domenica 10 settembre 2023

Sono dunque costretti a rinunciare al viaggio in Corsica e a ritornare a nascondersi nella casa di Beppe Porcheddu



Una notte, nel novembre del 1943, quando Lina Meiffret e Renato Brunati, come già riferito, erano sicuramente già controllati per la loro attività, vengono loro consegnati dai partigiani che pattugliavano costantemente la zona di Baiardo due sbandati che si rivelano poi essere due inglesi, il maggiore Michael Ross e George Bell, ufficiale dell’HLI (Highland Light Infantry), scappati dal campo di prigionia di Fontanellato (Parma), nella speranza di raggiungere il confine con la Francia <43.
Si palesa immediatamente la necessità di portare via dalla villa i due uomini: non avrebbero saputo come prendersene cura e tenerli nascosti, anche se solo per il tempo necessario ad organizzare la loro fuga verso il confine; la situazione sarebbe stata evidentemente molto rischiosa per tutti, soprattutto per il fatto che si trattava di due uomini delle Forze alleate che, se scoperti, sarebbero stati fucilati all’istante, come già accaduto ad altri <44. Così, la sera del terzo giorno di permanenza nella villa di Baiardo, dopo il coprifuoco, Lina e Renato decidono di portarli in un luogo più sicuro, un rifugio nei boschi, in attesa di riuscire a trovare qualcuno che possa far loro da guida fino al vicino confine francese. Dopo aver preso accordi con il loro amico Beppe Porcheddu, un antifascista a capo del gruppo che operava nella zona di Bordighera-Arziglia <45, decidono di portarli nella villa dello stesso Porcheddu, dal nome “Llo di Mare”, dove Lina e Renato li lasciano per alcuni giorni. La situazione però si complica: la persona che avrebbe dovuto aiutarli nella fuga verso la Corsica (si era optato per questa soluzione che sembrava più sicura dal momento che il confine francese era pericolosamente e costantemente sorvegliato, mentre l’isola era passata da poco sotto il controllo delle Forze alleate), è irreperibile e nuovi uomini arrivano nel gruppo d’azione di Baiardo. È meglio che nessun altro sappia della presenza dei due inglesi. Si decide così di riportarli sulla costa dove Renato mette a disposizione la sua casa di Bordighera. Il mattino dopo il loro arrivo, però, Lina e Renato vengono portati via dai carabinieri per essere interrogati per la diffusione di materiale sovversivo; fortunatamente i due ufficiali riescono a fuggire e vengono tenuti nascosti dai partigiani operanti nella zona per qualche tempo a Negi, un luogo sicuro tra i monti, per poi ritornare sulla costa al momento della scoperta di una barca abbandonata (le imbarcazioni private non si trovavano, quelle poche ancora in uso erano state requisite dai tedeschi) nel giardino di una villa. Finalmente la salvezza sembra avvicinarsi, ma, dopo appena cinquanta metri di navigazione, una falla nell’imbarcazione fa capire che la libertà è ancora lontana.
Sono dunque costretti a rinunciare al viaggio in Corsica e a ritornare a nascondersi nella casa di Beppe Porcheddu. Siamo verso la fine di dicembre 1943, le feste natalizie sono passate e arriva la notizia che Lina e Renato sono stati liberati. A “Llo di Mare” i due inglesi occupano una stanza da letto ‘particolare’ in cui poter trovare rifugio in caso di pericolo (scappare dal giardino, benché vasto, in caso di visite inattese della polizia, avrebbe certamente significato essere scoperti): è infatti dotata di un sicuro nascondiglio, rappresentato da una stretta porta, nascosta da un pesante armadio, che conduceva in una minuscola stanzetta di appena un metro quadro, dotata di pannello con ripiani, che dava l’impressione di una libreria e che fungeva da seconda porta. Questa soluzione risultò vincente in diverse occasioni come, ad esempio, quando, nella primavera del 1944, due uomini della polizia del quartier generale di Imperia, che conoscevano bene le posizioni politiche della famiglia Porcheddu, perquisirono accuratamente la casa, accusando Beppe di un presunto rapporto con i movimenti clandestini e con gli ufficiali inglesi.
 
La copertina del citato libro di Michael Ross, ripubblicato di recente - con altro titolo - a cura del figlio David

Non fu certamente facile tenere in casa due prigionieri evasi <46 e, per giunta, inglesi, la probabilità di essere scoperti era molto elevata, troppe persone aderenti alla Resistenza si recavano a casa Porcheddu per incontrarsi con Beppe, la situazione si stava facendo pericolosa, soprattutto dopo il primo arresto di Lina e Renato, poiché sicuramente la polizia teneva la villa sotto controllo.
Così si organizza un loro ritorno a Baiardo con Lina e Renato, ma la villa era stata nel frattempo rovistata, verosimilmente dai fascisti: tutto era rotto, rovesciato a terra, cuscini e materassi sventrati, letti fuori uso. Fortunatamente il rifugio nei boschi non era stato scoperto e, dunque, si nascondono lì per un po’ di tempo, in attesa che venga trovata per loro una qualche sistemazione. Dopo qualche giorno Lina e Renato lasciano Baiardo per recarsi a Sanremo, delle faccende urgenti li attendono: ancora non sanno che Lina rivedrà Michael solo alla fine della guerra, mentre Renato non farà più ritorno. Una settimana dopo aver lasciato il rifugio, infatti, Lina e Renato saranno nuovamente arrestati e, questa volta, definitivamente.
I due ufficiali resteranno ancora per tutto l’inverno 1944 nella villa di Beppe Porcheddu, le Forze alleate avevano sì occupato con successo le coste del Mediterraneo ed erano arrivate sulla costa francese tra Nizza e St. Tropez, ma, nonostante il quartier generale fosse stato stabilito a 50 miglia da Bordighera, era ancora impossibile raggiungere le basi alleate <47.

Dal libro, citato, di Michael Ross

Finalmente, ma siamo già nel marzo del 1945, un nuovo tentativo via mare ha successo e, remando fino a Monte Carlo, Michael Ross e George Bell guadagnano la libertà <48.

Tav. 8. Fonte: Sarah Clarke,  art. cit. infra

Per il coraggio dimostrato in questa azione Lina, a guerra finita, riceve dal Maresciallo britannico H.R. Alexander, Comandante Supremo delle Forze Alleate del Mediterraneo, un certificato di gratitudine e riconoscimento per l’aiuto portato ai due ufficiali inglesi (Tav. 8). Michael Ross, inoltre, appresa la notizia della liberazione di Lina e del suo rientro a Sanremo dopo la prigionia, le invierà una lettera in cui ricorderà i momenti vissuti, l’aiuto ricevuto e la figura di Renato, l’amico scomparso.
L’ex ufficiale inglese, ritornato nel 1946 a Bordighera per ritrovare la famiglia Porcheddu, a cui doveva la propria salvezza, sposerà nello stesso anno una delle figlie di Beppe, Giovanna, e la Liguria resterà per sempre nel suo cuore, tanto che deciderà di dividere la sua esistenza tra l’Inghilterra e Bordighera a cui tanti ricordi lo avevano legato. Michael Ross muore nel marzo 2012, all’età di 94 anni. Lina intratterrà sempre una fitta corrispondenza e avrà continui rapporti con i coniugi Ross.
[NOTE]
43 Per le informazioni relative a questa vicenda, all’importante ruolo che Lina e Renato svolsero (con una bella e fedele descrizione, anche fisica - una delle poche, se non l’unica - degli stessi Lina e Renato), alle notevoli difficoltà che incontrarono, ai due arresti e all’organizzazione del gruppo d’azione di Baiardo, si veda il libro più volte citato, "From Liguria with love: capture, imprisonment and escape in wartime Italy", scritto da uno dei due protagonisti, Michael Ross, specialmente i capitoli 17-19 (il cap. 17 ha il titolo evocativo "Chance Meeting with the Resistance"), pp. 157 ss.. Per le vicende dei due ufficiali britannici, cfr. anche Gandolfo, "Sanremo in guerra" cit., p. 138. Le traversie che essi dovettero affrontare emergono chiaramente, oltre che nel racconto di Ross, anche nella corrispondenza che egli ebbe con la Meiffret (ne è testimone la lettera a Lina in cui Ross descrive come avvenne l’incontro con lei e con Renato).
44 Cfr. Ross, "From Liguria with love" cit., p. 172.
45 Si veda quanto già detto alla nota 7 a proposito di Porcheddu.
46 Per le vicende che videro coinvolto Beppe Porcheddu, gli arresti domiciliari e gli interrogatori, si veda Ross, "From Liguria with love" cit., pp. 174 ss. Quando Beppe fu convocato ad Imperia per essere interrogato, fu messo faccia a faccia per un confronto proprio con il suo vecchio amico Renato Brunati, arrestato da qualche tempo, e tenuto prigioniero nelle carceri della città ligure (cfr. ivi, p. 176).
47 Si aggiunse anche un’altra difficoltà: il nome di Beppe era in cima alla lista delle persone che sarebbero state arrestate a breve dai tedeschi. Velocemente la villa di “Llo di Mare” fu abbandonata e la famiglia Porcheddu fu costretta a nascondersi in vari luoghi. Cfr. Ross, "From Liguria with love" cit., pp. 183-84.
48 Per la conclusione di questa avventura dei due ufficiali inglesi con l’agognato arrivo sulle coste francesi, si veda Ross, "From Liguria with love" cit., cap. 19 dal titolo "At large with Partisans", pp. 186 ss.
Sarah Clarke, Lina Meiffret: storia di una partigiana sanremese deportata nei lager nazisti e dei suoi documenti, Per leggere, XIX, N. 36, 2019

mercoledì 16 agosto 2023

Aiutarli a scappare per raggiungere la zona partigiana

San Michele, Frazione di Olivetta San Michele (IM)

Briga Marittima, oggi La Brigue, Val Roia francese, Dipartimento delle Alpi Marittime, nei primi mesi del 1945 era controllata da circa 40 genieri della Repubblica di Salò e da un centinaio di soldati della Wehrmacht, dei quali metà erano tedeschi e metà slavi. Questi ultimi sul finire di gennaio cercarono di contattare i garibaldini della I^ Zona Operativa Liguria. Verso metà febbraio una ventina di loro riuscirono a fuggire dal presidio di Briga. San Dalmazzo di Tenda e Tenda erano presidiate da militari della Divisione “Muti”, da altri 40 soldati repubblichini e solo da alcuni tedeschi. Libri, Breglio (Breil-sur-Roya), Piena, Olivetta San Michele a metà febbraio apparivano ormai sgombre di presenze nazifasciste. Lo stesso accadde per Saorge nei primi dieci giorni di marzo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
I russi erano scappati da Briga dove i tedeschi li tenevano a lavorare nelle fortificazioni, e per un po’ avevano girato nei paraggi, spaventando le donne sole in casa la notte che non li capivano e li credevano tedeschi. Poi erano riusciti a raggiungerci, e, insieme a qualche alsaziano o lorenese che aveva disertato dall’esercito tedesco, costituivano la Squadra Internazionale e avevano in dotazione l’arma più bella del battaglione, il Mayerling sputafuoco. Subito, come succede, si creò intorno alla Squadra Internazionale la leggenda che fosse la squadra più affiatata, più sfegatata, più disciplinata del battaglione. Non che in effetti non fosse così, ma c’era in quella ammirazione per loro, in quel portar loro ad esempio da parte dei comandanti, un qualcosa di leggendario, di dato per irraggiungibile. Noi ci sentivamo gli italiani, gente che non si lava, non si spidocchia, che va stracciata, che litiga tra sé, che urla e spara per nulla, che non sa bene perché è da questa parte e non dall’altra pure si batte a morte, carica di furore; loro i russi, un mondo sereno, che ha già deciso tutto, e ora sa di far la guerra, e continua a farla, con entusiasmo e odio e metodo, ma senz’abbandonarcisi, tenendo le armi pulite come specchi, non barando sui turni di guardia, non litigandosi sull’andare a legna, come continuassero una naja per conto loro, senz’ufficiali né consegne.
Italo Calvino, Romanzi e racconti, Mondadori, 1994, p. 846
 
31 gennaio 1945 - Da "Laios" al comando della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Informava che a Briga [La Brigue, Alpes-Maritimes, Vallée de la Roya. In tutta la zona di confine, in particolare attraverso la Val Roia, proprio in quel periodo si intensificarono gli sforzi per fare penetrare agenti francesi] si trovavano 30-40 tedeschi, 50 russi ed alcuni militari della RSI e che "Natalin della Gamba" aveva riferito che i russi di Briga gli avevano chiesto l'ubicazione delle forze partigiane, "pregandolo di aiutarli a scappare per raggiungere la zona partigiana".
16 febbraio 1945 - Dal comando del I° Battaglione "Mario Bini", prot. n° 45, al comando della V^ Brigata e al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava...  che a Briga Marittima erano stanziati circa 100 uomini tra tedeschi e russi, oltre a 40 genieri della RSI; che sempre da Briga erano fuggiti una ventina di soldati, in prevalenza russi, ricercati dai tedeschi; che Tenda era stata bombardata da aerei alleati, che avevano causato la morte anche di 2 ufficiali; che Fontan, Saorge, Forte Tirion e San Michele [n.d.r.: Frazione di Olivetta San Michele (IM)] erano occupati da tedeschi, che Breil, Libri, Piena e Olivetta [n.d.r.: il borgo principale di Olivetta San Michele] erano terra di nessuno.
17 marzo 1945 - Da "Carmelita" a "Fuoco" [partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] - Inviava l'elenco degli appartenenti alle bande fasciste ed alla G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana) che furono in territorio francese, in particolare la serie di nominativi della G.N.R. di Mentone, 30 uomini, Antibes 4, Beausoleil 2, Nizza e zone limitrofe 35.
10 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 381, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione - Comunicava... Sosteneva che l'esercito francese aveva conquistato importanti punti strategici.
11 aprile 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Veniva comunicato l’imminente sbarco [n.d.r.: sbarco clandestino, a Vallecrosia (IM)] del capitano Bartali [n.d.r.: Giovanni Bortoluzzi, già a capo a settembre 1943 di una prima banda di partigiani in Località Vadino di Albenga (IM), poi dirigente sapista in quella zona, capo missione della Divisione “Silvio Bonfante” presso gli Alleati, vicecapo della Missione Alleata nella I^ Zona nei giorni della Liberazione] e veniva ordinato di tenere a disposizione dello scrivente comando eventuale materiale arrivato nel frattempo via mare.
13 aprile 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria a Orsini [Agostino Bramè, commissario politico della V^ Brigata] - Si sollecitava maggiore attenzione nell'individuare per tempo e nell'avvertire dei movimenti del nemico rispetto alla tematica sbarchi [n.d.r.: sempre effettuati a Vallecrosia], in quanto il motoscafo di Renzo [Renzo Stienca Rossi], ricevuta una segnalazione sospetta dalla costa, era appena tornato indietro.
19 aprile 1945 - Da "Tina" [n.d.r.: probabilmente Battistina Mucignat, nata a Rezzo (IM) il 29/10/1916, patriota della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione"] al comandante [della II^ Divisione "Felice Cascione"] "Vittò" [Giuseppe Vittorio Guglielmo] - Segnalava che "Briga è campo libero, nella notte partiranno tutte le truppe, nella giornata in corso non opereranno alcuna sortita, regolarsi di conseguenza".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II
 
L’operazione «Canard»: 11-17 aprile 1945
Sul massiccio dell’Authion, la linea di difesa era presidiata dai due battaglioni del 107° reggimento della 34a divisione, sostenuti da un potente schieramento di artiglieria. L’azione principale si svolse il 10 e l’11 aprile, e la sera del 12 l’Authion cadde in mani francesi, mentre i forti a sudest e quelli della Baisse de Saint-Véran e della Tête de la Secca resistevano. Il 14 l’attacco progredì tra il passo di Barbacane e la cima di Sespoul; il giorno dopo fu occupato il paese di Bréil, mentre un reparto scese nel vallone del Caïros, minacciando Saorge. Il 16 le batterie tedesche intervennero pesantemente, fermando ogni tentativo di avanzare lungo la Val Roya, mentre sulle vie di comunicazione venivano compiute distruzioni. L’operazione  verso il col  di  Tenda  fu  sospesa  per  attaccare  invece  in  direzione  della  Valle  Stura  di  Demonte,  al  fine  di  coordinare l’azione  della 1a D.F.L. con quella prevista contro il colle della Maddalena, l’operazione «Laure». Le perdite subite dai francesi furono molto alte: 195 caduti e 714 feriti. Gli italo-tedeschi ebbero 272 prigionieri, subendo perdite pesanti in morti e feriti, ma riuscirono a tamponare l’attacco e a mantenere il possesso del col di Tenda. L’operazione «Canard» bloccò comunque una delle vie di ritirata, tagliando la Val Roya […]
A Ventimiglia, il 25 [aprile 1945], un gruppo di civili italiani raggiunse la Francia per avvertire che i tedeschi se n’erano andati e il 26 i primi militari francesi entrarono nella città, subendo perdite a causa delle numerose mine disseminate dappertutto. Nel corso della giornata i francesi risalirono la Val Roya, raggiungendo Tenda e Briga, trovando difficoltà ad avanzare, viste le imponenti distruzioni e l’estensione dei campi minati. Il 29 reparti francesi raggiunsero Borgo San Dalmazzo, congiungendosi con i reparti provenienti dal colle di Tenda e con quelli arrivati dalla Valle Stura.
Alberto Turinetti di Priero, Il «fronte alpino»: 1944-1945, Alpi in Guerra (progetto Interreg)
 
Molti dei Ventimigliesi incorporati nelle unità alleate unita­mente a numerosi partigiani  parteciparono a fine marzo 1945 con le truppe alleate alla sanguinosa battaglia dell’Aution, che terminava con la cacciata delle truppe tedesche dal Bacino del Roia…
Redazione, Martirio e Resistenza della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale, Relazione per il conferimento di una Medaglia d’Oro al Valor Militare, Comune di Ventimiglia (IM), 10  aprile 1971 
 
25 aprile [1945], mercoledì
Sono scrosciate cannonate per tutta la notte. Ma allora è proprio noi che vogliono ammazzare? Ada [n.d.r. la figlia di Caterina Gaggero ved. Viale] è partita per andare a casa, ma dicono che i tedeschi, prima allontanarsi, abbiano minato dappertutto.
Di qui dalla Marina San Giuseppe è partito un battello con sopra Bottiero, Rocca e Dardano: vanno a Mentone a chiamare i francesi e a dire loro che ormai tedeschi a Ventimiglia non ve ne sono più.
Ada, nell’andare a casa, ha incontrato Lorenzo Vacca che le ha proposto di andare ad avvisare i francesi. Così sono andati fino a Mentone dove sono arrivati prima della barca. Sono tornati al pomeriggio, sani e salvi dalle mine, conducendo con sé i liberatori. Poco prima, un piccolo aereo militare, a causa di un’avaria al motore, era atterrato qui davanti a noi su un isolotto del letto del Roia e tutta la gente attraversava il fiume per avvicinarvisi il più possibile.
Ci sarebbe stato proprio da girare una pellicola! E dire che stamane sono ancora passati gli aeroplani e, subito dopo aver pranzato, abbiamo dovuto rifugiarci in galleria perché c’è stato un mitragliamento su per la vallata di Camporosso e hanno sganciato diverse bombe dalle parti di Vallecrosia.
I tedeschi che avevano fatto saltare il ponte sono stati uccisi dai patrioti a Vallecrosia. Altri tedeschi in ritirata hanno trovato la morte fra Ospedaletti e San Remo. Del ponte, soltanto due arcate sono andate distrutte e ci si può benissimo passare sopra con un carretto a mano. Il cavalcavia di Nervia è, invece, impraticabile. Nelle vicinanze della proprietà del signor Garzo, a causa delle mine, un soldato francese è morto, tre sono rimasti feriti. Pure ferita una suora e Benedé.
La bandiera bianca sventola sulla Torre Littoria. Le campane suonano a festa, per lo meno quelle poche che vi sono ancora. Quella che si trovava alla Madonna delle Virtù giace abbandonata davanti alla sede dell’U.n.p.a.. La gente, quasi incredula, esce dalla galleria, dai rifugi e dalle cantine dove ha trascorso lunghi mesi in condizioni di vita terribili.
26 aprile
Stamane sono passati Pippo e Adriano che andavano da Bataglia [n.d.r.: Caterina Gaggero ved. Viale gestiva, con l’aiuto della figlia Ada, l’osteria-trattoria Bataglia, sita tra la zona Ville e Latte, Frazione di Ventimiglia]. Ho deciso di andarci anch’io e di dormirci. Ada trasporta a casa la roba che abbiamo qui a Ventimiglia; porta su anche le galline ed io ho intenzione di trasferirmi nella nostra casa. Ora vedrò fin dove arriva il mio coraggio.
Continuano a passare truppe francesi, molti soldati sono negri. Sia i militari che i civili passano per la strada Romana.
Un mulo è stato ucciso da una mina nei pressi del signor Orazio.
Caterina Gaggero vedova Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988

lunedì 7 agosto 2023

Sbarcammo clandestini come clandestini eravamo partiti

Camporosso (IM): uno scorcio della zona dove abitava con la famiglia Alberto "Nino" Guglielmi

Raggiunti gli alleati, Domenico Mimmo Dònesi e Nino furono ingaggiati dai servizi inglesi, sottoposti ad un breve addestramento e preparati alla missione di invio dell’ufficiale di collegamento presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria, il capitano Robert Bentley, del SOE  britannico. Intorno a Natale Nino [Alberto Guglielmi]  fu inviato a preparare lo sbarco di Bentley, che avvenne il 6 gennaio 1945, sempre sulla spiaggia di Vallecrosia. Di questa missione faceva parte anche Dònesi. Capacchioni era già in attesa in zona.
appunti inediti di Giuseppe Mac Fiorucci, per Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia < Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM) >, 2007
 
Ad ogni modo presi contatto con Leo [Stefano Carabalona], che era appunto appena sbarcato in Francia in quel tempo, e poi con Kahnemann (Nuccia), il quale era pure passato a Nizza e mi posi immediatamente al lavoro. Tonino [Antonio Capacchioni], Mimmo [Domenico Dònesi] e Nino [Alberto Guglielmi] mi furono di grande ausilio durante la fase preparatoria. Le difficoltà di una traversata erano grandissime… decidemmo di inviare Nino perché preparasse il terreno… Nino venne tagliato fuori… Decidemmo di inviare Tonino…   
Robert Bentley in Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975
 
Attestato della N. 1 Special Force rilasciato alla memoria di Alberto "Nino" Guglielmi. Fonte: Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

Con mio padre ci trasferimmo a Vallecrosia Alta, perché la costa era sovente bombardata dal mare, dai cannoni di Monte Agel e mitragliata dagli aerei.
Nel gennaio del 1944 morì mia madre e mio fratello Nino [Alberto Guglielmi] non fu presente al funerale. Sparito. Dalla primavera del 1944 mio fratello iniziò a fare qualche furtiva visita nottetempo. Confabulava con mio padre, poi spariva di nuovo. Spesse volte con mio padre ritornavamo alla casa al mare e a volte papà partiva per raggiungere la Francia con la barca. La cantina a volte era piena di merci le più varie, una volta persino dei datteri. Credo a settembre del ‘44, Nino una notte portò a casa, a Vallecrosia Alta, una radio e la nascose nell’armadio a muro nell’ultima stanza. Si apprestava a sparire un’altra volta. Mi accusò di non aver chiuso bene le porte. Non era vero, ero certa di aver chiuso bene tutte le 4 porte, ma Nino mi disse che XY, un nostro parente era entrato in casa e l’aveva sorpreso mentre usava la radio. Perché la mia famiglia abitava ai Piani di Camporosso, a poca distanza dal mare, nel piccolo gruppo di case che noi chiamavamo “Tribù”.  Mio padre era pescatore e, come tutti i pescatori abitanti in riva al mare, era anche contrabbandiere. Prima dello scoppio della guerra eravamo arrivati alla casa dei nonni alla Tribù, da Beausoleil, dove i miei  vivevano emigranti negli anni ‘30. Nel 1935 mio padre si arruolò volontario per la guerra di Etiopia. Nella sua attività di contrabbandiere credo che diverse volte trasportò oltre frontiera anche degli ebrei allora perseguitati e in fuga verso altri paesi. Una volta lo sentii parlare con la mamma di “brava gente che scappava”. Forse nacque così il suo antifascismo. Mio fratello Nino accompagnava già nostro padre nei viaggi in Francia per contrabbando, quando venne arruolato, ironia della sorte, nella Guardia Confinaria e inviato proprio a Beausoleil.
Spesse volte, anche senza permesso, ritornava a casa in bicicletta per brevi visite.
L’8 settembre 1943 lo colse a Beausoleil.
Tutto il reparto come tutto il Corpo d’Armata Italiano si sfaldò. Nino ricevette vestiti borghesi dal clero della chiesa di St. Charles di Beausoleil, che lo aiutarono anche nella fuga verso l’Italia.
Nei giorni seguenti ero a Ventimiglia, che era nel marasma generale, sul lungo Roya notai tre uomini nel greto del torrente che procedevano verso la foce portando in spalla fasci di canne.
Uno di questi mi fissò e con impercettibile gesto della mano mi fece segno di allontanarmi. Era Nino. Ritornai a casa e avvisai mio padre dell’accaduto.
Quella sera mio padre non chiuse la porta di casa. A notte arrivò mio fratello.
A causa delle continue visite della Polizia che avrebbe potuto facilmente scoprire il disertore, Nino si rifugiò in località Marcora sopra Isolabona, in un casone di campagna adibito a ricovero degli attrezzi agricoli di una vigna di un nostro conoscente.
Aumentarono per tutto il 1944 le nostre visite alla casa sulla costa. Accompagnavo mio padre con in braccio mio fratellino Bruno per rendere più facile il passaggio al posto di blocco all’altezza della caserma Bevilacqua. Sorpassavamo di lato la sbarra e i tedeschi e i fascisti di guardia ci salutavano dalla guardiola. A volte trascinavamo il carretto con sopra le ceste dei fiori. A Vallecrosia Alta coltivavamo un piccola piantagione di garofani. Spesse volte tra i garofani mio padre nascondeva casse che nottetempo erano sbarcate sulla costa.
…papà nascose in un altro nascondiglio la radio. Venne la polizia rovistarono dappertutto ma fu facile dire che non sapevamo niente della radio e che non sapevamo dove Nino fosse fuggito, forse con la radio stessa.
[...] Da quei giorni nella cantina della casa al mare furono custodite anche strane casse.
Sono certa che sbarcarono o si imbarcarono anche altri soldati alleati. In particolare ricordo che prima di Natale del ‘44 una notte riapparve Nino accompagnato da un uomo alto, biondo come uno svedese e due baffoni. Erano appena sbarcati dalla barca, perché i pantaloni erano bagnati, e avevano anche diverse casse che nascosero in cantina e che vennero recuperate nei giorni successivi dagli amici di Nino: Achille, Lotti e altri. Ancora a notte partirono per Negi.
La notte della Epifania [del 1945] riapparve mio fratello Nino con “Mimmo” (Domenico Dònesi) e un ufficiale inglese [il capitano Bentley] bagnato fradicio. Era evidentemente appena sbarcato. Sistemarono delle casse in cantina poi si incamminarono di nuovo.
L’indomani, di buona ora con mio padre e mio fratellino Bruno ci incamminammo per Vallecrosia Alta. Era una strana carovana che procedeva dalla costa verso la collina di S. Croce fino all’attuale via O. Raimondo. Io, mio padre con mio fratellino sulle spalle e un carretto con delle ceste di fiori all’interno delle quali forse era nascosta una radio ricetrasmittente o altre casse, procedemmo  lungo la via provinciale per passare il posto di blocco; Elio Bregliano, Mimmo, Nino, il cap. Bentley e Mac il marconista lungo il versante della collina nascosti tra i pini e sotto i pergolati delle coltivazioni di verde ornamentale proprio dietro la caserma Bevilacqua lungo il sentiero del Nespolo. Davanti e dietro altri partigiani. All’altezza del cimitero di Vallecrosia incontrammo Achille e Lotti che avevano fatto da staffetta e portato un po’ di pane. Arrivò anche Eraldo Fullone con un carro e una mula per caricare le ceste di fiori [...] Il 26 aprile [1945] mio padre decise di ritornare a Vallecrosia.
Giunti a Ponte San Luigi non ci lasciarono rientrare in Italia. Non avevamo i documenti! Come facevamo ad avere i documenti se eravamo fuggiti clandestini?!
La guerra era appena finita e la burocrazia ottusa già manifestava tutta la sua forza.
Ritornammo a Beausoleil e mio padre affermò “Ritorniamo in Italia come ne siamo scappati”.
Un suo amico pescatore di Monaco, forse anche lui contrabbandiere, gli mise a disposizione una barca e la notte del 27 ci imbarcammo per ritornare in Italia.
Sbarcammo clandestini come clandestini eravamo partiti. Sebbene la guerra fosse finita non avevo notizie di Nino.
Fu allora che alle mie pressanti richieste mio padre mi mise al corrente che Nino era morto il 20 gennaio. Fu ammazzato a Baiardo, sulla strada per Vignai. Riuscii ad andare a Baiardo accompagnata dalla mia amica Manon per cercare dove fosse sepolto Nino.
Ritornammo ad abitare nella nostra casa alla Tribù.
Ci venne a trovare Luciano [Rosina] Mannini, che sapeva di Nino. Ci aiutò a trovare un carro e un mulo. Un amico dei partigiani di Bordighera, non ricordo chi fosse, mise a disposizione gratuitamente due bare, una per mio fratello e l’altra per Alipio Amalberti, trucidato a Badalucco.
Insieme a Ezio Amalberti, andammo a Baiardo passando da Apricale.
Una donna di Baiardo, Esterina, un’anima pia, aveva provveduto a recuperare e, alla meno peggio, a sotterrare il corpo di Nino nel cimitero.
Giungemmo a Baiardo in serata, Ezio proseguì per Badalucco.
Mi vennero in aiuto il parroco e alcuni giovani di Baiardo. Si riesumò la bara e riuscii a tagliare una ciocca di capelli di Nino che conservo ancora oggi. Dormii dentro al cimitero appoggiata alla bara con il corpo di mio fratello. Mi fece compagnia il parroco alla luce di una lampada a petrolio; era un po’ sordo e parlò a voce alta per tutta la notte. Le sue parole attirarono l’attenzione di una pattuglia francese. Erano soldati africani che ci intimarono il mani in alto con i fucili spianati.
Spiegai loro in francese che ero venuta a recuperare la salma di mio fratello che giaceva dentro la bara. Scapparono a gambe levate. L’indomani mattina ritornò Ezio con la bara di Alipio. Ritornammo a Vallecrosia scendendo da Ceriana con quel triste carico.
Al nostro passaggio la gente si segnava commossa. Il ponte danneggiato lungo la strada era stato reso parzialmente agibile con assi di fortuna. Alcuni uomini impietositi si levarono il cappello e ci aiutarono nel difficile passaggio del ponte.
Arrivammo a Vallecrosia in serata ma ci aspettavano in tanti.
Venne improvvisata una camera ardente nella sede del PCI. L’addetto alle pompe funebri con un trapano voleva praticare dei buchi nella bara di zinco, come prescriveva la legge di allora. Mi opposi ferocemente all’ulteriore scempio che avrebbe subito la salma di Nino dopo che a Baiardo a causa della bara troppo piccola gli erano state fracassate le ginocchia. L’indomani i feretri furono portati in chiesa per la cerimonia religiosa (per evitare ulteriori problemi mio padre, prima di entrare, tolse le bandiere rosse che coprivano le bare) e quindi seppelliti nel cimitero di Vallecrosia alla presenza di tutti i partigiani e di tanta, tanta gente. Mio padre aveva recuperato la radio che aveva segnato il destino di Nino. Era avvolta in una tela di sacco, al momento dell’interramento la posai sulla cassa; giace con lui.
Dopo anni mi fu consegnata un’onorificenza alla memoria di mio fratello Nino; era compreso anche un contributo in denaro, mi fecero vedere anche un assegno che però non mi consegnarono perché nel frattempo era mancato anche mio padre. Che se li tengano! Di Nino mi resta il ricordo, una medaglia al valore, una ciocca di capelli, le parole che scrisse di lui Renzo Rossi e la certezza che, senza convenienza, fece tanto e più di quello che si sa, per la libertà di tutti, anche per quel semi-parente che fece la spia e lo tradì.
Emilia Guglielmi in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit. 

domenica 2 luglio 2023

Italo Calvino e la Resistenza a Castelvittorio

Castelvittorio (IM)

Un’altra fonte che potrebbe evidenziare il rapporto tra Calvino e la brigata guidata dal comandante Erven ci giunge dal racconto Le battaglie del comandante Erven del 1945 in L’epopea dell’esercito scalzo, raccolta «dei grandi e terribili avvenimenti che ebbero luogo nella riviera di ponente durante i cinquecentonovantaquattro giorni di terrore nazi-fascista» <20. L’obiettivo principale di questo libro era quello di descrivere i fatti e gli episodi salienti della guerra di liberazione di tutta la provincia di Imperia con una cospicua documentazione fotografica e un elenco dei caduti e dei partecipanti attivi alla lotta. Considerato da alcuni studiosi un documento forse troppo colorito e non completamente attendibile, in questa raccolta sono presenti due capitoli firmati da Calvino: uno appunto dedicato al ferimento del comandante Erven, l’altro è invece un omaggio ai castellesi, abitanti di Castelvittorio, durante la Resistenza. I testi dell’Epopea non sono da ritenersi completamente attendibili: infatti non mancano errori di vario ordine come per esempio il nome di Calvino (indicato come Caldino nell’elenco generale dei partigiani) <21.
[NOTE]
20 L’epopea dell’esercito scalzo, a cura di Mario Mascia, A.L.I.S. Sanremo, s.d. [ma 1945] (firmati da Calvino sono i capitoli su Castelvittorio paese delle nostre montagne, pp. 49-50, e Le battaglie del comandante Erven, pp. 235-244). Mario Mascia, nato a Ponticelli (Napoli) nel 1900, si iscrisse al partito socialista italiano nel 1919. Dopo la laurea in Giurisprudenza lascià l’Italia per gli Stati Uniti a causa del fascismo. Tornò in Italia dove si trasferì a Sanremo e insegnò inglese all’Istituto tecnico commerciale per ragionieri, dal quale venne sospeso perché lontano dai dettami fascisti. Fondò il primo comitato anti-badogliano italiano e divenne membro del Cln di Sanremo. Morì a Sanremo all’età di sessant’anni (Romano Lupi, Italo Calvino e la Resistenza, in La città visibile: luoghi e personaggi di Sanremo nella letteratura italiana, Philobon, Ventimiglia 2016, pp. 93-103 (93).
21 Un errore che evidenzia lo stesso Calvino in una lettera a Giacomo Amoretti datata 8 aprile 1976, conservata dall’Istituto Storico della Resistenza di Imperia, con in calce la frase autografa nella quale segnalava l’errore. Lettera visionata personalmente e conservata presso l’Istituto della Resistenza di Imperia.
Elisa Longinotti, Calvino e i suoi luoghi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2022-2023

E tuttavia, Calvino non sembrava affatto intenzionato a gettare le armi, come rivelano due lettere di quello stesso 1974, scritte in risposta a due lettori di quella sua incompleta e provvisoria rievocazione: «il racconto intero non ho ancora finito di scriverlo, e contavo sull’aiuto di altri che si trovavano là e che mi possono fornire particolari che mi sono sfuggiti», rispondeva ad Alessandro Toppi - partigiano a Baiardo - segnalandogli a sua volta l’allora «introvabile» volume collettaneo sulla Resistenza nell'imperiese (L’epopea dell’esercito scalzo) <60 rispolverato per l'occasione, per "rispolverare" la memoria e rifocalizzare proprio quella rete di condizionamenti reciproci.
60 M. Mascia (a cura di), L'epopea dell'esercito scalzo, A.L.I.S., Sanremo, s.d., ma del 1945 (firmati dal giovane Calvino sono i capitoli su Castelvittorio paese delle nostre montagne, pp. 49-50 e Le battaglie del comandante Erven, pp. 235-244).
Alessandro Ottaviani, «Un atteggiamento umano senza pari»: lo spirito della Resistenza nell'opera di Calvino in Aa.Vv., Lo spirito della Resistenza. Contributi e note a margine della conferenza annuale dell'AAIS (Zurigo, maggio 2014), Quaderni di Storia e memoria, 2/2014, Ilsrec

Italo Calvino racconta:
Aggrappato in cima ad un'altura che domina Pigna, Castelvittorio, col suo aspetto di antica fortezza, sembra ancora attendere gli assalti dei corsari saraceni. Ma se la guerra moderna, tecnica e mecccanizzata disdegna queste vestigia medioevali, la guerriglia fa rinascere in pieno secolo XX lo spirito avventuroso e cavalleresco dei secoli andati.
I tenaci «Castellusi», laboriosi agricoltori e cacciatori instancabili, si trasformano in guerrieri ogni volta che l'invasione tedesca o fascista minaccia il loro paese: i 40 e più caduti della popolazione ed il molto maggior numero dei tedeschi uccisi testimoniano il loro valore.
                                                          « L'ACIDU » e « U SOCIU »
La prima volta che i Castellesi si trovarono in combattimento a faccia a faccia con i tedeschi e i fascisti, fu nei primi di luglio del '44, durante la famosa offensiva germanica contro i partigiani della zona. Salgono in forza i tedeschi e fascisti il 3 luglio ma i castellesi, cui già il giorno prima era stata saccheggiata la farina dai fascisti, sono pronti ad accoglierli. Molti sono i tedeschi che cadono a mordere la polvere sotto le fucilate di Mario, Tucin, di Giuan Grigiun, de l'«Acidu» e di « U sociu », ma alla fine i nazi-fascisti hanno il sopravvento. Sette castellesi cadono sotto il piombo tedesco, uno dei quali in combattimento. Diciannove case del paese vengono bruciate e saccheggiate.
Di questa prode popolazione le figure più battagliere ci sono date dagli anziani, bravi montanari sulla cinquantina o sulla sessantina, vecchi combattenti dell'altra guerra mondiale, tiratori infallibili per la lunga esperienza di cacciatori. Due figure tra essi meritano particolare attenzione: l'Acidu e il Sociu.
« L'Acidu », comandante della banda locale, nasconde sotto sembianze da Sancio Pancia un'anima da Don Chisciotte. Piccolo, grasso, una tonda faccia dal largo sorriso, gran cacciatore di cinghiali, « l'Acidu » fu uno dei principali animatori della resistenza armata castellese. Rischiò la morte per un pelo il giorno in cui andando incontro a una banda di partigiani che aveva visto in lontananza si sentì fischiare intorno raffiche e colpi di moschetto. Erano tedeschi travestiti! Ma l'Acidu è di gamba buona e riuscì a cavarsela.
« U Suciu », un ometto asciutto, dall'aria vivace, è il miglior tiratore del paese, quello che fece cadere sotto il suo 91 il maggior numero di tedeschi. D'indole avventurosa si fece una volta prestare il mitra da un compagno e andò a rincorrere i tedeschi nei pressi del Lago Pigo, annientandone diversi.
                                                    ATTACCHI, SACCHEGGI, STRAGI
Ma i castellesi non impugnano le armi solo per la difesa, quando si vedono direttamente minacciati, l'odio mortale che dopo le stragi di luglio essi nutrono verso l'oppressore li spinge al contrattacco. Il 19 agosto, in solidarietà con le bande partigiane, la popolazione di Castelvittorio attacca la caserma di Pigna. E il 29 agosto, mentre i fascisti sconfitti si ritirano a Isolabona, i castellesi con la banda garibaldina di «Fuoco» entrano in Pigna. Ma i nazi-fascisti non mollano: il 2 settembre avviene un grnnde attacco di tedeschi e fascisti contro Pigna, appoggiati dal tiro di 12 cannoni da Isolabona. Ma sopraggiungono i castellesi, prendono alle spalle il nemico e lo obbligano a ritirarsi a Isolabona abbandonando sul terreno morti e mitragliatori. E respinti sono pure il 5 ottobre dopo due giorni di fuoco delle artiglierie di Isolabona concentrate su Pigna e Castelvittorio. Alfine, il 10 ottobre essi hanno il sopravvento: entrano nel paese, saccheggiano e vandalizzano.
Comincia l'inverno; un inverno di sangue per i castellesi. La strage più cruenta fu quella di Monte Gordale, compiuta il 3 dicembre da tedeschi, bersaglieri e fascisti: 19 contadini furono fucilati tra cui due donne e un bambino. Altri rastrellamenti si susseguono e altri partigiani del paese vengono trucidati per la denuncia di spie.
Il 20 aprile elementi del paese catturano 9 tedeschi a Isolabona. Una pattuglia di 25 tedeschi sale per liberare i camerati ma si incontra con una banda locale comandata dall'Acido e viene messa in fuga. Questo è l'ultimo combattimento dei prodi castellesi; i tedeschi fuggono: è la libertà, è la pace.
Castelvittorio più di ogni altro paese d'Italia ha il diritto di dire che non ha aspettato la liberazione da terzi, ma ha saputo meritarsela e conquistarsela da sè.
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, ed. A.L.I.S, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 
 
Pure i contadini della montagna hanno dimostrato nella guerra partigiana un entusiasmo, uno spirito combattivo, una solidarietà, un disinteresse che sfata ogni superficiale definizione del loro carattere. Lo testimoniano il grandissimo contributo di combattenti, di comandanti, di caduti che i contadini diedero alle Brigate Garibaldine, lo testimoniano il fraterno aiuto sia materiale che morale prestato per venti mesi ai partigiani combattenti nelle vallate; lo testimoniano le popolazioni trucidate, i villaggi saccheggiati e incendiati per mano tedesca e fascista. […] Valga per tutti l’esempio di Castelvittorio, paese asserragliato su un’altura della Val Nervia, tra montagne coperte di boschi fittissimi dove si nascondono i cinghiali, e di “fasce” coltivate che si spingono fin oltre i mille metri. I “castelluzzi”, gran lavoratori e gran cacciatori, divennero famosi per l’accanimento con cui difesero il proprio paese, ogni volta che i tedeschi o i fascisti tentarono di conquistarlo.
Italo Calvino, Liguria magra e ossuta, «Il Politecnico» 10, 1 dicembre 1945

mercoledì 10 maggio 2023

Bersaglieri fascisti nell'entroterra di Ventimiglia sul finire del secondo conflitto mondiale

Seglia, Frazione di Ventimiglia (IM)

Seglia, Frazione di Ventimiglia (IM): una vista sulla Magliocca
 
Giungemmo a Seglia [Frazione di Ventimiglia] da Baiardo la domenica 3 dicembre 1944.
[...] Gli ufficiali, Guarino e gli altri, andarono a riconoscere le postazioni a cui eravamo destinati e noi rimanemmo tutto il giorno a bighellonare nelle vicinanze.
Versa sera ritornarono e ci incamminammo con loro verso la "linea". Giungemmo così alla Magliocca, "Bunker 10", nel più assoluto silenzio. Trovammo una squadra di tedeschi a cui demmo il cambio. Giussani, evidentemente preoccupato, chiese loro se avessero avuto delle perdite ma non ebbe risposta forse per il suo non perfetto tedesco. Avemmo comunque l'impressione che i 'camerati' desiderassero solo lasciare quella postazione il più celermente possibile e così fu.
Noi ci sistemammo nel Bunker, che consisteva in una costruzione di cemento armato dipinto di bianco, con delle finte finestre verdi e sinceramente non ho mai compreso bene questo tipo di mimetizzazione, cherendeva la nostra casamatta molto visibile.
Il giorno dopo constatammo che tutto intorno vi erano numerosi altri bunker abbandonati che avevano fatto parte del "Vallo del Littorio" del 1940.
Con me, oltre a Guarino, erano Dies, Bignardi, Duranti, Albertini, Giussani, Masera, Giannini e altri.
Iniziammo subito i turni di guardia, che dovevano essere svolti all'aperto. Le linee nemiche ben visibili erano parecchio distanti: non sfuggì comunque agli "inglesi" il trambusto del cambio ed il giorno dopo, festa di S. Barbara, ci regalarono una pioggia di cannonate che rappresentò il loro benvenuto. Non fu possibile ricevere il rancio per cui quella sera un paio di noi scesero a Calandri, un gruppetto di case a qualche centinaio di metri dal nostro Bunker, dove trovarono fagioli da semina abbondantemente cosparsi di naftalina e dove dividemmo poi con dei tedeschi, mezzi ubriachi, un buon quantitativo di vino.
Il giorno successivo Masera fu inviato al Comando di compagnia per vedere se poteva ottenere qualche rifornimento.
[...] Fummo ispezionati da Boni e da un altro ufficiale, che si resero conto di quanto la posizione fosse sotto tiro e fosse impossibile non subire perdite.
Il bunker, come detto, era ben visibile e con le porte rivolte, chissà perché, verso il nemico e fu il bersaglio per diversi giorni dell'avversario.
Franco Scarpini in Umberto Maria Bottino, I nostri giorni cremisi. 1943-1995, Attilio Negri srl, Rozzano (MI), 1995

Spesso, leggendo scritti di reduci di milizie della Repubblica Sociale, si apprendono, al di là delle quasi inevitabili considerazioni fatte come nostalgici del fascismo, aspetti di ordine storico singolari, se non inediti, da leggere - va da sé - in modo dialettico in un confronto con testi di storia della Resistenza e resoconti stesi da partigiani. Uno di questi casi si realizza con i libri (il primo - già citato -, che non registra solo memorie dell'autore, ma è anche una raccolta di spezzoni di diari e/o successive, interessate testimonianze di commilitoni) di Umberto Maria Bottino, appartenente al XX° battaglione (poi rinominato II° costiero) - bersaglieri - del 3° Reggimento della RSI, reparto in ogni caso inquadrato nella 34 Divisione tedesca. "Eravamo più di 500 universitari o appena diplomati, quasi tutti volontari, in gran parte milanesi, poi parmigiani, cremonesi, bresciani e friulani. Ci presentammo alle scuole di Porta Nuova di Torino fra la fine d'ottobre e il mese di novembre del 1943... Dopo l'addestramento di Alessandria fummo inviati in Liguria schierati sul fronte occidentale minacciato dallo sbarco degli americani in Provenza. La punta avanzata del battaglione era schierata a Ponte S. Luigi, Valle del Roja e gli altri a Ventimiglia e Imperia". In questa occasione, tuttavia, vengono riferite anche altre fonti.
Adriano Maini 
 
Entrano a far parte della 34^ divisione [tedesca, comandata dal generale Von Lieb e dai subalterni generali Stanger e Muller, con Quartier Generale a Pigna, che si trasferirà in settembre (1944) nella Villa Bianca ad Ormea] pure reparti di bersaglieri autonomi della divisione «Italia».
Sono le compagnie del 2° battaglione (ex 20°), del 3° reggimento bersaglieri, ricostituitosi subito dopo l'8-9-1943 nelle province milanesi, al comando del tenente colonnello Alfredo Tarsia. Per tutto il periodo della Resistenza le compagnie 5^, 6^, 7^, 9^, 11^, e distaccamenti in posizioni anti-sbarco e anti-ribelli, si alterneranno tra il fronte e Ceriana, Baiardo, San Lorenzo, Arma di Taggia, Castellaro, ed altre località rivierasche. L'8^ compagnia presidia Albenga.
Quasi sempre i Comandi hanno la loro sede a Ceriana ed a Baiardo, il Comando del 2° battaglione è ad Imperia, prima agli ordini del maggiore Castelfori Guido, poi del maggiore Mistretta Antonio, ed infine del capitano Borroni Pietro.
In conseguenza dello sbarco alleato in Provenza (Francia meridionale), avvenuto il 15-8-1944, il battaglione si mette in movimento ed il 31 agosto assume il seguente schieramento:
5^ compagnia (La Volontaria): Montepozzo-Grimaldi (com. cap. Pietro Borroni);
8^ compagnia (Fantasma): Grimaldi-Bordighera (com. sot. ten. Cecchini, poi cap. Bologna);
6^ compagnia (La Silenziosa): Santo Stefano-San Lorenzo al Mare (com. cap. Josia);
Comando e comp. Comando: Arma di Taggia (com. cap. Francoletti, poi ten. Salvato);
7^ compagnia (Di Dio): Ceriana (com. cap. Italo Giannelli);
9^ compagnia (d'Assalto): Baiardo (com. cap. Inglese Francesco, caduto a Badalucco, poi ten. Buratti)
La 9^ compagnia, dopo essere stata decimata, viene ricostituita (44).
A metà gennaio 1945 la 6^ compagnia sostituirà la 5^ al fronte occidentale (francese). Contemporaneamente lo schieramento del 2° battaglione verrà modificato nel seguente modo:
6^ compagnia: Montepozzo-Grimaldi
8^ compagnia: Grimaldi-Camporosso
5^ compagnia: Camporosso-Bordighera
7^ compagnia: Bordighera-San Remo
9^ compagnia: Baiardo
Comando e compagnia comando: Ceriana.
Lo schieramento manterrà questa disposizione fino al 25 aprile 1945 (45). Dall'agosto al tardo autunno 1944, questi reparti subiscono perdite nelle azioni antipartigiane. Solo nella battaglia di Badalucco del 25-9-1944, perdono 37 uomini. A dicembre, per alleviare la depressione morale ed il senso della disfatta serpeggianti nelle file, Mussolini, ricevuto il tenente Sergio Bandera al Quartier Generale invierà, suo tramite, il seguente elogio al 2° battaglione: "... Porta ai bersaglieri del 2° battaglione il mio saluto ed il mio augurio, al capitano Borroni, a tutti gli ufficiali ed a tutti i reparti il mio elogio per il loro comportamento e di' loro che considero i bersaglieri del 2° battaglione come antesignani della rinascita dell'Esercito Repubblicano (46)...". Ma ciò non serve a bloccare il definitivo declino dell'efficienza militare dei suddetti reparti, menomata anche dalle continue e massicce diserzioni. L'ex bersagliere Riccardo Vitali (Cardù) diverrà addirittura commissario del 10° distaccamento mortaisti della V^ Brigata Garibaldi "L. Nuvoloni" e cadrà eroicamente nella battaglia di Baiardo il 10 marzo 1945.
[NOTE]
44 Vedi opera citata di G. Pisanò, fascicolo 32.
45 Opera citata come sopra.
46 Da "L'Eco della Riviera", giornale della Federazione Fascista d'Imperia, del 3-12-1944.
                                          Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977
 
Fin dai giorni immediatamente successivi all'8 settembre il Ten. Col. Alfredo Tarsia chiamò a raccolta a Milano (tramite radio e stampa), presso la caserma del 3°, i bersaglieri che non intendevano accettare la resa di Badoglio. Ad essi si aggiunsero anche soldati di altre armi e, in gran numero, molti studenti soprattutto lombardi. Il 10 ottobre fu già possibile formare i Btg. LI, XX, XXV, XVIII, inviati in Piemonte, nella zona di Alessandria, per l’addestramento. Il 29 gennaio 1944, in 5000, giurarono fedeltà alla RSI. Il 20 febbraio il reggimento fu però sciolto e i battaglioni divennero autonomi cambiando numero. Nell’ordine I (zona Genova Pietra Ligure), II, III (da Savona a Genova), IV (da Rapallo a La Spezia), della difesa costiera al servizio dell’Armata Liguria. A fine agosto, però, il III Btg fu spostato sul fronte francese. I battaglioni seguirono strade diverse nei giorni della liberazione.
Redazione, 3° Reggimento Bersaglieri, la corsa infinita
 
La centrale elettrica di Bevera, Frazione di Ventimiglia (IM)

Il giorno dopo, 25 maggio '44, al mattino presto, fanno saltare [n.d.r.: adattando un obice recuperato sul momento tra le giacenze abbandonate dal disciolto Regio Esercito in una galleria dei forti di Marta] un traliccio dell'alta tensione che portava la luce da Bevera a San Dalmazzo [n.d.r.: San Dalmazzo di Tenda, oggi Val Roia francese, dipartimento delle Alpi Marittime] e alimentava la ferrovia e altri servizi. Il traliccio era molto più in basso dei forti e per raggiungerlo devono scendere. In seguito a tale azione la corrente viene interrotta.
Saltato il traliccio, Erven e i suoi due compagni risalgono a Cima Marta a prendere gli zaini... partono alla volta de "La Goletta" il giorno stesso (25 maggio 1944). Lungo la strada fra la nebbia ancora vicino a Cima Marta incontrano un capitano iugoslavo, di nome Jasic, liberato da un campo di concentramento, proveniente da Oxilia (provincia di Savona) e diretto in Francia... 
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 

Ventimiglia (IM): uno scorcio della collina di Collasgarba

Il distaccamento bersaglieri di Bertelli venne in seguito inviato a presidiare il caposaldo in Collasgarba, collina in zona Nervia di Ventimiglia (IM).
Per la costruzione colà di una trincea a difesa della postazione dotata di cannone anticarro vennero impiegati operai della Todt, tra i quali i fratelli Biancheri di Bordighera.
Con i fratelli Biancheri il sergente Bertelli esternò cautamente i sentimenti di disapprovazione della condotta della guerra.
I fratelli Biancheri favorirono l’incontro di Bertelli con il dottore Salvatore Turi Salibra/Salvamar Marchesi, membro di rilievo della Resistenza, ispettore circondariale del CLN di Sanremo per la zona Bordighera-Ventimiglia, fratello del prof. Concetto Marchesi, quest’ultimo, come noto, un insigne latinista, a sua volta impegnato nella Resistenza a livello nazionale.
Gli incontri con il dottore Marchesi avvenivano in un albergo sito sulla Via Romana a Bordighera (IM), dove, tra l'altro, Bertelli collaborò alla stesura di alcuni volantini inneggianti alla fine della guerra ed esortanti alla diserzione, che furono clandestinamente lasciati nei locali e nei luoghi frequentati dalle truppe.
Con la collaborazione del sergente Bertelli, quando egli ed i suoi uomini erano di servizio a Vallecrosia, poterono realizzarsi diversi collegamenti clandestini via mare da e per la Francia liberata, effettuati dal Gruppo Sbarchi di Vallecrosia.
Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia <Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM)>, 2007

La zona di Calandri (case sulla sinistra), Località di Ventimiglia (IM)

Bevera, Frazione di Ventimiglia (IM)

Nel '44 il fronte si fermò lì come nel '40, solo che questa volta la guerra non finiva, e non c'era verso che si spostasse. La gente non voleva fare come nel '40, di caricare quattro stracci e le galline su un carretto, e partire col mulo davanti e la capra dietro. Nel '40 quand'erano tornati avevano trovato tutti i cassetti rovesciati in terra e fèci umane nelle casseruole: perché si sa che gli italiani da soldati quando possono fare dei danni non guardano né amici né nemici. Così rimasero, con le cannonate francesi che arrivavano giorno e notte a piantarsi nelle case e quelle tedesche che fischiavano sopra la testa.
[...] La Val Bévera era piena di gente, contadini e anche sfollati da Ventimiglia, e s'era senza mangiare; scorte di viveri non ce n'era e la farina bisognava andarla a prendere in città. Per andare in città c'era la strada battuta dalle cannonate notte e giorno. Ormai si viveva più nei buchi che nelle case e un giorno gli uomini del paese si riunirono in una tana grande per decidere.
Italo Calvino, La fame a Bévera in Ultimo viene il corvo, Einaudi, 1969

Bevera, Frazione di Ventimiglia (IM)
 
II ponte che attraversa la Bevera e approda al borgo che pur Bevera si chiama, poco a monte del punto in cui le sue acque confluiscono nel Roja è, a valle, l’unico legame tra le due sponde. Non l’ho mai attraversato, perché tutta l’attività della mia squadra si svolse nel triangolo che aveva base la costa, e segnava i suoi lati tra Ventimiglia e Seglia, in Val Roja, da una parte, Latte e Ponte San Luigi, dall’altra: il terzo lato era sguarnito. Ci pensavano altri. Sottoposto a incessanti tiri di artiglieria, dal mare e dai monti, e di mortaio, era di giorno quasi invalicabile: ma quando dovevano attraversarlo, i bersaglieri calzavano ben visibile il fez cremisi...
Per le postazioni oltre il ponte, addetta a tali rifornimenti alimentari era la squadra della Pac. Un bersagliere attraversava veloce, a razzo, il ponte, mentre un altro tratteneva il mulo. Poi, un gran colpo sulle natiche, inferto con una bomba a mano tedesca (di quelle a martello) e il mulo così "bastonato" per scappare correva oltre il ponte. Il bersagliere seguiva poi di corsa, in modo che l’attraversamento del ponte offrisse ben poco spazio ai tiri incessanti dei mortai nemici. Sono, personalmente, in grado di apprezzare questa elementare tecnica mulattiera. In condizioni forse peggiori avevo ingaggiato una vibrata colluttazione con un mulo per costringerlo ad attraversare un ponticello: e sul suo basto pesava un quintale di munizioni in grado di eliminare, se fossero scoppiate, il mulo, me e quanti altri erano nelle vicinanze. In guerra ragazzi, ci vuole esperienza e tecnica! Escluso il vettovagliamento per i reparti agli avamposti (Grimaldi e Mortola) il resto del battaglione trovava le fonti di rifornimento in Bordighera, presso il Comando di battaglione, in quel tempo colà dislocato. Ad un ristorante di Bordighera ricorrevano, per un plus, i più sfacciati (o i più affamati?). La linea alleata correva, dirimpettaia, sul crinale delle Alpi Marittime, cioè sul crinale del gruppo del Grammondo.
Tra le due linee la terra di nessuno, di un centinaio di chilometri quadrati. Il vuoto per dividere gli eserciti e per dar modo di capire cosa succedesse.                                                                                  Umberto Maria Bottino, Sapevamo di perdere, Attilio Negri srl, Rozzano (MI), 1993

Mortola, Frazione di Ventimiglia (IM)

Grimaldi, Frazione di Ventimiglia (IM): la strada statale poco prima di Ponte San Luigi

Le formazioni fasciste avevano in provincia di Imperia una composizione eterogenea. Oltre ai soldati della G.N.R., delle Brigate Nere e dei Bersaglieri, operavano reparti delle Divisioni Monte Rosa, Muti, Cacciatori degli Appennini, San Marco, "X^ Flottiglia Mas" e qualche SS italiana.
Agirono anche diversi gruppi di SS tedesche, che avevano come principale compito quello di effettuare rastrellamenti ai danni delle formazioni partigiane [...] Un dispaccio partigiano (documento in Archivio Isrecim) riportava a marzo 1945 che [...] i bersaglieri con una compagnia comando a Bordighera, 3 compagnie dislocate al fronte tra Latte, Frazione di Ventimiglia, ed il Grammondo, 2 compagnie di copertura tra San Lorenzo al Mare e Riva Ligure, ed ogni compagnia disponeva di 5 mortai [...]
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999   
 
20 giugno 1944
Stamane, all'Umberto I [nota dei curatori del libro: La Ridotta dell’Annunziata, adattata a caserma, aveva per titolo “Umberto I”] vi erano dei soldati di sentinella col fucile e l’elmetto in testa, ma per il resto vestiti in borghese. È la classe del '26 che è stata appena chiamata alle armi. A Ciotti [n.d.r.: località del ponente di Ventimiglia, prossima alla Frazione Latte], due militi della Confinaria sono morti in seguito allo scoppio di mine disseminate dai tedeschi. La scorsa notte, circa 200 uomini, fra richiamati e operai della Todt, hanno preso la via della montagna per raggiungere i ribelli che, oggi, hanno fatto saltare il ponte di Perinaldo.
21 giugno 1944
Anche stanotte, altri giovani sono andati a raggiungere i ribelli. Continuano i bombardamenti, sulla Riviera e ovunque. Torino ha subito la 35^ incursione aerea, anche a Genova le rovine sono immense.
22 giugno 1944
Stanotte, alle due e un quarto, abbiamo avuto un brusco risveglio. L'allarme, seguito poi da un'infinità di apparecchi.
Come al solito, non avevamo idea di alzarci, ma il grande chiarore ci ha fatto andare a curiosare dalla finestra. Che spettacolo, il primo per noi! Che fuochi e poi certo anche spari! Non siamo stati ad indugiare prima di uscire di casa e metterci al sicuro. Se avessimo aspettato ancora un po' saremmo stati tutti belli e finiti. Tre bombe sono cadute sotto la casa di Lanfredi, delle quali due solo esplose. Povera nostra campagna, come è rimasta desolata, quanto danno abbiamo avuto! Però, possiamo dirci fortunati che non hanno avuto nessuna avaria le vasche e la tubazione. I danni della casa, neanche questi sono ingenti. Il danno più grosso è nella vigna perché anche le viti sono rovinate.
La durata dell'allarme è stata di 50 minuti, il bombardamento di 22 minuti, le bombe, lasciate cadere su Ventimiglia e dintorni, un'infinità. Cominciando dalla salita degli Scuri, Rivai, Marina, Piazza Vittorio Emanuele, Gallardi, Siestro, Via Chiappori, Via Roma, Sottoconvento, Via Cavour, Via Mazzini, la Mortola. Queste sono le zone che più delle altre presentano i segni della distruzione causata dalle bombe nemiche.
Caterina Gaggero Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988
 
Villatella, Frazione di Ventimiglia (IM)

La popolazione che aveva abitato i villaggi di Villatella, Torri, Calvo, Bevera e altri, era già stata fatta sgomberare, una prima volta, dal Regio Esercito nel giugno 1940. Poi, dopo l’armistizio con la Francia, molti erano tornati, ma quando gli Alleati sbarcarono in Provenza, e il fronte si stabilizzò tra il Grammondo e il Roja, si ripresentò la necessità dello sgombero, questa volta intimato dal Comando tedesco, e per salvaguardare la popolazione locale, ma soprattutto per evitare intelligenze col nemico. Questa volta non tutti sfollarono e alcune famiglie si abbarbicarono nelle loro case, come non avevano fatto nel 1940. Prima del nostro intervento in linea questo territorio era battuto dalle pattuglie inglesi e alleate: dopo il colpo di mano fu territorio prevalentemente percorso da bersaglieri in perlustrazione, di ronda, in azioni di controllo: i bersaglieri della quinta, in dicembre-gennaio, e delle sesta e settima compagnia poi unitamente a modeste pattuglie della Wehrmacht.
Al di qua del crinale, nella valle del Roia era ammessa, ma estremamente rischiosa, la sopravvivenza dei civili. Le olive venivano raccolte dalle ragazze e qualche frantoio oleario lavorava ancora arrangiando compromessi con bersaglieri e tedeschi. A Bevera c’era anche una panetteria col forno in funzione, e poca farina.
Era utile essere pronti ad emettere il regolamentare "Altolà! mani in alto!". Si potevano incontrare strani personaggi. Ne incontrò uno una pattuglia sotto il Longoira. "Altolà! Mani in alto!". "Siamo amici" e mostrò un lasciapassare firmato dal maggiore Geiger, sovraintendente tedesco del settore. Dietro al capo due spaventatissime e titubanti figure. Li porto di là, dice il capo. Voleva far intendere che si trattava di spie, ma, dalla paura che trasudava dai loro volti, potevano anche essere staffette partigiane di collegamento, o, perché no, ladri di preziosi. "Non vi avevo avvertito che avremmo incontrato i bersaglieri?" dice il capo, e rivolto ai due, li rincuorò "Non ve l’avevo detto? Tutto a posto" e si avviò verso le cime, ingoiato dalla notte...
Oltre il ponte vissero la loro avventura molte squadre della quinta, della sesta e settima compagnia. Che allungavano la loro attenzione - in terra di nessuno - fino a Torri, quattro case disabitate e semidistrutte. Da lì principiavano la loro incessante attività le pattuglie dei perlustratori. Di ciò che è avvenuto oltre il ponte ho solo notizie da altri: alcune di allora, fresche di giornata, altre di oggi, col valore delle rimembranze e delle testimonianze... Prima preoccupazione del Comando della 34^ divisione [tedesca] era che la terra di nessuno, il cuscinetto tra i due schieramenti, fosse occupata silenziosamente dal nemico: ma che, nell’eventuale tentativo, scattassero gli opportuni allarmi. Le pattuglie, formate di volta in volta ad hoc con la partecipazione di elementi, molte volte volontari, provenienti da squadre diverse, e gli avamposti di Ponte San Luigi, Mortola, S. Antonio, Villatella e Torri (cui si arrivava anche da Monte Pozzo, ove avevano sede nei mesi di dicembre e gennaio, arretrati e pacifici, gli uomini di Salafia, con il quattrocchi Radice Luigi e Minniti il cuoco, Rovella, Benedusi ed altri) avevano una funzione di campanello d’allarme.
Villatella, un agglomerato di rustici e baite, fu recapito provvisorio per un'altra pattuglia, della quale fecero parte Luigi Radice - che spontaneamente si offriva ogni volta che c’era l’occasione - Aristide d’Alessandro, Paolo Ferrante, orfano di una medaglia d’oro caduta in terra abissina, due tedeschi ed altri bersaglieri. Sette notti a spasso tra i dirupi che salgono dalla Bevera alle cime del gruppo Grammondo. Scopo: catturare pattuglie nemiche, non lasciare tracce, sotterrare i rifiuti. Possibilmente non sparare: combattere all’arma bianca. Ma chi mai ci aveva addestrato a questa evenienza? Per dormire si fermarono in varie case del paesino. Cinque bersaglieri al lato nord, cinque al lato sud e cinque al centro del paese. S. Antonio fu raggiunta da uomini del secondo plotone: il paese era devastato: mobili e masserizie rovesciate per le strade, il sospetto dei fantasmi era evocato da lenzuola mosse dal vento. In questo scenario da day after, in questa atmosfera allucinante, appena giunti al fronte, per curiosità, si inoltrarono, passeggiando, Palieri e Soragna: udirono rumori. Comparvero due militari nemici, anche loro a passeggio. Nessuno dei quattro era in assetto da combattimento: si rivolsero la parola, uno dei due si chiamava John, nipote di siciliani. In un pessimo inglese e cattivo italiano si scambiarono pane bianco e olio. Okay John. A Natale, dall’una e dall’altra parte della Valletta, ci fu uno scambio di auguri. Merry Christmas, Raf. Buon Natale, John...
Umberto Maria Bottino, Sapevamo di perdere, Attilio Negri srl, Rozzano (MI), 1993
 
Torri, Ventimiglia - 14 dicembre 1944
Pattuglie di soldati tedeschi e di bersaglieri della R.S.I. circondano il paese ed iniziarono la ricerca dei civili presenti. Tutti quanti furono catturati e trucidati sul posto ed abbandonati sulla piazza e tra i vicoli del paese.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

Bordighera (IM): in primo piano una vista su Vallecrosia e Ventimiglia, sulla sinistra sulla Costa Azzurra, sulla destra su Mortola

Chiamato anche battaglione universitario [n.d.r.: il II battaglione bersaglieri della difesa costiera ex XX], era comandato dal maggiore Guido Castellara. La prima destinazione come costiero l'ebbe fra Varazze e Savona. Fino allo sbarco americano in Provenza (agosto 1944) il lavoro fu di routine dopo non più. Ridislocato alla Frontiera Francese ebbe la 5a compagnia a Grimaldi, la 6a a S. Lorenzo, 7a a Ceriana e 8a a Bordighera. Comparve anche una 9a nell'entroterra. Così diceva il corrispondente di guerra Guglielmo Haensch: ".... nei sotterranei di un albergo sbrecciato è appostata la squadra del Bersagliere Guarino, sergente fiumano. Dalla feritoia, dinanzi a noi, Mentone. Oggi Guarino è piuttosto assonnato (2 notti di pattuglia) ma l'arrivo degli ospiti lo ravviva. Si mangia, oggi pranzo di gala. Sono tutti ragazzi magnifici. Quando c'è da uscire di pattuglia è una gara per ottenere di far parte delle spedizioni. Così si svolge la vita dei Bersaglieri del II a pochi passi dal nemico". A Settembre gli scontri con americani e partigiani si fanno intensi. La compagnia di Inglese venne annientata a Badalucco. Altri scontri cruenti si ebbero a Ceriana a fine mese. L'inverno fu relativamente tranquillo. All'ordine di ritirata, impartito dai tedeschi della 34a div., tutti i reparti si ritrovarono sulla Aurelia fino ad Imperia. Da qui presero per Ormea, Garessio, Ceva e Mondovì dove sbucarono il 29 aprile 1945. Il 3 maggio raggiunta Ciriè il reparto si sciolse nelle mani del CLN che garantì la prosecuzione fino ad Ivrea degli Ufficiali.
Redazione, Il II battaglione bersaglieri della difesa costiera ex XXla corsa infinita

San Biagio della Cima (IM)

L'11 novembre 1944 i bersaglieri avevano saccheggiato San Biagio della Cima e fucilato a San Remo il sapista Orlandi Osvaldo (Vado), di Giuseppe, nato a Imperia il 3.5.1927.
Francesco Biga, Op. cit.

Mentone

Bruno Guarino nasce a Fiume nel 1922. Appena diciassettenne (1940) si arruola volontario e tale rimane anche dopo l’8 settembre nelle fila della Repubblica Sociale Italiana militando nel II btg costiero dal 3° Reggimento Bersaglieri che combatte sul fronte francese (tra Mentone e Monte Pozzo) dall'Ottobre 1944 all'Aprile 1945. Queste pagine autobiografiche sono una testimonianza del travaglio sofferto dai giovani che, durante il conflitto mondiale, offrirono gioventù e vita alla Patria con lealtà ed amore filiale. "Questo - scrive Guarino - fu il vero motivo del volontariato della stragrande maggioranza di noi: un bisogno sincero e prepotente di ridare alla nazione la perduta dignità; senza o con poche sfumature politiche". Il racconto di quei drammatici avvenimenti si snoda con stile semplice e limpido, senza demagogia o retorica, caratterizzato com'è dal sereno, talora ironico, distacco con cui l'Autore descrive la sua odissea poi da prigioniero. Il volontarismo della Repubblica Sociale fu un fenomeno complesso che Guarino coglie nella sua essenza.
Redazione, Bruno Guarino, La guerra continua, Bonanno Editore, Palermo, la corsa infinita
 
Ventimiglia (IM): uno scorcio della struttura un tempo occupata dai Frati Maristi

Ecco il diario delle feste natalizie quale è registrato nel libro degli annali della casa [n.d.r.: il Convento - tuttora esistente, ma ormai abbandonato -  dei Frati Maristi è situato in località Santo Stefano di Ventimiglia, due chilometri circa a sud della già citata frazione di Bevera]:
"24 dicembre [1944]: preparativi per la funzione di mezzanotte; nel pomeriggio, forte bombardamento terrestre. Una bomba cade davanti alla falegnameria e rompe tutti i vetri, altre cadono dietro la concimaia. Il C. Fr. Celestino Guyon incamminato per raccogliere dei cavoli corre grave pericolo. Veglia di Natale in compagnia della famiglia Cavandoli. Alle 11,30, come di tradizione, principio della funzione religiosa, col canto dell'invitatorio e del Te Deum laudamus. Poi S. Messa cantata con S. Comunione cui si accostano anche tutti gli assistenti.
25 dicembre [1944]: Natale di sangue! In mattinata, Messa cantata, poi pranzo disturbato da bombardamento terrestre: numerose le bombe cadute nella nostra proprietà e sul pendio verso S. Bernardo.
26 dicembre [1944]: Santo Stefano: festa patronale: Messa cantata. Vi assistono anche i vicini di casa.
29 dicembre [1944]: Arrivo inaspettato del C. Fr. Pancrazio, Direttore e Visitatore, accompagnato dal Fr. Federico Sismondini. Che festa, nel rivederci, dopo tre mesi di spaventi! Si trascorrono insieme gli ultimi giorni dell'anno".
Il 15 gennaio [1945], s'ingegnarono per improvvisare un carrettino a mano che caricarono di viveri e di vestiario per quattro persone (in previsione dell'espulsione degli altri due); aiutati e accompagnati da un vicino di casa e anche da uno dei due destinati a restare poi in casa, alle sei del mattino, dopo l'ultima messa, durante la quale furono consumate tutte le sacre particole, giacché il Parroco di Bevera era obbligato a partire anche lui, si avviarono verso Bordighera.
Aa.Vv., Pennellate storiche sulle Comunità mariste d’Italia e Destinazione annuale dei Fratelli, 1887-2003. Volume 3º, Provincia Marista Mediterránea, Guardamar del Segura - España, 2018