernita. Si trattava di togliere via gli uomini superiori ai cinquant’anni che erano in numero assai notevole, e che furono messi da una parte. Nel frattempo venne da me un ufficiale della 34^ divisione dicendomi che in una stalla vicino si trovavano quattro giovani presi con le armi in pugno, e che, di conseguenza, non esistevano dubbi circa la loro appartenenza al movimento partigiano. Il medesimo mi disse che egli stesso aveva promesso la libertà in cambio di una collaborazione tendente ad identificare i partigiani compresi nel numero dei rastrellati. Pertanto, egli si era già accordato di fare passare, uno alla volta, tutti i fermati (eccetto coloro che superavano i cinquant’anni) attraverso la stalla. Mentre essi passavano, io di nuovo avrei controllato i documenti proprio nel posto dove si trovavano i quattro partigiani. Così facendo, si avrebbe effettuato un migliore accertamento e, nel contempo, il tempo che io impiegavo per controllare i documenti sarebbe stato sfruttato dai quattro delatori per indicare chi dei rastrellati era partigiano. Stabilite così le cose, si iniziò l’operazione. I quattro delatori, al passaggio di ognuno dei fermati, dicevano se egli era o meno un partigiano. La cosa avveniva apertamente, per cui coloro che non erano partigiani e che furono rilasciati debbono ricordare questo triste episodio. In tal modo, alla fine della sfilata, circa una ventina di persone si trovavano nel gruppo separato che distingueva i partigiani. Un altro gruppo, comprendente oltre una trentina di giovani, fu separato perché renitente alla leva e quindi destinati ad essere consegnati al comando provinciale. Infine, il rimanente fu messo da un’altra parte per essere poi rilasciato
Finito questo, diremmo così, spoglio, il soggetto e gli altri membri delle SS (così nel verbale!!), accompagnati dall’autista Martinoia, fecero ritorno a Sanremo, lasciando alla 34^ divisione l’incarico di decidere sulla sorte dei rastrellati.
Qualche giorno dopo, il soggetto seppe da un ufficiale della 34^ divisione recatosi alle SS per reclamare poiché le SS erano di poco aiuto col loro registro non aggiornato che i venti circa riconosciuti partigiani, con l’ausilio dei quattro che li identificarono, furono fucilati. Anche i quattro partigiani delatori subirono la stessa sorte.
Le dichiarazioni di Schiffereger circa la presenza di quattro delatori tra le vittime della fucilazione non fu mai provata e l’unica fonte risulta solamente da questo interrogatorio; è plausibile che il maresciallo dell’SD abbia rilasciato tale dichiarazione per infangare l’onore delle vittime che facevano parte di coloro che fino a pochissimi anni prima l’aveva visto come protagonista di una lotta senza quartiere.
Le quattordici vittime dell’eccidio di Latte sono: Luigi Albini, anni nato a Pigna, Luigi Borfiga “Paligo”, 32 anni nato a Pigna, Luigi Bordero, 26 anni nato a Pigna, Giuseppe Cavallero, 15 anni nato a Pigna, Aurelio Crovesi “Mario de Zidò”, 22 anni nato a Pigna, Giuseppe Di Federico, 27 anni residente a Pigna, Giobatta Giauna, 37 anni nato a Pigna, Antonio Pastor, 40 anni nato a Buggio, Maggiorino Peverello, 18 anni di Castel Vittorio, Primolino Rebaudo, 21 anni di Castel Vittorio, Eugenio Scarella “u Billu”, 21 anni nato a Pigna, Gianfranco Torta, 20 anni nato a Ventimiglia ma residente a Pigna, Alvaro Tarabella, 32 anni residente a Pigna, Pietro Verrando, 21 anni nato a Pigna.
 
La riesumazione, effettuata nei primi giorni dopo la Liberazione, delle salme dei patrioti trucidati a Latte: con la camicia bianca il futuro medico Giuseppe Renato Rebaudo, nativo di Pigna, destinato a diventare una figura di spicco in campo sanitario, culturale e sociale. Fonte: Osvaldo Contestabile, La Libera Repubblica di Pigna, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1985

 
Il 2 maggio 1945 un gruppo di giovani e i familiari delle vittime della rappresaglia nazista consumata a Latte scesero con alcuni carri per recuperare i resti, già in avanzato stato di decomposizione, dei loro compaesani [n.d.r.: la riesumazione venne compiuta sotto la direzione del dottor Diana, storico medico di Pigna, coadiuvato da Giuseppe Renato Rebaudo, in quel periodo ancora studente di medicina, ma futuro ufficiale sanitario in Ventimiglia, nonché autorevole figura di persona impegnata in diversi ambiti sociali]. La pietosa opera di ricomposizione dei corpi fu drammatica: i tedeschi, dopo l'eccidio, avevano fatto saltare la scarpata sotto il cimitero di Latte con il duplice intento di coprire parzialmente i corpi delle vittime, che in parte affioravano dalla terra smossa dall'esplosione, e di interrompere la strada che scendeva dal Grammondo per rendere più difficoltosa l'avanzata degli alleati. La disperazione delle madri e dei familiari delle vittime rese il recupero delle salme ancora più penoso.
 
[NOTA]
1) Episodio raccontato all’autore da Bernardo Rebaudo “Dino de Sciaravà”, uno dei protagonisti della fuga.

Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016
 
[n.d.r.: tra i lavori di  Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016]

sabato 7 novembre 2020

La Brigata partigiana Giustizia e Libertà Carlo Rosselli bloccata a lungo nel Nizzardo

Isola, Alpi Marittime, Francia - Fonte: Wikipedia

La guerra dei poveri [di Nuto Revelli] è infine più di una cronaca militare: è la storia di come l'Italia fallì la propria redenzione dal fascismo. Accanto all'evoluzione morale e umana del personaggio autobiografico, nel libro prende gradualmente piede un'accresciuta consapevolezza del ruolo della Resistenza nella strategia militare degli Alleati. Nell'entrata del 23 settembre 1944, dopo meno di un mese dal trasferimento in Francia, i partigiani della "Rosselli" conoscono questa nuova dimensione politica della Resistenza:
"La situazione della brigata è complessa ed estremamente incerta. Operativamente dipendiamo dal comando americano di Lantosque: logisticamente dal comando francese. Gli americani, gente pratica, guardano alla nostra formazione come ad un reparto che può dare un contributo operativo immediato. I francesi sopportano mal volentieri l'esistenza di un reparto autonomo italiano, in posizione di parità, fra le forze alleate: un reparto a cui è stato assegnato un tratto di fronte. Gli inglesi, dopo la scomparsa di Flight, non rinunciano a seguire la nostra brigata, anzi, tendono a controllarla: con prudenza però, senza interferire nei programmi francesi. Per la Rosselli questa è un'esperienza nuova, fra situazioni ed interessi che sovente minacciano l'esistenza stessa della formazione".
Solo pochi mesi prima sarebbe stato impossibile per l'autore del diario afferrare in modo semplice e lucido la complessità della situazione internazionale. L'incidente in moto del 24 settembre 1944, che allontanò Nuto dalla zona d'azione partigiana, fornì invece l'occasione per spingersi ancora più addentro al retroscena politico, in una fase in cui il partigianato si trasformava radicalmente: «una brigata che porta il nome di Carlo Rosselli, deve avere un preciso orientamento ideologico, e una visione non limitata al momento, ma spinta al poi, ai problemi del domani, al profondo rinnovamento della vita del nostro paese».
Gianluca Cinelli, Gli scrittori partigiani del Cuneese
 
I prodromi della pianurizzazione e la nascita della X divisione.
La conclusione dell’estate 1944 porta, per le formazioni partigiane del Cuneese, strascichi gravi. Le unità, appesantite dalle massicce adesioni di quei mesi, hanno perso l’elasticità e l’agilità necessarie alla pratica della guerriglia e quasi tutte le brigate sono diventate simili a reparti di presidio con distaccamenti fissi, legati a frazioni e borgate.
Lo sbarco alleato in Provenza moltiplica le illusorie speranze di una conclusione a breve delle ostilità, presto vanificate dall’attestamento delle unità francoamericane sullo spartiacque fra Francia ed Italia <1.
I rastrellamenti dell’agosto e del settembre 1944 pongono così in crisi la sovradimensionata struttura partigiana del Cuneese occidentale e riconsegnano alla RSI le sue principali vallate, in particolare quelle dotate di una strada carrozzabile <2.
Le valli Vermenagna, Roja, Stura e Varaita sono largamente controllate dalle forze tedesche e repubblicane; le valli Gesso, Maira e Po sono invece presidiate con guarnigioni nei principali centri e nelle strutture atte alla produzione di energia idroelettrica.
Garibaldini e giellisti sono costretti a ripiegare in Francia o a disperdersi, in attesa di ordini.
[NOTE]
1 In merito alle unità germaniche cfr. Carlo Gentile, Le forze tedesche di occupazione e il fronte delle Alpi occidentali, in Il Presente e la storia, 1994/46.
2 Cfr. Mario Giovana, Storia di una formazione partigiana, Torino, Einaudi, 1964, p. 321 e Marco Ruzzi, Garibaldini in Val Varaita 1943 – 1945. Tra valori e contraddizioni, ANPI Verzuolo, 1997, p. 152.
Marco Ruzzi, La X Divisione Giustizia e Libertà, Asti Contemporanea, n. 7, 2000, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Asti
 
A partire dal 20 agosto 1944, partigiani italiani della Valle Stura si portano in Haute-Tinée, il gruppo Spada attraverso i colli di Pouriac e del Fer, il gruppo Nuto Revelli attraverso il colle della Lombarda, permettendo così di rinforzare la difesa della valle dal momento che il grosso dei FFI sono raccolti davanti a Levens. Soldati della 90e Panzergrenadier occupano i colli di frontieras, operano ancora alcune incursioni in territorio francese, occupano Bollène il 21, s'installano a l'Aution il 22, a Belvédère il 24, a St-Martin-Vésubie il 26, inducono il gruppo Hochcorn (del capitano Imbert) a ripiegare di notte, attraverso il colle del Fort, con gli zoccoli dei muli avvolti in stracci per attutire il rumore, sino a Clans. Il 25 agosto, i 250 uomini della brigata "Giustizia e Libertà" Carlo Rosselli - comandata dal capitano Nuto Revelli - entrano in Mollières accompagnati dal loro ufficiale di collegamento britannico Flight. Qust'ultimo organizza un incontro in Peirablanca con il dottor Jouglard ed il colonnello Marchesi, dal quale consegue il passaggio in Francia della predetta unità per il giorno 27, così che i partigiani arrivano l'indomani a Isola, ben accolti dalla popolazione.
In Val Roia, aerei alleati mitragliano un convoglio tedesco il 16 agosto sul col de Brouis e lanciano 70 bombe sulla stazione di Breil e sul quartiere della Giandola il 16 ed il 18 agosto; l'unità SS che era sul litorale ripiega nella valle, si sofferma dal 18 al 21 a Fontan e a Saorge, dove prende 3 gendarmi in ostaggio; le truppe tedesche di passaggio moltiplicano le requisizioni, se non veri e propri atti di saccheggio.
Jean-Louis Panicacci, Les Alpes-Maritimes, 1939-1945. Un département dans la tourmente, Editions Serre, 1989
 
[...] vicenda in cui fu impegnata sul Fronte delle Alpi Marittime, nell'inverno ’44-’45, alle dipendenze operative della I^ Armata Francese, la brigata «Carlo Rosselli» di Valle Stura, incorporata nella I^ Divisione Alpina Giustizia e Libertà del Cuneese, le cui bande controllavano appunto, oltre alla suddetta, le valli della Grana, del Gesso, della Vermenagna e della Roja [...] 

Lago del Colle Sant'Anna nel comune di Vinadio (CN) - Fonte: Wikipedia

La decisione venne presa in una riunione a Mollières (Baracche di Castiglione - Sant'Anna di Vinadio). Versante francese e versante italiano erano percorsi da colonne tedesche ripieganti dalla Costa Azzurra: la brigata veniva a trovarsi nel bel mezzo di questo confuso movimento e non era certo in grado di affrontare nuovi scontri. Il progetto primitivo del comando italiano era di risalire, con un itinerario quanto mai periglioso e faticoso, la catena montuosa sino alla Valle Roja, per tentare da questa lo spostamento verso le valli del monregalese. Le insistenze del maggiore Flight (il quale teneva costante contatto radio con il suo comando di Brindisi) fecero sì che fosse accettata la sua proposta di scendere in Francia, per la difesa della media e alta Valle della Tinée. Il 29 agosto [1944], la formazione si installa in Isola, capoluogo della valle, dove avviene anche l'incontro con le avanguardie americane. Due giorni prima, il 27, Nizza è insorta cacciando i tedeschi, i quali ripiegano sul Colle di Larche. Immediatamente i partigiani entrano in azione, attaccando già il 1° settembre le Baracche di Castiglione. Ebbe inizio così l’attività della brigata sul fronte alpino francese, in appoggio alle forze americane del settore, con attacchi ai fortini occupati dai tedeschi, azioni di pattuglia e di presidio dei centri della zona (Isola, Àuron, Bourgeais). Quivi respinse anche due forti puntate offensive del nemico, lasciando sul terreno due dei suoi migliori ufficiali, Arrigo Guerci e Mario Bertone. Quando il 15 settembre la formazione viene trasferita su camions americani a Belvedere, in Val Vésubie, il suo ruolino di combattimento in zona francese reca un triste bilancio: 2 ufficiali morti e 3 feriti, 1 morto e 12 feriti fra i partigiani, 2 dispersi. A Belvedere la «Rosselli» continua la sua attività di pattuglie, controllando un tratto di fronte che le era stato affidato e cioè la linea a sbarramento della Valle Gordelasca e le fortificazioni dell’Authion; fra l’altro, il 19 settembre, un suo gruppo penetra profondamente nei capisaldi tedeschi e sostiene in accanito scontro con aliquote nemiche presso Turini. Il 16 ottobre giunge già a Belvedere il primo collegamento dall’Italia, recante importantissime notizie per gli americani, ossia dati sulle forze, dislocazione comandi e artiglierie in Valle Roja e attestamento sul fronte alpino delle divisioni tedesche. A presidiare il settore, intanto, si è disposta la lèr Armée Groupement Alpini-Sud, sotto il comando del colonnello Lanusse, la quale sostituisce i due battaglioni di paracadutisti americani con cui la «Rosselli» aveva sino allora operato. Fra la formazione partigiana ed il nucleo americano non erano intervenuti che accordi verbali; le bande si erano spontaneamente assunto un gravoso incarico di pattugliamento sulla linea tenuta dai paracadutisti, sino dai primi giorni, ed il comando alleato ne apprezzò ben presto l'utilità, stabilendo una sorta di coordinamento con la sua azione. Li rifornì di armi, vestiario e viveri, giovandosi largamente dell'esperienza, dell'allenamento alle fatiche della montagna e delle capacità combattentistiche dei partigiani. Non fu tuttavia sanzionata una dipendenza della «Rosselli» dal comando paracadutista, nè definiti in precisi accordi impegni che vincolassero i due comandi. Ciò si spiega tenendo conto principalmente e della diffidenza che i partigiani nutrivano verso una qualunque forma di accordo che limitasse la loro autonomia e delle caratteristiche operative del reparto americano, destinato ad improvvisi spostamenti, fortemente autonomo! rispetto ai propri comandi e con compiti di «punta avanzata» [...] Con la partenza degli americani e l'insediamento dei presidi francesi la posizione della brigata si fa difficile. Pur continuando a svolgere il suo lavoro di pattugliamento e di controllo del settore, essa si presentava sempre come unità di partigiani italiani, del tutto indipendente, schierata accanto a forze francesi che non erano più appartenenti ai gruppi «maquis» ma vere e proprie truppe dell’esercito degollista. 

Copia fotografica del frasario convenzionale concordato fra il comando della I^ Divisione G.L. di Pradleves ed il Comando della Rosselli a Belvedere - Fonte: Rete Parri

Dalla seconda metà di settembre alla prima di dicembre perdura una tale situazione incerta. Rientrato in Italia, il 4 ottobre, il comando della I^ Divisione, vengono fatti i primi approcci con il comando francese, il quale acconsente a che le bande della brigata rimangano in Val Vésubie, con l'incarico di stabilire un servizio di collegamento fra le linee alleate e le formazioni «G.L.» di stanza nel cuneese; lo scopo tendeva ad ottenere dettagliate informazioni sui movimenti tedeschi nel settore, alpino ed in Piemonte. I tentativi sono prontamente messi in atto dai partigiani, nonostante le condizioni atmosferiche avverse, la neve abbondante che copre i colli, l’equipaggiamento assolutamente inadatto [...] stato di cose, unito al sistematico controllo da parte dei tedeschi di ogni tratto di valico sul confine, frustrava anche le speranze della brigata di poter rientrare nel cuneese, poiché era assurdo tentare il trasferimento di qualche centinaio di uomini in siffatte condizioni. D'altro canto con l'avanzare dell’inverno e l'accrescersi delle difficoltà di approvvigionamento (il comando francese concedeva un minimo prelievo di viveri presso i suoi magazzini ed i partigiani vivevano in parte con scatolame, residuo di lanci americani in Val Tinée, e in parte acquistando dalla popolazione) fu giocoforza cercare di concludere un accordo preciso con gli alleati. Il comando della Ière Armée chiese in un primo tempo che la brigata si trasferisse ad Isola, in forza al 2° Gruppo di Battaglioni - Groupement Colonnello Guien. La richiesta venne parzialmente accolta con l'invio di 50 volontari, ma il grosso non abbandonò la primitiva sede. A metà dicembre, l'ordine improvviso: la brigata deve trasferirsi a Mentone per essere incorporata nel 74° battaglione stranieri, una specie di legione straniera in via di costituzione, di cui facevano parte polacchi, ungheresi, cechi, russi ecc. A rendere più convincente l'ordine, i partigiani ebbero tagliati i viveri per tre giorni: inoltre il comando francese di Isola cercò di distribuire danaro ai volontari del locale distaccamento, danaro che fu seccamente respinto. L’atmosfera si faceva pesante. Il comando della «Rosselli» non frappose indugi ed inviò al colonnello Lanusse un esposto, riassumente l'attività della formazione fino al momento in cui era giunto l’ordine di trasferirsi a Mentone; documento sereno, fermo, da cui emerge la volontà di ufficiali e partigiani di non piegarsi ad imposizioni che possano condurre, in qualunque forma, alla perdita dell’autonomia del reparto, della sua fisonomia schiettamente partigiana e, sopratutto, a spezzare i contatti con il comando di Pradleves ed i compagni che combattono nel cuneese. Di fronte all'alternativa posta loro, battaglione straniero o ritorno in Italia, la replica è netta: dopo aver fatto presente quale sia stato il loro apporto alla causa comune e quali possano essere i vantaggi di un lavoro di collegamento con le valli presidiate dalla Ia Divisione «G.L.», dichiarano, senza iattanza, senza retorica, che la scelta è fatta: «... nous sommes résolus à repasser les montagnes au prix de n'importe quel sacrifice» [...] 

Copia fotografica del biglietto inviato dal Col. Yarborought al Comando della Brigata Rosselli - Fonte: Rete Parri

I 185 volontari della «Rosselli» sapevano ciò che poteva significare «rivalicare la montagna». Grosse pattuglie tedesche controllavano ogni via di possibile transito, nonché le valli della Roja e della Stura fino al loro sbocco in pianura; postazioni di mitragliatrici e mortai tenevano sotto vista tutti i punti chiave della linea. Rientrando, novanta probabilità su cento di scontro in alta montagna, dopo magari due giorni di marcia estenuante, in condizioni di temperatura e di neve pessime. E mancava totalmente l'attrezzatura per un simile «raid» [...] i partigiani avevano indumenti di tela e lo scarso bagaglio personale di ciascun volontario s'era arricchito unicamente di qualche farsetto e di qualche maglia, raccolti dai C.L.N. italiani costituitisi in Nizza e Montecarlo. 

Cima Lusiera, con interferenze di Valmasca - Foto: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)

Se una minima possibilità di valico fosse sussistita, il comando partigiano l'avrebbe sfruttata; ma affrontare la montagna in condizioni proibitive era impresa pazzesca. Perciò l'ultima speranza era rivolta all'accoglimento da parte alleata delle ragioni motivate nell'istanza. L'«exposé» del comandante della Rosselli viene preso in considerazione dal colonnello Lanusse. I francesi, presso i quali ad onor del vero i partigiani troveranno spesso maggior sensibilità, comprendono evidentemente la responsabilità che graverebbe su di loro qualora la brigata risolvesse di tentare il forzamento delle linee nemiche. Dal comandante della lère Armée i partigiani ottengono formale assicurazione che si provvederà a una sistemazione onorevole delle bande nell'ambito del raggruppamento alpino francese. Senonché, avuto sentore di un possibile accordo della «Rosselli» con Lanusse, la missione inglese di Nizza, comandata dal maggiore Betz, corre ai ripari, cercando di imporre i suoi disegni. Vengono inviati due ufficiali agli accantonamenti della brigata, con la richiesta di un elenco dei volontari della formazione disposti a rientrare in patria. Il piano della Special Force par profilarsi in questi termini: ottenere lo sfasciamento dell'unità partigiana per impegnare gli uomini in piccoli nuclei di guastatori ed inviarli in missione nel cuneese, alle dipendenze dirette dell'Alto comando per il Mediterraneo [...] 


 

Nella stessa giornata del 28 dicembre arriva a Belvedere un capitano della missione inglese per insistere nella richiesta degli elenchi nominativi. Gli viene presentato il documento Lanusse, in base al quale nessuna collaborazione è possibile senza la preventiva autorizzazione francese. L’ufficiale alleato non insiste ma, da questo istante, le pressioni sulla brigata perchè passi sotto controllo inglese non avranno più fine; anzi, aumenteranno nella mistura che l'attività della «Rosselli» metterà in luce le doti di abnegazione, di coraggio, di resistenza dei volontari. A prezzo di fatiche e rischi grandissimi si stabiliscono i collegamenti con il Comando della I^ Divisione a Pradleves (Valle Grana) e con il Comando della Brigata Roja, sito in alta valle. Le pattuglie portano in Italia armi, apparecchi radio, vestiario, e ritornano con lunghi rapporti informativi sulla situazione partigiana e del nemico in Piemonte, sulla dislocazione ed entità numerica delle forze tedesche, con notizie di ogni sorta. Tre, quattro, fino a sei giorni di marcia nella neve, sgusciando attraverso il dispositivo di pattuglie tedesche, affrontando tormenta e valanghe. 

La Rocca dell'Abisso vista dalla Bassa di Peirafica - Foto: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)

Ecco la relazione su una di queste autentiche imprese: «Pattuglia per il collegamento con i partigiani in Italia, da parte della Brigata «Rosselli» con il Comando della I^ Divisione Alpina Gielle. Due uomini. Da Belvedere a Pradleves (ore 13 del 17-12-'44) - Itinerario: Falso Colle del Ruas-Grangie di Ceva (Pernottamento). Riparte alle 5 del 18-12 e raggiunge il lago de Le Mesce (Valle Roja) verso le 19, proseguendo per Casterino-Peirafica. (Pernottamento). - Partenza da Peirafica alle ore 3 del 19-12 - Percorso: Forte Giaura-Limonetto. Da Limonetto partenza alle ore 5 del 20-12 - Percorso: Colle dell’Arpiola-Pallanfré (Vernante) - Pernottamento, presso un distaccamento della Brigata Vermenagna. Giorno 21-12-'44: ore 14 - Percorso: Colle di Cerse-Roaschia-Andonno-Tetti Rabas-Valloriate (pernottamento). Giorno 22-12: Valloriate-Gorré-Rittana-Monterosso-Pradleves» [...] gli inglesi giocavano a carte scoperte, pur concedendo il riconoscimento di una dipendenza della brigata dal comando della 19a divisione e dal C.V.L. italiano e assicurando che, al momento del rientro in patria, essa avrebbe preso ordini unicamente dal C.L.N. Fu loro fatto presente che la situazione del fronte ed, ancor più, quella della montagna non erano tali da consentire il transito sia pure a gruppi di trenta-quaranta uomini. La risposta venne con un ultimatum, a fine febbraio, col quale si lasciavano ventiquattro ore alla formazione per decidere: o trasferirsi o sciogliersi. L'ultimatum fu reso noto in un incontro fra il colonnello inglese comandante le missioni sul fronte alpino, ed i comandanti della Rosselli, presente il maggiore Betz. Espresso duramente, si concludeva con la minaccia di internamento di tutti i componenti il reparto [...] 
 
La zona di Casterino - Foto: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)

Il comando della Rosselli decise di optare per la prima soluzione, fermo restando che sarebbe stato concesso alle bande il tempo per preparare il passaggio con sufficiente meticolosità. Furono compilate lettere di coloro che intendevano seguire il reparto e solo alcuni pochi chiesero di rimanere. Ebbe inizio tutta una accurata preparazione ed uno speciale allenamento per consentire ai volontari di affrontare l'ardua avventura; punte esplorative saggiarono la sorveglianza nemica sui percorsi, cercando altresì la via meno disagevole. 
 
La zona del Col Sabbione - Foto: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)

Il 10 marzo parte il primo gruppo, con itinerario Rifugio Imperia-Col del Sabbione-Col di Tenda e discesa in Vermenagna: ventotto ore di estenuante cammino, con un carico che supera i venticinque chilogrammi per ciascun uomo, fino a Peirafica. Gli avvistamenti tedeschi avevano seguito i movimenti del gruppo e, la mattina del 14, forti nuclei tentano l'attacco ma devono desistere nel pomeriggio e ritirarsi su Vernante. Il 16, sul far del mezzogiorno, Pradleves è raggiunta. Sei giorni di marcia, un’odissea che ha sfiancato tutti; il 20 tuttavia, i volontari della Rosselli ripartono per la Valle Stura e riprendono l'attività operativa. Il grosso della brigata, rimasto in Val Vésubie, si appresta a sua volta al passaggio, sotto la guida del comandante Revelli. I rapporti con gli alleati sono tesi; il comandante Revelli si è accorto che la missione inglese altera i radiogrammi provenienti da Pradleves e indirizzati alla brigata, con il preciso scopo di creare degli attriti fra i due comandi. Invia allora una staffetta, recante un frasario convenzionale per gli scambi radio; il tenore delle frasi concordate denota chiaramente quanto grave fosse la situazione [...] Il passaggio del primo gruppo di volontari ha, intanto, messo in allarme tutti i dispositivi di controllo tedeschi che rafforzano la sorveglianza al Colle del Sabbione, unico passaggio sfruttabile. Gli ottanta uomini di Revelli, dopo aver cercato, il 3 aprile, di infiltrarsi fra le maglie nemiche in questa direzione, si risolvono a prendere un'altra via: per la Val Durance ed il Colle Maurin, scendono in Valle Macra. Ancora puntate esplorative e preparativi per una dozzina di giorni, poi, il 18 aprile, partenza. Al Colle Maurin, il presidio tedesco sbarra il passo: la colonna giellista riesce ad evitarlo e, dopo 38 ore filate di cammino, giunge in alta Valle Macra. La Brigata Rosselli è nuovamente in linea, nel V° settore partigiano piemontese, perfettamente inquadrata; nei giorni della liberazione, i volontari del «Groupe Nuto» prenderanno parte alla conquista di Cuneo.
 
Mario Giovana, Una formazione partigiana in terra di Francia, Italia contemporanea (già Il Movimento di liberazione in Italia dal 1949 al 1973) n. 3, 1949,  Rete Parri