martedì 3 dicembre 2024

Vallecrosia (1943-1945)

Vallecrosia (IM): Via Col. Aprosio (Via Aurelia ) a levante

Vallecrosia (IM): Via Col. Aprosio a ponente

Vallecrosia (IM): uno scorcio dell'area dove sorgeva il campo di internamento

Antonio Valgoi, nato a Vallecrosia (Imperia) nel 1907, fucilato dai tedeschi ad Argostoli (Cefalonia) il 22 settembre 1943, medico, Medaglia d'Oro al Valor militare alla memoria.
La motivazione della massima ricompensa al valore illustra bene la figura del capitano di complemento Antonio Valgoi. Essa recita infatti: "Comandante di reparto munizioni e viveri di un gruppo artiglieria, nei giorni immediatamente successivi all'armistizio partecipava attivamente e valorosamente ad aspra lotta. Al profilarsi dell'insuccesso delle nostre armi, informato dai suoi artiglieri che gli ufficiali venivano passati per le armi e sollecitato a rifugiarsi all'ospedale militare, dove avrebbe potuto facilmente confondersi col personale sanitario perché laureato in medicina e chirurgia, rifiutava con orgogliosa fierezza il suggerimento per rimanere, fino all'ultimo, accanto ai soldati che la Patria gli aveva affidato. Subito dopo la cattura accortosi che il comandante dell'unità avversaria faceva schierare armi automatiche intorno al reparto, con l'intento di sterminare indiscriminatamente i suoi dipendenti, si portava decisamente avanti a tutti e dichiarava: "Sono io il comandante di questi uomini. Sparate su di me". Aveva appena finito di pronunciare queste parole che una raffica lo abbatteva esanime al suolo unitamente ai suoi valorosi artiglieri".
Redazione, Antonio Valgoi, ANPI
 
All'8 settembre 1943 nella caserma di Vallecrosia era presente la II Compagnia servizi del 90° Reggimento Fanteria, con piccole postazioni distribuite lungo la spiaggia. Nei giorni successivi i tedeschi, provenienti da Ventimiglia, occupavano la città, dapprima con pochi uomini, poi a partire da ottobre con un forte presidio. Gli antifascisti più decisi presero a compiere piccole azioni di disturbo contro il nemico. Li ricordiamo: Renzo Rossi, Renzo Biancheri, Gerolamo Marcenaro, Aldo Lotti, Achille Lamberti ed altri. In dicembre i tedeschi prelevarono ostaggi col compito di fare la guardia alla loro linea telefonica che era stata interrotta. Tra le numerose vittime del bombardamento alleato del 10 dicembre 1943 finiranno cinque dei suddetti ostaggi: Angelo Albertieri, Germano Bertolisi, Francesco Noaro, Angelo Rizzo e Nicolò Rizzo. Dopo lo sbarco alleato in Provenza di metà agosto 1944 i bombardamenti terrestri e navali diventarono giornalieri. Sotto le bombe il 29 ottobre muore il cittadino Domenico Esposito. Invece Amedeo Bordero e Domenico Berlingero saranno vittime di mine il 14.2.1944 ed il 12.5.1945.
Durante il 1944 vi furono alcuni tentativi di creare un vero CLN Comunale, ma non si andò mai oltre il pur lodevole intento. Sappiamo tuttavia da quanto narrato al capitolo IX della precedente Sezione, dedicata alla Divisione SAP "G.M. Serrati", che i giovani di Vallecrosia non se ne stettero comunque con le mani in mano. La fascia costiera da Bordighera a Ventimiglia, in gran parte minata, specie dopo la metà d'agosto 1944, sarebbe stata a lungo teatro dei rischiosi traffici marinari e terrestri del Distaccamento Sbarchi con la Costa Azzurra ormai liberata dagli alleati. Per non parlare poi dei molti che si aggregarono alle formazioni partigiane della V Brigata "L. Nuvoloni" operanti nell'entroterra.
Come che sia, quanti clandestinamente s'erano adoperati in azioni contro il nemico, cercando a un tempo di coinvolgere tutti gli antifascisti del paese nella lotta di liberazione, si radunavano in Comune il 27 aprile 1945 per costituire il CLN Comunale e collegarsi con tutti gli altri organi della Provincia creati o controllati dalla Resistenza. Erano presenti Don Giuseppe Gastaldo (Democrazia Cristiana), Mario Bussi (Partito Liberale), Annibale Vedovati (Partito Democratico del Lavoro), Ettore Gibelli (Partito Repubblicano), Achille Lamberti (Partito d'Azione), Attilio Cassini (indipendente), Luigi Ravera (PSIUP), Giacomo Sasso (Partito Comunista) e Gerolamo Marcenaro (CVL), [n.d.r.: alcuni riferimenti ai partiti, quelli per Vedovati e Lamberti, entrambi comunisti, sembrano essere stati fatti di comodo, al fine di rendere più unitario l'organismo] assistiti da Salvatore Marchesi (Salvamar), ispettore del CLN Circondariale di Sanremo, e da Giacomo Amalberti come segretario.
Veniva nominato presidente del CLN Annibale Vedovati. Quindi, per acclamazione erano eletti Mario Lorenzi presidente della Commissione Annonaria, Alessandro Zitomirski presidente della Commissione di epurazione e Rinaldo Aprosio  presidente della Commissione tecnica.
In continuazione di seduta, a scrutinio segreto era eletto anche il sindaco provvisorio della Giunta Comunale nella persona di Ettore Aprosio, con Ettore Gihelli assessore anziano e Pietro Raimondo, Umberto Aprosio, Achille Lamberti membri della Giunta. Il segretario comunale Giovanni Scroscia, essendo incompatibile la sua presenza con la nuova Giunta, veniva sostituito con Aldo Rossi.
Il successivo trentuno maggio 1945 si riuniva la Giunta Comunale che eleggeva definitivamente il sindaco nella persona di Francesco Biancheri. A seguito delle elezioni amministrative democratiche il 26 aprile 1946 sarà eletto sindaco Antonio Guglielmi.
Oltre una ventina furono i cittadini di Vallecrosia riconosciuti purtigiani combatttenti, tre dei quali, caduti in combattimento; li ricordiamo qui di seguito per nome e cognome, nonché luogo e data della loro scomparsa: Filippo [n.d.r.: in verità ricordato come Alipio] Amalberti (Alip), Badalucco 6.6.1944, Giuseppe Fantoni (Balilla), Borello di Sanremo 6.9.1944, Armando Ferraro (Cobra), Sospel 12.8.1944, riportando altresì l'elenco nominativo di tutti gli altri in nota.
Tra gli arrestati già altrove menzionati (vedasi Bordighera) dei giorni 22 e 23 maggio 1944, finiti nei campi di concentramento in Germania, ricordiamo ancora Ermanno Buffa, Edmondo Gazzano (Maras), Stefano Garibaldi e Stefano Riello, i due ultimi dei quali non sarebbero più tornati. E ugualmente ricordiamo Gino Cocco, Caldino Ramella e Giulio Tamagno, civili anch'essi deportati in Germania.
Vallecrosia fu anche sede di un campo di concentramento ubicato in un quartiere militare del Regio Esercito edificato verso la metà degli anni Trenta. Con la proclamazione della Repubblica Sociale uno degli edifici fu adibito all'internamento degli ebrei rastrellati. Alcuni di questi edifici sono oggi scomparsi, ma è importante non scordare quel campo di internamento per ebrei, che ci ravviva la memoria di tanti altri simili campi sparsi per l'Europa occupata dal Terzo Reich, dove si perpetrarono i più nefandi orrori della seconda guerra mondiale, nel comune auspicio che simili eventi non abbiano mai più a verificarsi. Si legga in proposito lo scritto di Gustavo Ottolenghi, Il Campo di Vallecrosia, in "Sommario", trimestrale dell'Amministrazione Provinciale di Imperia, n. 93, gennaio-maggio 2003.
Riguardo ai danni di guerra subiti dalla città, sei furono i fabbricati andati completamente distrutti a causa di incursioni aeree o altre azioni di bombardamento, e centoquarantanove altri subirono lesioni per lo stesso motivo. Sempre a causa dei bombardamenti persero la vita Caterina Pollero e Guido Rosa, mentre dieci persone rimasero ferite.
Dopo la Liberazione nel ponente si determinava una situazione critica che nessuno avrebbe mai pensato potesse verificarsi, e cioè una dura occupazione da parte dei francesi, con l'impiego di truppe coloniali, del territorio tra la frontiera e la dorsale orientale della Val Nervia. Capitò persino che tra Bordighera e Vallecrosia fossero costituiti due posti di frontiera, con la bandiera italiana issata su quello a levante e la bandiera francese su quello a ponente. Insomma, un vero confine tra le due nazioni, come d'altronde confermava il 21 giugno 1945 anche Ettore Gibelli, sindaco di Vallecrosia. Detto in breve, i nostri "cugini" - esautorati tutti i CLN locali - non lesinarono pressioni per convincere la popolazione del territorio da loro occupato a votare mediante referendum popolare l'annessione alla Francia.
Questa situazione travagliata durò fino al giugno 1947, quando finalmente a Parigi furono stipulati i trattati di pace.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016, pp. 220-222

Alipio Amalberti, nato a Soldano l'11 febbraio 1901, già nelle giornate che seguirono l’8 settembre metteva in piedi un’organizzazione per finanziare ed armare i gruppi che si stavano formando in montagna a Baiardo (IM) insieme a Renato Brunati di Bordighera, fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino e Lina Meiffret, proprietaria di una villa poco fuori Baiardo, punto di riferimento e talora rifugio di quella piccola banda, che, catturata insieme al fidanzato Brunati, venne deportata in un campo di concentramento in Germania, da cui tornò fortemente provata, ma salva. Arrestato il 24 maggio 1944 a Vallecrosia e tenuto come ostaggio, in quanto segnalato più volte come sovversivo, Alipio Amalberti venne fucilato a Badalucco il 5 giugno 1944 come ritorsione ad un'azione del distaccamento di "Artù", Arturo Secondo, compiuta il 31 maggio. Adriano Maini

Vallecrosia (IM): Villa Aprosio, già sede del Municipio

A Vallecrosia il plebiscito non ebbe luogo. Per preparare la consultazione elettorale si svolse una riunione tra le autorità francesi e il CLN comunale al secondo piano della villa Aprosio in via Don Bosco sede del municipio fino agli anni '70. Mentre Gireu Marcenaro "tirava in lungo" con una serie interminabile di cavilli e richieste, al primo piano altri partigiani sottraevano furtivamente le liste elettorali e le schede dell'anagrafe. Svolgere il plebiscito fu impossibile. I francesi non la presero bene e arrestarono Achille Lamberti e Annibale Vedovati, presidente del CLN vallecrosino.
Mac FiorucciGruppo Sbarchi Vallecrosia, Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia <Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM)>,  2007

Ricordo il pilota Fernand Guyot, ferito con due costole fratturate e trasportato in salvo in barca da Achille Lamberti assieme al colonnello Ross e altri tre, un inglese e due piloti americani. Il Guyot si sdebitò con Achille a fine guerra.
Vallecrosia venne liberata dai francesi, i quali avevano sùbito manifestato mire annessionistiche per tutto l'estremo ponente della provincia di Imperia. Nei comuni si svolse pure il plebiscito per l'annessione alla Francia. Ricordo l'impegno dei preti salesiani di Vallecrosia contro l'annessione; con un vecchio ciclostile stamparono e distribuirono clandestinamente anche volantini di propaganda. Achille venne anche arrestato assieme ad Annibale Vedovati e in sua difesa fece il nome di Fernand Guyot. Messo a conoscenza dell'accaduto, Guyot fece intervenire con tutta la sua autorità l'ammiraglio francese comandante della base di Hyeres. Ad Achille fu annunciato che era in libertà, ma si rifiutò di uscire se non fosse stato liberato anche Vedovati. 11 comandante francese (Romanetti?), disperato più che indispettito, liberò anche Annibale.
Renzo Stienca Rossi in Mac FiorucciGruppo Sbarchi Vallecrosia, Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia <Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM)>,  2007

lunedì 19 agosto 2024

Durante l'inverno molti altri reparti tedeschi si acquartiereranno nelle vicine zone di Isolabona e di Pigna

Pigna (IM)

Il primo gennaio [1945] il commissario federale fascista Mario Massina annuncia ai cittadini di Baiardo che è stato giustiziato il partigiano "Boia" (4).
A Pigna i fascisti insediano il Tribunale Militare antipartigiano. Coloro che sono fermati vengono tenuti prigionieri in casa Ubago. Anche a Isolabona è insediato un Tribunale in casa Basottini. Entrambe le case diventeranno più di una volta l'anticamera della morte (5) [...] Don Antonio Allaria Olivieri informa che la presenza dei Tedeschi a Castelvittorio ha uno scopo ben preciso. Essi hanno l'ordine di incunearsi tra i monti dell'alta Val Nervia per annientare le formazioni partigiane colà operanti e tenere ad ogni costo il libero accesso alla valle che, attraverso i passi, conduce in Piemonte. Le prime sortite punitive del nemico ed i suoi vari tentativi di rastrellare la valle sono contrastati da improvvisi attacchi partigiani causandogli delle perdite. A Castelvittorio il nemico pone la sua sede in casa Moro ubicata in Via Roma, mentre quello politico e il tribunale si insediano in una casa di Piazza XX Settembre. Un folto gruppo di ufficiali prende alloggio in casa Caviglia, altri ancora in casa Borfiga. Nella casa canonica, tenuto conto della sua posizione dominante la valle, vengono installate tutte le apparecchiature radio. Lungo Via B. Caviglia sono salmerie e cucine.
Le truppe sono sparse o alloggiate in varie case. In breve tempo i Tedeschi si organizzano, emanano ordini duri e precisi ai Castellesi, ma organizzano in modo forzato anche i civili. I capifamiglia devono presentarsi per tre alla volta per tre giorni consecutivi presso il Comando di Piazza XX Settembre. Da ora in poi molti cittadini passeranno delle notti in carcere, altri saranno richiesti per svolgere lavori pesanti.
Non pochi saranno inviati fuori paese e a valle per costruire trincee e stendere fili spinati. I Castellesi, che oramai sono sotto controllo continuato del nemico, avrebbero pagato di persona nel caso i partigiani avessero ucciso dei militari. Ogni Tedesco ucciso, sarebbero stati fucilati cinque cittadini locali (7).
Durante l'inverno molti altri reparti tedeschi dislocati sul fronte delle Alpi Marittime meridionali, si acquartiereranno nelle vicine zone di Isolabona e di Pigna.
[NOTE]
4 Vedasi: "Eco della Riviera", dell'8 gennaio 1945: il partigiano, trovatosi davanti al plotone di esecuzione, ordina lui stesso il fuoco.
5 Cfr. Don Nino Allaria Olivieri, Sangue a Castelvittorio, pag. 42.
6 ISRECIM, Archivio, Sezione II, cartella 28, lettera del CLN all'ufficio SIM della V Brigata.
7 Cfr. Don Nino Allaria Olivieri, Op. cit., pagg. 41-43.
Francesco Biga  (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, pp. 103,104

4 gennaio 1945 - Dal comando del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata, prot. n° 33, al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione". Relazione militare: erano presenti a Pigna 60 tedeschi equipaggiati con armi leggere; artiglierie nemiche nel frattempo spostate da Pigna a Passo Muratone, Gouta e Margheria dei Boschi.
4 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata, prot. n° 250, al comando della II^ Divisione. Trasmetteva la relazione militare del I° Battaglione ricevuta con prot. n° 31
4 gennaio 1945 - Dal comando [comandante "Danko" Giovanni Gatti] del I° Battaglione "Mario Bini", prot. n° 32, al comando della V^ Brigata. Relazione militare: a Isolabona (IM) erano presenti 200 tedeschi; 200 tedeschi anche ad Apricale (IM); 300 a Dolceacqua (IM); a Perinaldo (IM) una squadra di 20 tedeschi per riparare la strada Perinaldo-San Romolo; da Sanremo (IM) erano partiti 2 Mas, con a bordo uomini della X^ Flottiglia disertori dalle file repubblichine, che sembravano diretti alla costa francese; a Baiardo (IM) il tenente dei bersaglieri era ben visto dalla popolazione perché per Natale aveva regalato sigarette e liquori.
7 gennaio 1945 - Dal comando del I° Battaglione "Mario Bini" al comando della V^ Brigata. Relazione militare: "a Pigna (IM) sono presenti 80 soldati nemici. A Buggio [Frazione di Pigna (IM)], Testa d'Alpe, Passo Muratone, Castelvittorio (IM), Ormea (CN) e Garessio (IM) sono ubicate alcune batterie nemiche".
7 gennaio 1945 - Dal comando della II^ Divisione al Comando Operativo della I^ Zona Liguria. Con questo dispaccio si esprimevano giudizi sulla presentazione di giovani alle chiamate della RSI "...coloro che si sono presentati sono i giovani imboscati di sempre: gli ex-garibaldini si contano sulle punta delle dita e sono quasi tutti presi", soggiungendo che sarebbe stato da ricordare ai giovani "quanto accaduto a Baiardo, ove i giovani presentatisi vennero in parte fucilati ed in parte inviati in Germania... Molini di Triora l'unica che ha sempre una netta ostilità contro il movimento partigiano".
10 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata", prot. n° 150 - segreteria, al comando della II^ Divisione. Relazione militare sul mese di dicembre 1944: inviati in licenza, sulla base della circolare n° 23 dell'ispettore "Simon", molti garibaldini. Sottolineato che la nomina di Ivano [anche Vitò, Giuseppe Vittorio Guglielmo, organizzatore di uno dei primi distaccamenti partigiani in provincia di Imperia, dal 7 luglio 1944 comandante della V^ Brigata, dal 19 Dicembre 1944 comandante della II^ Divisione "Felice Cascione"] da comandante di Brigata a comandante di Divisione aveva dato luogo ad un nuovo riassetto dei quadri: comandante di Brigata Doria [o Fragola Doria, Armando Izzo], vicecomandante Brescia [Umberto Borromini], commissario politico Orsini [Agostino Bramè], vicecommissario politico Silla [Ferdinando Peitavino], responsabile del S.I.M. (Servizio Informazioni Militari) Brunero [Francesco Bianchi], deciso a migliorare il servizio, Igor [Dermo Zecchini] responsabile sanitario.
24 gennaio 1945 - Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 220/CL, al comando della V^ Brigata. Comunicava che la propria zona di competenza comprendeva il territorio tra Ventimiglia e Santo Stefano al Mare con relativo entroterra.
30 gennaio 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 243, al comando della I^ Zona Operativa Liguria ed al comando della II^ Divisione. Avvisava che era imminente un rastrellamento, ad iniziare da Baiardo, di tedeschi e di fascisti, della presumibile durata di 5-6 giorni.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio-30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 27 luglio 2024

I due partigiani calabresi (uno abitò a Vallecrosia) trucidati nell'eccidio nazista di Sospel

Targa franco-italiana collocata nei pressi dell’Albarea. Fonte: Giovanni Quaranta, art. cit. infra

Grande, e troppo spesso dimenticato, fu il contributo dei meridionali alla lotta di Liberazione contro il fascismo ed il nazismo. Tantissimi giovani e meno giovani sacrificarono la loro vita in territorio italiano e all'estero per  affermare quei principi di libertà che sono alla base delle moderne civiltà.
In questo breve scritto, ci occuperemo delle vicende legate alla morte di tre calabresi, tutti originari della Piana di Gioia Tauro, che trovarono la morte in territorio francese.
La prima storia parte dal giugno del 1944 e si sviluppa sulle alture del monte Grammondo, dove passa il confine franco-italiano e dove diverse decine di giovani francesi e italiani (della valle di Ventimiglia), si radunarono. A metà luglio, un reparto di partigiani italiani liguri si stabilì sotto il Monte Grammondo, intorno alla fattoria L'Albarea, a circa sei chilometri dal villaggio di Sospel (nelle Alpi Marittime). Il distaccamento era quello di Ernesto Corradi <1, detto “Nettu”, che era partito a metà giugno da Case Agnesi o “Prati Piani”, località vicina a Costa di Carpasio e a Colle d'Oggia. Quando Nettu si era trasferito da Case Agnesi al Grammondo, alcuni partigiani, per non allontanarsi troppo da Imperia, si erano separati da lui; altri ne aveva reclutati sul posto. Ed infatti, al gruppo di italiani, ben presto, si aggiunsero altri quattro volontari francesi da Breil, Roquebrune-Cap Martin e Sospel, e da ciò la formazione prese il soprannome di “macchia franco-italiana de L'Albarea”.
Avvertito rapidamente il problema cruciale di sfamare più di quindici giovani combattenti, si decise di trovare una rapida soluzione. Fu un giovane partigiano di Sospel a dire che la sua famiglia possedeva una fattoria nel cuore dell'Albarea (famiglia Curti), luogo più ospitale in un bosco di castagni e che gli agricoltori della valle sicuramente avrebbero contribuito all'approvvigionamento.
Nella mattinata del 9 agosto il 7° Distaccamento della V Brigata Garibaldi “L. Nuvoloni”, mentre era acquartierato in un casone presso la località “Fontana Fredda”, venne sorpreso da un rastrellamento dalle forze tedesche (convergenti da Sospel, Breil, Ventimiglia e Menton). Le colonne germaniche riuscivano ad accerchiare i garibaldini che combattevano insieme ad alcuni francesi delle formazioni denominate “Chasseurs des Alpes”. Il violento attacco veniva contenuto per oltre un'ora ed i garibaldini, asserragliati, si difesero con accanimento, ma poi dovettero cedere sopraffatti dal preponderante numero degli avversari. Rimasero sul campo due partigiani <2, mentre un terzo <3 gravemente ferito morirà in seguito. Solo in due riuscirono a fuggire. Invece i partigiani catturati vivi <4, che assommavano a quindici, condotti a Sospel, per due giorni e tre notti furono sottoposti ad orrende torture, ma nessuno rivelò un solo nome dei compagni o una sola località che interessasse gli aguzzini <5.
Le fasi della cattura vennero così raccontate dal partigiano Giorgio Lavagna: «Il 9 agosto '44 Osvaldo Lorenzi, con alcuni giovani, si trova negli alloggiamenti sul Monte Grammondo, intento alla preparazione del pranzo. All'arrivo improvviso dei tedeschi, le vedette non fanno in tempo ad avvertire; riescono a stento a mettersi in salvo. I partigiani, che sono nella baracca dell'accampamento, vengono sorpresi e catturati: poco prima della cattura, uno di essi chiede al Lorenzi di coprirlo col fieno, sebbene si pensi che la baracca verrà incendiata; il Lorenzi lo nasconde; la baracca, come si temeva, viene data alle fiamme; ciò nonostante il partigiano farà in tempo a mettersi in salvo. Gli altri, fra cui il Lorenzi, mentre cercano di fuggire, capitano fra i tedeschi, e sono catturati vicino agli alloggiamenti, nel bosco dell'Alborea, che è parte del bosco di Sospel, sul pendio del Grammondo rivolto verso la Francia» <6.
Importante è anche la testimonianza di Benoit Gaziello, il quale così raccontò quei terribili eventi: «I tedeschi, dal megafono, chiedono ai superstiti di arrendersi e deporre le armi. Non avendo scelta, obbediscono. Essi non sono consapevoli del destino a loro riservato. Ma prima di condurli alla caserma li obbligano a togliersi le scarpe e legano loro le mani dietro la schiena. Sono a piedi nudi sul sentiero sassoso e spinoso. Due ore più tardi, dove saranno incarcerati a Sospel nella caserma Salel. Le porte dell'inferno si chiudono su di loro! La lunga agonia ha inizio, interrogatori di giorno e notte, senza cibo o bevande, torture, pestaggi con un grosso bastone di legno verde con la corteccia che si strappa e viene coperta di sangue... I Sospellesi, che hanno vissuto questi momenti, ricordano ancora i lamenti e le grida dei carnefici, le urla di dolore, le grida di aiuto. Diede loro il brivido della paura. Questo trattamento ignobile dura [...] Il sindaco del momento, il signor Domerego, interviene presso l'occupante, al fine di porre fine a questa tortura. Nulla può e i barbari rifiutano. Tutte le raffinatezze di crudeltà sono e vengono attuate e, infine, annunciano alle loro vittime che erano liberi e potevano uscire. In piedi, insieme, i partigiani si diressero verso l'uscita ma arrivati in mezzo al percorso i tedeschi liberano i cani che, come belve, si scagliano sui malcapitati, piantando i loro denti nelle carni lacerate, eccitati dai loro padroni e accompagnandoli con le risate. Con questo trattamento, mancanza di cibo, e il calore di agosto, che aiutano le infezioni e le malattie, sono dei morti viventi che, sabato 12 agosto 1944, i tedeschi caricano su un carro. Povera umanità, povero mondo! Quale immagine ci dai in questo momento! Circondato da un plotone d'esecuzione, il sinistro corteo traversa tutta Sospel per arrivare al capanno della cooperativa. Il corteo viaggia in una città tremante di paura, ma che stringe i pugni. Persiane chiuse, le donne si inginocchiano nelle loro case, si fanno il segno della croce e pregano. Non un grido, non un pianto dalla bara ambulante. Nel cortile della cooperativa, i nazisti scaricano questi mezzi morti e li assassinano per la seconda volta fucilandoli e i loro corpi vengono abbandonati nella piazza di Sospel» <6.
Il 12 agosto 1944, intorno alle 11.30, un tribunale militare di fortuna li ha condannati a morte e, verso le tre di pomeriggio, sono stati giustiziati in gruppi di tre, nel cortile della cooperativa agricola, dietro la stazione ferroviaria. La popolazione si prese cura dei loro corpi e li trasportò al cimitero dove furono lavati e messi in bare, nonostante le istruzioni del comandante tedesco, che li voleva sepolti nella fossa comune.
La memoria dei “Martiri di Sospel” venne affidata a partire dall'estate del 1945 ad una lapide collocata nel luogo dell'esecuzione e ad un monumento con i nomi e le foto che fu eretto nel cimitero <8. Di recente, un'altra targa franco-italiana è stata collocata nei pressi del luogo della cattura dei partigiani sull'Albarea.
Tra queste vittime della barbarie della guerra, provenienti da diverse zone della Francia e dell'Italia, accomunati da un destino comune, trovarono la morte due calabresi: Armando Ferraro e Bruno Larosa.
Armando Ferraro <9 era nato ad Anoia il 18 aprile 1926 da Michele e Mariantonia Ioppolo. La famiglia visse ad Anoia nella casa di via Vittorio Veneto al n. 36 fino al 19 novembre 1939 <10, quando tutti i componenti si trasferirono nel comune di Vallecrosia, in provincia di Imperia <11. Da un certificato di situazione di famiglia rilasciato da quel municipio ligure nel giugno del 1946 risulta che la famiglia risiedeva in via Colonnello Aprosio al n. 184 ed era composta, oltre che dai genitori <12, da sei figli maschi ed una femmina <13. Il padre lavorava da calzolaio, la mamma era casalinga e praticava il commercio ambulante di fiori. Armando era celibe, aveva conseguito il terzo anno della scuola d'avviamento e lavorava - così come il fratello maggiore Domenico - come ferroviere. Dal 13 luglio 1944 (periodo di costituzione della 5a brigata <14), da civile, partecipò attivamente alla lotta partigiana con il nome di battaglia di “Cobra” nelle fila del Distaccamento “Nettu”, appartenente alla 5a Brigata d'Assalto “Luigi Nuvoloni” della 2a Divisione Garibaldi “Felice Cascione”.
Nella stessa formazione partigiana, dal 5 marzo 1944, militò anche Bruno Salvatore Giuseppe Larosa <15. Contadino, era nato a Giffone il 12 dicembre 1911 da Raffaele e Pasqualina Larosa. Soldato di lungo corso, era stato arruolato nel Regio Esercito <16 nelle fila del 50° Reggimento di fanteria il 16 marzo 1932 dal quale venne congedato il 1° settembre 1933. Il 13 aprile 1935 venne richiamato presso il 20° Reggimento di fanteria e da qui, il 1° giugno successivo venne trasferito al 244° Reggimento di fanteria. Da questo reparto venne definitivamente congedato il 1° luglio 1936. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Larosa venne nuovamente richiamato alle armi ed il 5 dicembre 1940 giunse in territorio dichiarato in stato di guerra alle dipendenze del 208° Reggimento di fanteria. Il 31 dicembre successivo venne assegnato alla Batteria Complementare del reggimento. Il 9 marzo 1941 si imbarcò da Brindisi per raggiungere l'Albania ed il giorno successivo sbarcò a Durazzo. Terminate le ostilità con la Grecia, il 16 luglio 1941 il reparto si trasferì in Montenegro, partendo da Durazzo con il piroscafo “Puttini” e sbarcando lo stesso giorno ad Antivari. I reparti del 208° vennero impegnati in operazioni di rastrellamento, scontrandosi in intensi combattimenti contro le forze partigiane. Dopo un anno, il 30 agosto 1942, rientrò in Italia sbarcando al porto di Bari da dove la Divisione “Taro” venne trasferita nella zona di Alessandria-Novi Ligure. Dopo qualche mese, il 27 novembre 1942, venne dislocata in territorio francese nel settore a nord di Tolone dove assunse, oltre al controllo del territorio interno, anche la vigilanza della fascia costiera tra Capo Brun e Capo Cavalaire, rimanendovi fino a quando subì le conseguenze degli eventi scaturiti dalla proclamazione dell'armistizio (8 settembre 1943). A quella data Larosa risultava in forza al 208° Reggimento di fanteria, 3° Battaglione, 11a Compagnia, P.M. n. 41, con l'incarico di Conducente (di muli). La notizia della morte di Bruno Larosa arrivò ai parenti in Calabria nel settembre del 1945 grazie al partigiano Bruno Taulaigo di Livorno <17. Il sindaco di Giffone dell'epoca, il 26 settembre, si affrettò a scrivere al Comando del VII Distaccamento partigiano in Sanremo per chiedere conferma del decesso senza ricevere riscontro. Il 28 ottobre 1947, il sindaco di Giffone scriveva alla “Commissione per il riconoscimento qualifiche ai Partigiani liguri” di Imperia per chiedere tutte le notizie circa la morte del Larosa «dato che fin'ora nessuna notizia si è avuta». La risposta, questa volta, non tardò ad arrivare: il 14 novembre si ebbe la conferma della morte con le notizie sulle circostanze che la determinarono. Dalla documentazione che intercorse tra la Calabria e la Liguria, si evince che Bruno Larosa abitava a Giffone in via Castagnari n. 3, era coniugato con Maria Assunta Valenzisi del fu Giuseppe ed aveva un bambino, Antonio Giuseppe di 3 anni [...].
 

Armando Ferraro e Bruno Larosa. Fonte: Giovanni Quaranta, art. cit. infra

[NOTE]
1 ILSREC - ISTITUTO LIGURE PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELL’ETÀ CONTEMPORANEA “RAIMONDO RICCI”, Banca dati del partigianato ligure. Ernesto Corradi era nato il 02.10.1894 a Torazza (BI), da Bartolomeo e Angela Pastorello. Da civile partecipò alla lotta partigiana dal 01.05.1944 come comandante di distaccamento. Abitava ad Imperia.
2 Il caposquadra Dardano Sauro e Giovanni Vesco.
3 Emilio Pizzol.
4 Michele Badino, “Fontana”, operaio, nato a Sanremo (IM) nel 1919; Antonio Bazzocco, “Antua”, nato a Fonzaso (BL) nel 1910; Adolphe (Joseph) Faldella, “Moustique”, marinaio della Marina francese, nato a Roquebrune-Cap Martin (Alpi Marittime) nel 1921; Oreste Fanti, “Fortunato”, carpentiere, nato a Sanremo (IM) nel 1924; Armando Ferraro, “Cobra”, ferroviere, nato ad Anoia (RC) nel 1926; Sergio Franceschi, “Bufalo”, carrista, nato a Castelbaldo (PD) nel 1926; Pietro Gavini, “Barin”, ex militare, panettiere, nato a Gravedona ed Uniti (CO) nel 1918; Bruno La Rosa, “Bruno”, ex militare, contadino, nato a Giffone (RC) nel 1911; Osvaldo Lorenzi, “Osvaldo”, ex militare, studente universitario, nato a Imperia nel 1918; Luigi Martini, “Dante”, impiegato, nato a Pigna (IM) nel 1922; Bruno Pistone, “Montana”, muratore, nato a Sanremo (IM) nel 1925; Alberto Quadretti, ex militare, nato a Medesano (PR) nel 1920; Marius Rostagni, apprendista, nato a Breil (Alpes-Maritimes) nel 1924; Mario Tironi (detto Marius), operaio edile, nato a Sospel (Alpes-Maritimes) nel 1920; Jean Tolosano, operaio edile, nato a Roquebrune-Cap Martin (Alpes-Maritimes) nel 1907. Si segnala che, alla base del monumento del cimitero di Sospel, è collocata un’altra lapide con foto del caporal maggiore Mario Roncelli, nato nel 1920, “mort pour la France le 12 aout 1944” ma del quale non troviamo riscontro negli elenchi ufficiali dei fucilati.
5 FRANCESCO BIGA, Suggello di un patto di sangue tra Resistenza italiana e francese, in Patria Indipendente, 25 luglio 2004, pp. 19-20.
6 Storia della Resistenza imperiese (I Zona Liguria), Volume I di GIOVANNI STRATO, La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944 (rist.), Ed. Liguria, Savona 2005, pp. 243-244.
7 Le Maquis franco-italien de l’Albarea et le drame de Sospel, Association Azuréenne des Amis du Musée de la Résistance Nationale - Gilette (France), Documents Temoignages Recherches n. 12, pp. 9-10. Colgo l’occasione per ringraziare il
presidente “des Amis du Musée de la Résistance Azuréenne” Jean-Louis Panicacci (professore onorario dell’Università di Nizza) per avermi cortesemente inviato in data 13.06.2018 copia del prezioso opuscoletto.
8 Per le foto caduti: Archivio privato Giuseppe Fragalà; per le foto della lapide a Sospel: ARCHIVIO FOTOGRAFICO ISRECIM, Sezione I, cartelle 31‐32‐33.
9 Per i documenti partigiani: ARCHIVIO ISRECIM, Sezione II, cartella T 179, fascicolo personale Ferraro Armando.
10 COMUNE DI ANOIA, Anagrafe, Scheda Individuale di Ferraro Armando.
11 Il nome di Armando Ferraro è stato riportato per la prima volta nel mio libro I Caduti di Anoia di tutte le guerre (Amm. Comunale di Anoia, 2005, p. 50) nel quale venivano riportati gli estremi dell’atto di morte trascritto presso il comune di Vallecrosia (COMUNE DI VALLECROSIA, Stato Civile, Atti di morte, anno 1946, n. 1, parte II, serie C).
12 Il padre, Michele Ferraro era figlio di Domenico ed Emilia Mandarano ed era nato in Anoia il 26.03.1892; la madre, Mariantonia Ioppolo era figlia di Domenico e Caterina Auddino ed era nata in Anoia il 16.06.1897. Avevano contratto matrimonio in Anoia il 14.02.1920.
13 Domenico, nato in Anoia il 17.12.1924; Armando, nato in Anoia il 18.04.1926; Rinaldo, nato in Anoia il 18.07.1929; Aldo, nato in Anoia il 21.04.1931; Dante, nato in Anoia il 16.09.1932; Maria Dionisia, nata in Anoia il 18.06.1935;
Ettore, nato in Anoia il 19.02.1939.
14 La V Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”, Ed. Micheletto, Arma di Taggia, s.d., pp. 152-154.
15 Per i documenti partigiani: ARCHIVIO ISRECIM, Sezione II, cartella T 220, fascicolo personale La Rosa Bruno.
16 ARCHIVIO DI STATO DI REGGIO CALABRIA, Ruoli Matricolari vol. 460. Matricola 19.837 del Distretto Militare di Reggio Calabria. Dal documento si evince che Larosa era alto m. 1,69, aveva i capelli neri e lisci, naso “camuso”, mento ovale, occhi castani, colorito pallido, dentatura guasta. Non sapeva leggere né scrivere.
17 Abitante a Livorno in viale Diego Angioletti n. 38.

 

I luoghi della fucilazione e della sepoltura a Sospel. Fonte: Giovanni Quaranta, art. cit. infra

Giovanni Quaranta, Calabresi della "Piana" vittime di eccidi nazisti in Francia, L'Alba della Piana, novembre 2019

giovedì 18 luglio 2024

Il distaccamento garibaldino ritorna momentaneamente a Carmo Langan

Castelvittorio (IM): una vista da Località San Sebastiano

Abbiamo visto come, preceduti da tre giorni di cannoneggiamenti, reparti tedeschi provenienti da Isolabona, Saorge e Briga, l'8 ottobre 1944 avessero costretto i reparti garibalbini nella zona di Pigna a ripiegare sotto la minaccia di accerchiamento.
Riassumendo: il rastrellamento continua incalzante. Il distaccamento di «Barba» arretra dal monte Vetta. Una pattuglia del 5° distaccamento, armata di due fucili mitragliatori, è inviata in direzione di Castelvittorio per accertare lo stato delle cose, i movimenti nemici e appoggiare eventuali formazioni che già combattono.
Osvaldo Contestabile, La Libera Repubblica di Pigna, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1985

Il 9 ottobre 1944 Pigna era saldamente in mano ai tedeschi. Uno dei protagonisti della ritirata partigiana, Giovanni Rebaudo (Janò/Monaco), così racconta quei giorni:
"Visto che l'operazione di rastrellamento si stava estendendo su tutto il territorio dell'imperiese, tra gli altri, venne dato l'ordine al terzo distaccamento (V brigata) di ripiegare gradatamente verso le alture piemontesi, anche per convincere i nemici di avere sgominato le bande. Dopo diversi giorni di marcia in diverse tappe, passando per Cima Marta, Gerbonte, Castagna, Monte Pellegrino, si arrivò a Viozene. Sperando di fermarci qui, requisimmo come nostri accantonamenti tutti i fienili. Ventiquattro ore dopo, mentre si attendevano notizie precise, giunse Vittò, comandante la V brigata Nuvoloni, e si mise a capo della nostra colonna che si incamminò per l'altura verso il Passo del Bocchin d'Aseo sul Mongioie. Sapemmo così che la nostra meta era Fontane, un paese nella provincia di Cuneo, nell'alta Val Corsaglia. Giunti quasi al passo ci fermammo un paio d'ore per riposare mentre si decise il servizio di guardia e chi doveva rimanere al passo per proteggere la marcia della V Brigata verso Fontane. A mezzanotte la marcia riprese e il grosso raggiunse il paese verso l'alba. Al passo rimasero Vittò, Janò capo squadra, Domenico Siboldi (Spada), Antonio Allavena (Cuma), Emilio Arizzi (Penna), Giovanni Bonatesta (Vencu) e Silvio Lodi (Bersagliere), armati di due mitragliatori, oltre alle armi individuali. Allo spuntare dell'aurora, dopo una notte calma ma non fredda, si vide in lontananza, in fondovalle, il movimento di una colonna che ripercorreva la stessa strada fatta da noi la sera prima; erano i nostri del Comando Divisione e della I brigata, già accampati a Upega e a Carnino. Li guidava Curto [Nino Siccardi]. Quando giunsero al passo, potemmo notare che erano reduci da una lotta e si visse un momento di commozione quando Curto, nella sua figura imponente, con il vestito di tweed strappato e sporco di sangue, si buttò nelle braccia di Vittò singhiozzando e poi quando ci disse che erano morti Cion, Giulio, De Marchi [...]."
Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016

n.d.r.: altri lavori di Giorgio CaudanoGiorgio Caudano (con Paolo Veziano), Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945, Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016

La zona che si stende dal confine francese a Pigna e che scende a Castelvittorio-Buggio-Carmo Langan, alle ore 22 dell'8 ottobre 1944 non è più sotto il controllo garibaldino; della situazione viene confermato con un messaggio anche il 3° battaglione della IV brigata e l'8° distaccamento di "Gori" [comandante "Gori", Domenico Simi] della V brigata, ritornato nella zona di Beusi a monte di Taggia.
Dopo monte Vetta è perduto il passo Muratone; il distaccamento comando della V brigata è obbligato a indietreggiare da Carmo Langan e a ritirarsi su Triora. Il Comando brigata si prefigge, nell'eventualità di una ritirata, di seguire la direttrice Triora-Piaggia per raggiungere il Comando divisione.
Il distaccamento di "Moscone" [comandante "Moscone", Basilio Mosconi] che si trovava a Cima Marta per proteggere Pigna dal lato di Briga e che, esaurito il suo compito, attendeva ordini precisi, alle 11 del giorno 9 è messo in allarme dalle vedette: una colonna tedesca sale da Briga, il distaccamento si mette in postazione e l'attacca con raffiche di mitraglia per rallentare la marcia e permettere alla colonna dei muli diretta a Bregalla di guadagnare terreno e mettersi al riparo. Gli acquazzoni si susseguono incessanti per tutta la giornata e i garibaldini sono bagnati fino alle ossa; camminano stanchi e taciturni, quasi abbiano paura di parlare. Bregalla è raggiunta nelle prime ore della notte e gli uomini cercano riposo nei casoni presso monte Castagna insieme a un gruppo del distaccamento di "Lilli", confortati dalle castagne bollite, in attesa dell'alba.
Il distaccamento di "Doria" ["Fragola Doria", Armando Izzo], giunto a Croce di Campo Agostino al crepuscolo del giorno 8 sotto una pioggia insistente, non può fermarsi perché il nemico incalza. Il distaccamento marcia lento, disposto in fila indiana quando, oltre Croce di Campo Agostino, viene affrontato da un'intera compagnia tedesca: si accende una sparatoria, la sorpresa annulla la difesa. I garibaldini a stento si ritirano verso la Madonna del Passaggio. "Doria", colpito ad una gamba, rotola per una scarpata tra i cespugli ma riesce a salvarsi e a raggiungere la fonte Provenziale.
Il giorno dopo, all'imbrunire, è a Prearba dove sfugge miracolosamente ancora ai tedeschi. Rintracciato e aiutato da due partigiani in perlustrazione, raggiunge Ciabaudo ricevendovi premurosa assistenza dai contadini del luogo. Dispiegando nel modo più poderoso le loro forze i Tedeschi tentano il 9 di ottobre di stringere in una morsa inesorabile le forze partigiane della V brigata, manovra che, per l'abilità dei comandi garibaldini, non riesce.
Circa 400 Tedeschi si piazzano a Collardente e 300 nella zona di Pigna; altre truppe con cannoni aprono il fuoco su Buggio nel tentativo di annientare reparti del 4° distaccamento posto a difesa della zona.
Oltre 200 Tedeschi si dispongono in offensiva nella zona di Graj. Si delinea il grave pericolo dello sbarramento della via di ritirata Triora-Piaggia.
Il comandante "Vittò" [anche "Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] col suo Stato maggiore cerca di studiare un nuovo schieramento facendo perno su Triora con utilizzazione del 3° del 1°, e di metà del 5° distaccamento, in posizione nella zona sopra Bregalla; il 2°, il 6° e il distaccamento comando sono già a Triora da dove cercano di richiamare l'8° distaccamento di "Gori".
Informata dalla situazione, la I brigata pone vigilanza alla strada che da Collardente porta alla galleria del Garezzo ove sono già in perlustrazione pattuglie avanzate tedesche.
Il distaccamento di Gino Napolitano (Gino) che, trovatosi imbottigliato da sud-ovest del monte Ceppo, si era portato a Baiardo, di lì a Carmo-Langan e poi a Buggio, subìto lo sbandamento riesce a riordinarsi a Triora insieme a gli altri reparti.
Nei giorni 10 e 11 la calma si ristabilisce. Il nemico sembra abbia subito una battuta d'arresto; sembra stia ordinando le proprie fila, preparando nuovi piani d'attacco. Le perdite garibaldine sono gravi, molti gli sbandati e le armi perdute.
Durante questa tregua il distaccamento di "Gino" ritorna a Carmo Langan con lo scopo di proteggere il ripiegamento della brigata da un eventuale pericolo di sorpresa. Il lavoro dei commissari, provvisoriamente interrotto, viene riattivato a Triora; si curano i migliori elementi per porli candidati ai tre battaglioni della brigata in via di ricostituzione.
In questo precario periodo di vita della V brigata i garibaldini hanno dimostrato grande compattezza e massimo affiatamento coi Comandi; ciò verrà confermato nei giorni seguenti con l'ulteriore spostamento a Piaggia, poi a Carnino e infine a Fontane in Piemonte.
[...] Intanto il distaccamento di "Franco" raggiunge Piaggia il 12 assieme ad una quindicina di garibaldini di "Leo". Da Ventimiglia giungono notizie che i Tedeschi stanno risalendo la valle Roja in forze, lasciando sulla costa solo elementi della marina, mentre a Oneglia pattuglie formate da nazisti e brigate nere partono per perlustrare le strade che danno accesso alle vallate.
La situazione diviene nuovamente critica.
I Tedeschi, distruggendo e incendiando case e fienili per la campagna, compaiano nei dintorni di Triora e la banda locale di Molini si sbanda.
Anche la IV brigata si prepara al peggio: il 7° distaccamento di "Veloce" si tiene pronto a partire per spostarsi sotto monte Ceppo sperando di venirsi a trovare alle spalle dello schieramento nemico, qualora questi operasse verso sud in valle Argentina; nella notte sotto il monte giungono garibaldini sbandati del distaccamento di "Gino" attaccato in mattinata a Langan. Molini è investita da colonne di nazifascisti che riprendono l'offensiva il mattino del 13.
Le prime raffiche prolungate si odono di fronte all'accampamento del distaccamento di "Moscone"; colonne di fumo s'innalzano dai tetti delle case di campagna in località Goletta, il nemico dà fuoco a tutto quello che scorge, compresa la casa ove era stato posto il Comando della V brigata.
Il distaccamento riesce a prendere posizione sul monte Castagna e a rimanervi per quatto ore. Al tramonto, ricevuto l'ordine da "Vittò" di spostarsi, dopo una marcia notturna sotto lo scrosciare incessante della pioggia e per sentieri invisibili ed infangati, raggiunge il paese di Piaggia sul fare dell'alba.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977 

mercoledì 12 giugno 2024

Bombardamenti a Bordighera ad inizio 1945

Bordighera (IM): Palazzo Garnier (Municipio)

1° gennaio 1945
Granate terrestri a Bordighera, in via Lagazzi e alla stazione, alle 12 circa
[...]
11 gennaio 1945
Alle 11 circa, via Lagazzi [Bordighera] bombardata dall’artiglieria terrestre. Verso le 13.30 il bombardamento viene ripetuto prima da terra e poi da un C.T. (15a volta).
12 gennaio 1945
Granate di terra cadono sotto al Bellavista, alla Villa Regina Margherita, ore 11.30. Altre granate, alle 17.30 circa, alla Banca Commerciale.
13 gennaio 1945
Ore 22.30, qualche granata su Bordighera Alta.
14 gennaio 1945
Alle 10.30, i forti bombardano la zona di via Lagazzi. Fra le 14 e le 17 Bordighera viene bombardata in due riprese dalle navi (16a e 17a volta).
15 gennaio 1945
Due LI. L.L. tipo Galissonière e un C. T. bombardano, verso le 14, Imperia e Sanremo e, fra le 15 e le 17, Bordighera (18a volta)
[...]
6 febbraio 1945
Ore 11, il centro di Bordighera e la Via dei Colli bombardati da caccia-bombardieri.
7 febbraio 1945
Bordighera e Coldirodi [Frazione di Sanremo (IM)] bombardate da cacciabombardieri verso le 10.30.
ing. Giuseppe Biancheri, Diario di guerra (scritto da ragazzo), pubblicato su La Voce Intemelia anno XXXIX n. 10 ottobre 1984 e n. 11 novembre 1984, qui ripreso da Cumpagnia d'i Ventemigliusi

In Piazza del Popolo [a Bordighera], sopra l’attuale Ufficio Tecnico, dal semaforo (torretta di avvistamento e segnalazione) era stata installata una mitragliatrice tedesca con la quale i soldati cercavano di colpire gli aerei. Alcuni tedeschi di stanza distribuivano il cioccolato a noi bambini. Un giovane soldato ci parlava della sua città, che era stata bombardata: “Kaputt! Kaputt”, ripeteva, per farci capire che la sua famiglia, della quale non sapeva più nulla, poteva esser stata sterminata. Dopo la guerra, alcuni di questi giovani tornarono con le rispettive famiglie, ma lui no: a Bordighera non fece mai ritorno.
Antonietta
Redazione, Antologia bordigotta: racconti di guerra, Paize Autu, Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, Anno 6, nr. 4, Aprile 2013

Eravamo così abituati dagli eventi che, quando le navi francesi presidianti le coste del Ponente estremo sparavano, dopo le prime salve, capivamo se correre al riparo o se “goderci” lo spettacolo. Era domenica quel 2 febbraio ’45, facile ricordarlo; due giorni dopo mia sorellina avrebbe compiuto 5 anni. Anche Franz aveva detto che era il suo compleanno. Franz era uno dei due militari della Wehrmacht di stanza al semaforo (già della Regia Marina) sito al centro “du Paize Veciu” [Paese Vecchio, centro storico di Bordighera]. Era un “volontario”, aveva 17 anni e veniva da un sobborgo viennese. L’altro poteva essere suo nonno, combattenti per le fortune hitleriane. Noi, più o meno coetanei del giovane, avevamo fatto amicizia e capivamo la tristezza che a tratti da lui trapelava. Erano molti mesi che indossava l’uniforme militare e così lontano da casa. Lo apprezzavamo forse anche perché aveva un pallone da calcio. Dopo aver scrutato col capace cannocchiale le mosse delle navi al largo, sostituito dal collega o dai due anziani repubblichini, aveva portato “u balun in sce u cavu” [il pallone sul Capo] per giocare. Se le cannonate erano dirette altrove, si facevano lunghe partite. Era così quel giorno: che pacchia calciare un pallone vero!! All’improvviso all’armi. Fumo e fiammate dalle navi. Però il tiro era inaspettatamente diretto a poche centinaia di metri della loro proravia. Forse erano incappate in campo minato o avevano avvistato un “maiale”, siluro a lenta corsa pilotato, di fabbricazione italiana, che i tedeschi tenevano in base nella galleria ferroviaria di Capo Nero ad Ospedaletti. All’ultima salva già era ripresa la partita. Così era ma… che ruffiani eravamo. Facilitavamo sempre più gol all’Austriaco! Come lo era quella che ci aveva temprato dopo i bombardamenti navali o aerei (voglio ricordare Pippetto, l’aereo che di notte ci deliziava con pillole e illuminanti bengala). L’abitudine al pericolo non l’avevamo ancora fatta alle prime bordate navali sul Paize Veciu che ci trovò, io e mio padre, saliti di corsa dall’Arziglia sotto la torre Garnier. Una salva mi “regalò” una scheggia di non più di 10 centimetri. Bastava a far male, però. Il “regalo” era caduto dal muraglione arrivando tintinnante ai miei piedi. Spavento? Mica poco! La toccai, era ancora calda. Giunto a casa, dal terrazzo vidi la casa di Marì Savuna, colpita. Fortunatamente non erano in casa. Mi accorsi di avere in tasca la scheggia innocua e fredda. La misi nel tiretto del comodino che divideva il mio letto da quello di mio fratello. Il reperto di guerra non so dove sia ora. Dicevo che in seguito all’abitudine al pericolo si era persa la prudenza. Se fossimo stati più accorti forse Rina Gibelli sarebbe ancora tra noi. Un giorno alla Maddalena, dopo la consueta bordata navale, il tiro si spostò; cadde un proiettile che colpì la compagna di giochi. Ci ricoverammo sotto l’arco di Porta Soprana. Lei di corsa ci aveva preceduti però era a terra, il selciato arrossato, le sue mani al ventre aperto. Spettacolo orrendo e indimenticato. Rina finì così. Per una guerra, come tutte, senza vincitori… nemmeno di quelli che sempre dettano e impongono condizioni e pur modificando patrii confini, ne vinsero mai una!!
Mario Armando, Quei sentori della primavera 1945, Paize Autu, Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, Anno 3, nr. 4, Aprile 2010
 
Il 6 febbraio 1945 Bordighera venne fatta oggetto di un bombardamento aereo che non colpiva alcun obiettivo militare. Di contro un ordigno cadeva nei pressi del Municipio provocando la morte di 3 persone. Nel bombardamento del giorno successivo una bomba sganciata vicino all’ospedale causava la morte di un civile...
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio-30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

giovedì 9 maggio 2024

Il 30 aprile 1944 Pigna entrò nell'incubo

Pigna (IM): la Chiesa Parrocchiale di San Michele

Il momento più duro per Pigna ebbe inizio l'8 settembre 1943, quando dalle poche radio presenti in paese si venne a conoscenza, dalla voce del generale Badoglio, della resa incondizionata dell'esercito italiano siglata cinque giorni prima a Cassibile. La notizia si sparse rapidamente sia tra i militari di stanza a Pigna sia fra la popolazione; i primi, come se fosse stato lanciato il “si salvi chi può” gettarono le proprie divise, abbandonarono le caserme e cercarono di organizzarsi per raggiungere le loro case. I pignaschi, come in tante altre parti del suolo nazionale non ancora liberato dalle forze anglo-americane, diedero l'assalto alle caserme ormai abbandonate dai reparti del Regio Esercito. La razzia proseguì per alcuni giorni, vennero divelte porte, poi riutilizzate nelle abitazioni di campagna, divelti tetti per accaparrarsi le tegole, sottratti mobilia e suppellettili. Il bottino più ricercato erano indubbiamente i generi alimentari abbandonati nei magazzini della sussistenza. Tutto restò calmo fino ai primi mesi del 1944: l'ordine e il controllo dello Stato sul territorio era affidato al commissario straordinario nominato dal prefetto di Imperia, avvocato Borgogno, già podestà, e agli uomini dei Carabinieri Reali del maresciallo Torta che rimasero al loro posto indossando la camicia nera sotto la divisa di ordinanza.
Nei primi giorni di ottobre si ricostituiva il distaccamento della «Guardia Nazionale Repubblicana Confinaria» formato da una trentina di uomini» occupando la caserma Manfredi, precedentemente occupata dalla G.A.F.
Nei primi giorni di febbraio 1944 cominciava a diffondersi la notizia che sul colle Langan [n.d.r.: nel territorio del comune di Castelvittorio] si stavano formando gruppi di partigiani intenzionati a combattere, armi in pugno, contro i fascisti.
Il 18 febbraio venne emanato il «bando Graziani» <287 con il quale la Repubblica Sociale cercò di ricostituire l'esercito disciolto dopo lo sbandamento dell'8 settembre 1943.
Il bando richiamava alle armi le classi 1922, 1923 e il primo quadrimestre 1924 e condannava alla fucilazione gli eventuali renitenti alla leva <288: "Gli iscritti di leva e i militari in congedo che, durante lo stato di guerra e senza giustificato motivo non si presenteranno alle armi nei tre giorni successivi a quello prefissato, saranno considerati disertori di fronte al nemico, ai sensi dell'art. 144 del codice penale militare e puniti con la pena di morte mediante fucilazione al petto". I risultati ottenuti dalle autorità della RSI non furono quelli previsti: i giovani risposero freddamente e una gran parte preferì rimanere nelle proprie case pur correndo il rischio di essere arrestati e quindi fucilati.
Delusione per le aspettative di pace assaporate con l'armistizio dell'8 settembre troppo presto disilluse, stanchezza della guerra di una generazione che aveva conosciuto la disfatta e le sofferenze della ritirata di Russia, delle rotte in Libia e delle difficoltà conosciute in Grecia e nei Balcani, costituirono le ragioni preminenti di questo rifiuto quasi generalizzato di presentarsi nuovamente presso i centri di reclutamento. Per comprendere l'atteggiamento di tanti giovani non è possibile spiegare il loro sottrarsi ai provvedimenti di leva e di richiamo generalizzando una consapevole scelta di campo in senso antifascista, che, indubbiamente, ci fu, ma riguardò solo una minoranza dei futuri partigiani <289, che avevano maturato nel corso degli anni una coscienza politica di rifiuto dei miti e del nazionalismo imperante. Fino all'emanazione del «bando Graziani» la maggior parte dei giovani preferì rimanere nelle proprie case; nei territori montani come Pigna questi abbandonarono il paese e si recarono nelle campagne circostanti, dove continuarono a coltivare la terra di proprietà della propria famiglia mentre dormivano nei casoni. Una parte di coloro che risposero in un primo momento alle varie chiamate di leva senza convinzione, per un generico rispetto dell'autorità o per timore di incorrere nei rigori della legge ben presto disertò e andò ad ingrossare le file dei partigiani.
La lotta partigiana in Liguria si diede un'organizzazione basata sulla divisione in zone operative; la “1^ Zona Operativa Liguria” comprendeva la provincia di Imperia e l'albengalese. I primi nuclei di resistenza sorsero fin dai primi giorni che seguirono l'8 settembre '43. Il 27 gennaio 1944 morì, colpito da una raffica di mitra, il primo comandante delle formazioni partigiane imperiesi, Felice Cascione <290 detto «u meighu». In primavera le bande partigiane, che avevano raggiunto una consistente forza numerica, furono raggruppate nella IX Brigata d'assalto G. Garibaldi. Nel luglio dello stesso anno la brigata si trasformò nella II Divisione d'assalto G. Garibaldi «Felice Cascione», in onore del comandante imperiese perito ad Alto. La divisione fu organizzata su tre brigate <291, agli ordini di Nino Siccardi “il Curto”, con commissario politico Libero Briganti “Giulio”, vice comandante Luigi Massabò “Pantera”: il comando si stabilì a Piaggia.
La zona delle valli del Nervia e del torrente Argentina era competenza della V brigata stanziata sul colle Langan; il comando fu affidato a Vittorio Guglielmi “Vittò” reduce della guerra di Spagna, combattuta nelle fila delle brigate internazionali; il commissario politico era Orsini “Bramé”, vice Comandante Marco Dino Rossi “Fuoco” <292. La brigata a sua volta si suddivideva in numerosi piccoli distaccamenti <293.
Il 30 aprile 1944 Pigna entrò nell'incubo, che sarebbe durato poco meno di un anno. Appena conclusa la tradizionale messa domenicale delle 10.30, due giovani partigiani vennero portati in chiesa, scortati da un drappello di brigate nere e il parroco don Bono fu costretto a impartire ai due sfortunati l'estrema unzione. Il drappello si diresse attraverso la via Fossarello seguito da pochi curiosi per raggiungere il cimitero. Verso l'una del pomeriggio il paese venne scosso da una salma di fucileria; il plotone di esecuzione, comandato dal capitano della M.V.S.N. Maggi <294, fece fuoco su Carmelo Repetto di Rezzoaglio e Tommaso Faraldi di Triora, due partigiani arrestati il 26 aprile a Bajardo e condannati dal tribunale militare, istruito a Pigna per l'occasione, alla pena di morte mediante fucilazione al petto, come previsto dal decreto legislativo del Duce n° 30/1944. I due partigiani, insieme a un polacco chiamato Giuseppe, vennero catturati dagli agenti della GNR Tommaso Cataldi e Antonio Di Giovanni in servizio investigativo in borghese. <295
La rappresaglia partigiana non si fece attendere; nella notte tra il 7 e l'8 maggio alcuni partigiani, rimasti ignoti, irruppero nella canonica di Castelvittorio e uccisero con due colpi di pistola il parroco del paese don Antonio Padoan. L'azione è, ancora oggi, avvolta nel mistero; non è ben chiaro il motivo dell'esecuzione. La sera del 7 maggio del 1944, alcuni garibaldini si introdussero nella canonica per indurlo a desistere dai suoi atteggiamenti filo-fascisti e invitarlo a lasciare Castelvittorio. Fonti partigiane affermano che la discussione non fu pacifica e che nacque una colluttazione con spari da ambo le parti. Il partigiano “Albenga” ebbe il calcio del fucile fracassato da una pallottola, Padoan rimase ucciso <296. Stando alla versione fascista, non vi fu alcuna discussione ma il religioso fu ucciso con due colpi sparati a bruciapelo. Il sacerdote era accusato di aver tenuto un sermone nella celebrazione della Pasqua nel quale aveva additato come traditori alcuni giovani renitenti alla leva: "Voi tutti dovreste vergognarvi! Il vostro posto non è in questa Chiesa. Dovreste arrossire come sono rossi i drappi che coprono queste mura! Il fratello, Franco Padoan, al contrario, dichiarò: “Sfido chiunque a provare che mio fratello facesse propaganda per i nazifascisti in chiesa. Io allora ero presso il seminario di Ventimiglia e spesso ero a Castelvittorio ed, ovviamente, assistevo a tutte le celebrazioni... Ho sentito parlare di patria e di auspicio alla sua resurrezione dopo il Venerdì Santo che stava passando il Paese, ma non ho mai sentito apostrofare i giovani quali traditori”. Certamente don Padoan aveva aderito alla organizzazione ideata dal famoso cappuccino, fra Ginepro da Pompeiana <297, al secolo Antonio Conio, e da don Dulio Calcagno, “Crociata italica”, creata per sostenere, da parte di una marginale schiera di religiosi, la R.S.I. Quando il 30 giugno 1944 il decreto legislativo n° 446 istituì le Squadre d'Azione delle Camicie Nere» comunemente conosciute come Brigate Nere <298, in provincia di Imperia venne istituita la XXIII Brigata Nera «Antonio Padoan». Nonostante queste prime drammatiche avvisaglie, che prefiguravano un prevedibile tragico futuro, nell'inverno 1943-'44 e nella primavera successiva la vita a Pigna trascorse con una certa serenità, le botteghe riuscivano a rifornirsi con una certa regolarità, non mancando i generi di prima necessità che venivano venduti a prezzi calmierati dietro la presentazione delle tessere annonarie, che prevedevano ancora livelli di sussistenza accettabili; le campagne riuscivano a offrire castagne, vino, patate che assicuravano l'autosufficienza alimentare. Certamente l'angoscia delle famiglie che avevano perso i loro cari durante le campagne di guerra, che avevano i figli o mariti dispersi in Russia o prigionieri in Germania, rendeva l'atmosfera del paese pesante e triste: il «bando Graziani» non era stato ancora emanato, quindi i giovani potevano trascorrere un'esistenza relativamente tranquilla. I contadini iniziavano a disattendere le disposizioni emanate dalle autorità repubblicane che obbligavano l'apporto all'ammasso di alcuni prodotti della terra al fine di assicurare i rifornimenti per le città, denunciando raccolti nettamente inferiori a quelli reali, preferendo nascondere olio, grano, patate e lana per renderli disponibili al mercato nero.
Solamente nell'inverno 1944 le tessere annonarie non furono più sufficienti ad assicurare un livello di sussistenza accettabile <299. Pigna forniva a questo mercato “libero” destinato alle cittadine della costa olio, castagne, patate, vino, mentre era costretta a rifornirsi principalmente di grano, farina, riso, sale, tabacco e zucchero, conservando comunque negli scambi complessivi un saldo, dal punto di vista economico, positivo. I prezzi dei generi calmierati acquistati con le tessere non subirono nel corso del 1944 aumenti significativi, se non nel mese di dicembre, mentre i prezzi praticati dalla borsa nera subirono aumenti più consistenti: mediamente essi erano più di 10 volte superiori a quelli del mercato regolamentato. I prezzi dei generi acquistabili con la tessera erano simili in tutto il territorio della RSI, mentre quelli del mercato nero dipendevano dalle condizioni effettive di possibilità di reperimento dei vari prodotti <300. I contadini pignaschi riuscirono a sottrarre all'ammasso quantitativi d'olio che poi vendevano dalle 100 lire alle 200 lire il chilogrammo ai commercianti incaricati di smistare il prodotto verso le città rivierasche.
Nell'autunno del 1944, a causa dei bombardamenti, della ridotta produzione agricola ed industriale e del sistema di distribuzione fortemente compromesso dall'organizzazione burocratica della RSI, le razioni stabilite dalla tessera vennero diminuite, e il razionamento del pane venne ridotto a 125 grammi al giorno. Il sistema della tessera contribuì, in parte, a convincere i richiamati a rispondere alla leva, poiché si aveva diritto alla tessera esclusivamente se in regola con gli obblighi militari o se occupati nei servizi di lavoro organizzati dalla Todt <301. Pigna, come tutti i paesi dalla preminente economia agricola, risentì meno di questa stretta alimentare, anche se i mesi dell'inverno 1944-1945 furono durissimi. Il regime alimentare era costituito principalmente da castagne secche, poco pane ottenuto con farine miscelate di grano e patate, conigli, latte e qualche uovo di gallina e i grassi provenivano esclusivamente dall'olio d'oliva. L'estate 1944 conobbe il momento più intenso per quanto riguarda l'adesione al movimento partigiano del territorio; le bande, che fino ai primi giorni di primavera erano costituite soprattutto da un'èlite di uomini politicamente consapevoli, vennero ingrossate da numerosi renitenti alla leva e disertori dell'esercito repubblichino. I pochi paesi dove non vi era alcun presidio della GNR erano spesso occupati dai partigiani che scendevano dalle montagne circostanti.
[NOTE]
287 Decr. Legislativo del Duce n° 30/1944 288 Alla fine del 1943 erano già state richiamate le classi 1924 (secondo, terzo e quarto trimestre) e 1925, ma gli esiti furono assai deludenti per i vertici militari della R.S.I. Il 7 aprile la chiamata alle armi interessò le classi 1916 e 1917. Nei mesi seguenti, a breve distanza tra loro, venne completato il richiamo di tutte le classi con i seguenti scaglioni, prima il 1918-19 poi il 1920-21 e per ultimo il 1914-15. L'11 maggio vennero emessi due decreti correttivi: il 336 che stabiliva che i mancati alla chiamata e i disertori, appartenenti a qualsiasi classe di leva, che si presentavano alle armi prima del 9 marzo non sarebbero incorsi in sanzioni; il secondo, n° 431, dichiarava che il disertore o il mancante alla chiamata che si costituiva volontariamente, veniva condannato con una pena minima di dieci anni di reclusione e non la morte.
289 Renzo De Felice, Mussolini, l'alleato, la guerra civile (1943-1945), Einaudi 1997
290 Medaglia d'oro al Valor Militare e autore della canzone «Fischia il vento».
291 La I brigata operava nelle valli dell'imperiese al comando di Silvio Bonfante «Cion», la IV brigata nell'alta valle del Tanaro, territorio a cavallo di Liguria e Piemonte
292 Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, ed. A.L.I.S., Sanremo, [n.d.r.: 1946, ristampa a cura di Isrecim nel 1975] pag 116
293 A Buggio quello locale era comandato da Carlo Cattaneo “Carletto”, formato da alcuni giovani dei paesi di Pigna, Buggio e Castelvittorio e da ex-militari che l'8 settembre non avevano potuto raggiungere le loro case perché lontane o già occupate dagli anglo-americani nel sud del Paese.
294 Uff. P.M. Sez. Spec. Corte Assise Genova 28/1/46. Non luogo a procedere 14/11/94.
295 Per questo fatto Tommaso Cataldi fu condannato alla pena capitale dal tribunale del 1° Btg. M. Bini della V Divisione Cascione in data 5 febbraio 1945, sentenza eseguita il giorno stesso in località Gerbonte di Triora. La sentenza venne firmata dal comandante del battaglione Figaro (Vincenzo Orengo), il commissario Lince (Manlio Cogliolo) e Gianni.
296 Memorie orali di “Erven” e Vittò. Per maggiori dettagli si veda l'opuscolo di N. Allaria Olivieri, Sangue a Castelvittorio, Editrice Sordomuti, 1977.
297 Alessandro Acito, Fra Ginepro da Pompeiana, storia di un frate fascista, Prospettive editrice 2006.
298 Le Brigate Nere erano un corpo paramilitare, organizzato direttamente dal Partito Fascista Repubblicano, per la lotta contro i partigiani e la liquidazione di eventuali nuclei di paracadutisti nemici. Ogni provincia doveva organizzare una brigata su base volontaria con uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni iscritti al partito. In provincia di Imperia venne istituita la XXIII Brigata Nera “Antonio Padoan” di cui era comandante il federale di Imperia Mario Messina.
299 Secondo le rilevazioni degli uffici periferici della struttura burocratica della R.S.I., i generi tesserati assicuravano solamente il 46% delle calorie necessarie, il 38% delle proteine e dei grassi e il 54% dei carboidrati, per assicurarsi il resto era quindi necessario ricorrere al mercato nero.
300 Renzo De Felice, Mussolini l'alleato, la guerra civile, op. citata, pag 290. Per i prezzi dei principali generi alimentari è necessario tener conto dei luoghi di produzione, della condizione delle reti viarie, dei rischi che i commercianti del mercato nero si assumevano nel trasporto dei beni. È quindi logico che il prezzo dell'olio assumesse a Milano valori altissimi, mentre per la nostra zona appare sottostimato il prezzo del riso, della carne bovina e dello zucchero. Nel 1941 la tessera permetteva i seguenti consumi: 200 grammi di pane al giorno, 400 di carne al mese, 500 di zucchero, 100 di olio; la quantità di calorie che venivano offerte agli italiani era fra le più basse d'Europa, di poco superiore a quella miseranda dei polacchi: 850 calorie al giorno in Polonia, 1100 in Italia, 1990 in Germania. La carta mensile del pane era divisa in 30 o 31 bollini datati che non avevano validità retroattiva: non si poteva avere l'indomani razione doppia se si digiunava oggi. Per l'abbigliamento invece ogni cittadino aveva diritto in un anno a 120 punti d'acquisto laddove un paio di scarpe valeva 80 punti, un vestito da donna 60, una valigia 30, un fazzoletto 3.
301 Todt, manovalanza retribuita al servizio degli occupanti tedeschi, che dava diritto all'esenzione dal servizio militare.
Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016

n.d.r.: altri lavori di Giorgio CaudanoGiorgio Caudano (con Paolo Veziano), Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945, Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016

sabato 6 aprile 2024

Isolabona diede al movimento diciotto partigiani che combatterono incorporati nei vari Distaccamenti della V Brigata

Isolabona (IM): uno scorcio del paese

Come a Dolceacqua, anche a Isolabona nei giorni della lotta un CLN non fu mai formalmente costituto. Agivano solamente gruppi spontanei di cittadini che, però, qui erano bene organizzati ed in stretto contatto tra di loro, quasi come un vero CLN, decisi cioè a combattere insieme il nemico con costanza e determinazione onde riconquistare la libertà. Alla Liberazione, quando si costituì il CLN come in ogni altro Comune, vi entrarono a far parte anche alcuni esponenti dei gruppi suddetti, per cui il CLN risultò così formato: Armando Gazzano (indipendente), Aldo Moro (PSIUP), Celeste Pastor (PCI), Romualdo Pastor (ind.) e Menotti Verrando (ind.).
I primi reparti tedeschi giunsero a Isolabona agli inizi di giugno 1944 e dopo una ventina di giorni vennero sostituiti da altri contingenti di truppa. Nel mese di luglio giunsero altre truppe costituendovi pure un Comando e vi rimasero fino al 23 aprile 1945, vigilia della Liberazione. Durante tale periodo, dopo aver sloggiato gli inquilini dalle migliori abitazioni, le occupavano senza mancare di impossessarsi di tutto ciò che faceva loro comodo, specialmente apparecchi radio, biciclette, coperte ed oggetti di valore. Inoltre settimanalmente erano presi a turno degli ostaggi, che venivano reclusi e guardati a vista da sentinelle tedesche, sotto la minaccia di fucilazione al primo tentativo di sabotaggio od offesa ai soldati occupanti. Con l'aiuto del podestà fascista il Comando nemico riusciva a compilare la lista dei familiari dei partigiani del paese, costringendo i familiari stessi a rifugiarsi nel Comune di Pigna. Denunciati sempre dai fascisti del luogo, il 16.2.1944 la GNR arrestava Lindo Cane, Tarquinio Ferrari e Alfredo Gavino, che furono deportati in Germania nel campo di Mauthausen, ove morirono Ferrari e Gavino, mentre Lindo Cane, riuscito a tornare, morì di TBC nel sanatorio di San Lorenzo il 5 maggio 1946.
Già il 13 settembre 1943 il cittadino Gildo Pianeta, mentre tentava di fuggire dalla tradotta che lo portava in Germania, era stato ucciso.
Sebbene nessuna unità partigiana vi si formò mai, il Comune di Isolabona diede al movimento diciotto partigiani che combatterono incorporati nei vari Distaccamenti della V Brigata "Luigi Nuvoloni". Fra questi Emilio Veziano (Spartaco), il quale, catturato e condotto su monte Morgia, vi fu bruciato vivo il 16 settembre 1944. L'allora podestà non volle interessarsi della sepoltura.
I tedeschi, come abbiamo già visto, con l'ausilio dell'allora podestà, avevano compilato una lista di tutti i partigiani di Isolabona, comprensiva di nominativi e indirizzo delle famiglie e dei simpatizzanti. Tale lista il 18 settembre 1944 fu inviata dal Comando tedesco di Isolabona al Comando della V Brigata "L. Nuvoloni", con l'esplicita minaccia che se i partigiani avessero sparato un solo colpo di fucile sul territorio del Comune di Isolabona, sarebbero stati uccisi i loro familiari e distrutte le loro case. Ma vediamo da vicino cosa dice il documento compilato dal Comando tedesco: "Al Commando dei terroristi in Pigna, elenco dei ribelli e disertori di Isolabona:  Moro Nello di Giobatta, Orrao Adolfo di Adolfo, Pianeta Roberto di Giuseppe, Cane Alfonso di Giuseppe, Anfosso Leo di Giacomo, Moro Aldo di Pietro, Cane Sigifredo di Cesare, Veziano Osvaldo di Enrico, Martini Aldo di Vincenzo, Martini Nando di Ferdinando, Boero Flavio di Luigi, Novaro Lino di Annibale, Balestra Giulio, Peitavino Ferdinando. Famiglie che risulta rendano servizi ai ribelli: di Piombo Eugenio (figlio e figlia), di Verrando Menotti, di Pastore in Via Molino; nonché tutti i familiari dei ribelli succitati e quasi tutte le famiglie che abitano nella regione Gonté..." [...]
Francesco Biga in Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016,  pp. 234-236

Mio padre era un appassionato cacciatore. Poco prima o poco dopo la dichiarazione di guerra alla Francia, al ritorno da una battuta di caccia nei boschi della Val Nervia, come al solito si fermò con gli amici nel bar Piombo di Isolabona per una bevuta e poi un’altra e ancora un’altra. Sotto l’effetto dell’alcool gettò un calice di vino sulla foto del Duce allora immancabile in ogni esercizio pubblico, proferendo la frase: “Che beva anche quel porco!”. Gli immancabili delatori fecero il loro lavoro e da quel giorno cominciarono i guai. Non conto le volte che una macchina nera con le tendine nei vetri posteriori giunse alla nostra casa per prelevare mio padre e portarlo in commissariato “per controlli”. Mio fratello Nino accompagnava già nostro padre nei viaggi in Francia per contrabbando, quando venne arruolato, ironia della sorte, nella Guardia Confinaria e inviato proprio a Beausoleil. Spesse volte, anche senza permesso, ritornava a casa in bicicletta per brevi visite. L’8 settembre 1943 lo colse a Beausoleil. Tutto il reparto come tutto il Corpo d’Armata Italiano si sfaldò.
[...] A causa delle continue visite della Polizia che avrebbe potuto scoprire il disertore, Nino si rifugiò in località Marcora sopra Isolabona, in un casone di campagna adibito a ricovero degli attrezzi agricoli di una vigna di un nostro conoscente. Per qualche settimana periodicamente andavo in Marcora a portare generi alimentari e biancheria a mio fratello. Credo che altri si fossero uniti a lui perché una volta mi chiese di portare più pane. Un giorno, lasciata la bicicletta ai margini della carrozzabile, mi inoltrai a piedi per il sentiero che conduceva al rifugio di mio fratello. Mi accorsi di essere seguita e allora cambiai strada ritornando verso il paese. Un uomo mi si avvicinò; era un signore nostro vicino di casa che conoscevo bene, perché frequentava anche la nostra casa; chiedeva sempre di mio fratello. Capii allora la sua insistente curiosità. Era armato e mi puntò la pistola alla faccia chiedendomi di condurlo da mio fratello. Ebbi la forza di mentire dicendo che non sapevo dove fosse. Mi credette ma mio fratello dovette fuggire di nuovo. Con mio padre ci trasferimmo a Vallecrosia Alta, perché la costa era sovente bombardata dal mare, dai cannoni di monte Agel e mitragliata dagli aerei. Nel gennaio del 1944 morì mia madre e Nino non fu presente al funerale. Sparito. Abitavamo in quella che allora era Via dei Metri, nell’ultima casa del vicolo. Una casa all’antica con stanze comunicanti una con l’altra, senza corridoio. Dalla primavera del ’44 mio fratello iniziò a fare qualche furtiva visita nottetempo. Confabulava con mio padre, poi spariva di nuovo. Spesse volte con mio padre ritornavamo alla casa al mare [a Camporosso] e a volte papà partiva per raggiungere la Francia con la barca. La cantina a volte era piena di merci le più varie, una volta persino dei datteri. Credo nel settembre del ’44, Nino una notte portò a casa a Vallecrosia Alta una radio e la nascose nell’armadio a muro nell’ultima stanza.
Emilia Guglielmi in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, IsrecIm, 2007

2.9.1944 - "Una squadra del Distaccamento Comando della V^ Brigata, dopo aver fatto un'azione di cannoneggiamento sulle posizioni tedesche di Dolceacqua, attaccava sulla rotabile Pigna-Isolabona un'ottantina di tedeschi, che tentavano di passare il ponte rotto per entrare in Pigna. Dopo parecchie ore la squadra ripiegava perché i tedeschi abbandonavano la zona. Da parte tedesca tre morti e diversi feriti. Per quanto riguarda i partigiani, veniva preso prigioniero il Vice Comandante "Fuoco" [Marco Dino Rossi] e si registravano due feriti".
Da un documento ufficiale della II^ Divisione Garibaldi "Felice Cascione" edito in Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, ed. A.L.I.S, 1946, ristampa del 1975 a cura di IsrecIm

«Doria Fragola» e sei garibaldini armati di mitragliatore [il 26 settembre 1944] si appostano, in località Cartiera, tra gli alberi soprastanti la strada Isolabona-Dolceacqua, per tendere un agguato ai Tedeschi di cui è segnalato il transito. «Doria» seguito da due suoi compagni scende fin quasi sul ciglio della strada e mitraglia un camion tedesco di passaggio, il quale, benché colpito, prosegue la corsa finché, ancora mitragliato dai partigiani rimasti nascosti, sbanda e si ferma. I garibaldini partono quindi all'attacco dei Tedeschi superstiti con lancio di bombe a mano, ma lo strepitio dello scontro nasconde il rumore di altri due camion che stanno arrivando. Occorre ritirarsi.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Il 25 settembre 1944, intorno alle 8 di mattina, due colonne tedesche provenienti da Isolabona attaccarono in forze Pigna: la prima riuscì a superare l'ostacolo rappresentato dal ponte degli Erici distrutto e avanzò lungo la strada, raggiungendo località Casermette dove si fermò e sparò numerosi colpi di mortaio, che distrussero una casa nel paese e arrecarono gravi danni ad altri fabbricati.
[...] In ottobre la situazione sulla frontiera italo-francese si era ormai stabilizzata: i due schieramenti si fronteggiavano su una linea che andava da ponte San Luigi al Grammondo, per proseguire verso il col de Tourini, l'Authion, il Monte Bego e le cime che spesso superano i 3.000 metri sulla frontiera franco-piemontese. Della pratica Pigna se ne sarebbe occupata una compagnia del “Hochgebirgs-Jager Btg 4” del capitano Andreas Schönleben e reparti della 34a Divisione di fanteria, che aveva già stabilito il proprio Quartier Generale a Saorge. Le truppe da montagna dovevano partire da Isolabona per proseguire lungo la valle dai due lati del fiume Nervia e da Bajardo; si sarebbero, poi, divise in due colonne: una avrebbe preso per la mulattiera di Veduno, l'altra doveva scendere da San Sebastiano, passare per Castelvittorio ed entrare in Pigna dal ponte di Lago Pigo. I reparti della 34a dovevano salire lungo la vallata della Bendola, guadagnare il Passo Muratone e da lì scendere lungo due direttrici: Ouri e Prealba. Forse, per evitare combattimenti troppo aspri, che avrebbero potuto causare molte perdite agli stessi tedeschi, veniva lasciata libera una via di fuga ai partigiani lungo la strada del Passo Langan. Il 5 ottobre alle ore 17, le due batterie da 105 piazzate a Isolabona iniziano a martellare il paese con un fuoco incessante, che terminò solo a notte inoltrata. Il giorno seguente, all'alba, le salme di artiglieria ripresero a scuotere le campagne circostanti, molte ogive vennero caricate con shrapnel.
[...] A Isolabona si stabilì il comando del 253° reggimento di granatieri comandato dal colonello Ferdinand Hippel, il 1° battaglione del reggimento (major Klingemann) venne posizionato a Rocchetta Nervina, il 2° battaglione (major Hans Geiger) a Bevera. Le compagnie del 1° battaglione si alterneranno tra il fronte e le prime retrovie che si formeranno sulla riva sinistra del fiume Roia tra Gouta, Testa d'Alpe e Briga.
Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016

[ altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano con Paolo Veziano, Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945, Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020 ; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]

Durante un improvviso rastrellamento dei tedeschi riuscii a fuggire dai partigiani [...] Quando i tedeschi, al termine dell'operazione, tornarono al loro quartiere di Isolabona, chiesi di poter rientrare alla settima compagnia [bersaglieri della RSI]. Il tenente tedesco mi rispose cbe avrebbe deciso lui quando rimandarmi: per il momento gli servivo a Isolabona. Mi affidò al soldato che si occupava delle mucche, in dotazione (!) alla sua compagnia.
Franco Scarpini in I nostri giorni cremisi (1943-1995), Diario raccolto e coordinato da Umbertomaria Bottino per gli amici del II (XX) Battaglione, 3° Reggimento Bersaglieri Volontari R.S.I., edito in Milano nel maggio 1995

27.9.1944 - "In seguito all'attacco del giorno prima fatto dai tedeschi la V^ Brigata ["Luigi Nuvoloni" dell'appena costituita Divisione "Felice Cascione", trasformazione della precedente IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"] lanciava un contrattacco su Isolabona con mortaio da 45. Una squadra mortai del Distaccamento Comando effettuava un'azione di disturbo sulle posizioni tedesche dell'anzidetto paese. Le perdite nemiche non sono state precisate".     
Da un documento ufficiale della II^ Divisione Garibaldi "Felice Cascione" edito in Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, ed. A.L.I.S, 1946, ristampa del 1975 a cura di IsrecIm

Alcuni garibaldini della V Brigata catturati in precedenza, più numerosi nelle zone di Pigna e di Buggio vengono raggruppati dal nemico a Isolabona e il 2 marzo fucilati presso il cimitero per rappresaglia in risposta alle sconfitte subite.
Cadono così, coraggiosamente, gettando disprezzo in faccia al nemico: Domenico Aimo, Giulio Grassi, Vito Massa, Antonio Pallanca, Attilio Pastor, Umberto Sciutto e Benedetto Vivaldi.
Sabina Giribaldi, Episodio di Isolabona, 02.03.1945, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

15 marzo 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 342, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione - Comunicava che... ad Isolabona si trovavano 500 tedeschi...
22 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [responsabile Brunero, Francesco Bianchi] della V^ Brigata, prot. n° 352, alla Sezione SIM della II^ Divisione - Comunicava che... a Pigna ed a Isolabona erano stanziati 100 tedeschi per presidio...
20 aprile 1945 - Dalla sezione SIM della V^ Brigata al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Segnalava che Pigna (IM) era presidiata da 40 soldati di nazionalità russa e tedesca, che ad Isolabona vi erano 50 tedeschi... che sul fronte italo-francese tra la Località Marcora [nel comune di Isolabona (IM)] e la regione Fontana Povera [nel comune di Rocchetta Nervina (IM)] si notava la presenza di alcune artiglierie di medio calibro.
24 aprile 1945 - Da "Mina" al comando della II^ Divisione - Comunicava che ... ad Isolabona vi erano 80 nemici con 50 cavalli e 2 batterie da 75/27 in postazione...
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Era uno scapolo di buona età. Viveva nella sua Isolabona, figlio di zia Caterina. Saliva ogni anno in Andagna, patria dei genitori che in Isola avevano avviato una bottega di stoffe. La guerra e la lotta partigiana non lo distolsero dall'innata abitudine di trascorrere alcuni mesi nella casa dei vecchi genitori. In Andagna aveva una sorella ed ogni anno vi trascorreva le meritate vacanze, spesso in compagnia del fratello e dello zio maristi. Nella casa spaziosa e patriarcale si respirava aria di serenità, e di pace campestre.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975