martedì 23 marzo 2021

Io sono partito per la Francia il 10 dicembre 1944

Una vista da Grimaldi, Frazione di Ventimiglia (IM), località sita in prossimità della frontiera con la Francia, sino a Bordighera

Una vista da Grimaldi sino a Roquebrune - Cap Martin e Mentone - Foto di S.M.

Dalla primavera del 1944 mio fratello [Alberto "Nino" Guglielmi] iniziò a fare qualche furtiva visita nottetempo. Confabulava con mio padre, poi spariva di nuovo. Spesse volte con mio padre ritornavamo alla casa al mare e a volte papà partiva per raggiungere la Francia con la barca. La cantina a volte era piena di merci le più varie, una volta persino dei datteri. Credo a settembre del 1944, Nino una notte portò a casa, a Vallecrosia Alta, una radio e la nascose nell’armadio a muro nell’ultima stanza. Qualche tempo dopo arrivò all’imbrunire, furtivamente come suo solito, si recò nella stanza della radio e mi chiese di andare dalla vicina di casa, Marinetta, chiudendomi dietro tutte le porte [...] Il giorno dopo papà nascose in un altro nascondiglio la radio. Venne la polizia rovistarono dappertutto ma fu facile dire che non sapevamo niente della radio e che non sapevamo dove Nino fosse fuggito forse con la radio stessa.
Aumentarono le nostre visite alla casa sulla costa. [...] Spesse volte tra i garofani mio padre nascondeva casse che nottetempo erano sbarcate sulla costa. Compresi che quando era in previsione uno sbarco pernottavamo al mare a dispetto dei cannoneggiamenti da Monte Agel, e al mattino ritornavamo ripetendo la manfrina delle ceste dei garofani invenduti al mercato. Da quei giorni nella cantina della casa al mare furono custodite anche strane casse. Sono certa che sbarcarono o si imbarcarono anche altri soldati alleati. In particolare ricordo che prima di Natale del 1944 una notte riapparve Nino accompagnato da un uomo alto, biondo come uno svedese e due baffoni. Erano appena sbarcati dalla barca, perché i pantaloni erano bagnati, e avevano anche diverse casse che nascosero in cantina e che vennero recuperate nei giorni successivi dagli amici di Nino: Achille [Achille "Andrea" Lamberti], Lotti e altri. Ancora a notte partirono per Negi. La notte della Epifania riapparve mio fratello Nino con Mimmo (Domenico Dònesi) e un ufficiale inglese [il capitano Robert Bentley del SOE britannico, incaricato della missione alleata presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] bagnato fradicio. Era evidentemente appena sbarcato. Sistemarono delle casse in cantina poi si incamminarono di nuovo [...] Emilia Guglielmi, sorella di Alberto "Nino" Guglielmi, in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia < Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007

Nell’ambito dell’O.S.S. veniva così costituita la Missione Corsaro, che assumeva il compito del collegamento tra il Comando alleato e i Comandi partigiani operanti nella zona Ventimiglia... Accettando l’incarico di capo dell’Ufficio Operazioni della Missione in zona nemica, tramite Corsaro [Giulio Pedretti], Leo [Stefano Carabalona] poteva inviare da Pigna al comando alleato le informazioni necessarie…  
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005

Novembre 1944 mio passaggio in Francia perché in qualità di capitano pilota avrei potuto prospettare lanci nella zona. Per equivoco al mio arrivo fui arrestato e sottoposto a duri interrogatori da parte della polizia francese delle Nouvelle Prisons di Nizza. Chiarito l'equivoco, mi offro volontario per essere sbarcato da solo nella Val Nervia per preparare la ricezione della missione alleata capeggiata dal cap. Bentley [del SOE, ufficiale di collegamento alleato con i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria]. Sbarcato alle 2 di notte da un motoscafo inglese, mi trovai sulla spiaggia di Val Nervia da solo per 6 giorni. Presi poi i contatti con Gino [Luigi Napolitano di Sanremo (IM), in quel periodo commissario del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione] e Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria]. Segnalai per varie notti consecutive a mezzo di lampadina elettrica la possibilità di sbarco della missione. Il 6 gennaio 45 la missione sbarcava...
Antonio "Tonino" Capacchioni, manoscritto, documento IsrecIm, pubblicato in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

La missione Leo [n.d.r.: dal nome di battaglia del responsabile, il comandante Stefano Carabalona] alla quale appartenevano Rosina [Luciano Mannini], Lolli [Giuseppe Longo], Giulio [Corsaro/Caronte] Pedretti, ed alcuni altri giovani che si erano temprati nelle lotte di montagna, si portò a Nizza nel [nella notte tra il 10 e l'11] dicembre 1944, dopo due mesi di utile lavoro preparatorio, per mezzo della leggendaria imbarcazione guidata dall'infaticabile «Caronte» Giulio Pedretti e da Pascalin [Pasquale Pirata Corradi, di Ventimiglia (IM), come Pedretti]. A Nizza, Leo si incontra con i responsabili dei servizi speciali alleati e prepara il piano definitivo di lavoro, che comportava, fra l'altro, l'uso di apparecchi radio trasmittenti, per i quali la missione aveva già predisposto gli operatori. Nel gennaio 1945 la missione rientra in Italia, dove il terreno era già stato preparato in anticipo. Si organizza e comincia a funzionare in pieno...
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

All'interno del CLN il fatto [n.d.r.: il ferimento, in data 8 febbraio 1945 in Vallecrosia, del comandante "Leo", Stefano Carabalona, in un agguato fascista, commissionato dai servizi segreti della Marina tedesca di stanza a Sanremo] suscitò scalpore e innestò una approfondita discussione che evidenziò la urgente necessità di cautelarsi con le forze alleate della vicina Francia per una maggior collaborazione e soprattutto coordinamento.
Curammo "Leo" come era possibile ma le sue condizioni permanevano critiche. Con il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia predisponemmo una barca per il trasporto in Francia.
Il Gruppo Sbarchi era stato creato dal nostro C.L.N., che mi incaricò ufficialmente, con tanto di credenziali dell'Alto Comando, di rappresentare la Resistenza italiana presso il comando alleato e di coordinare le loro azioni alle nostre esigenze.
Alla sera convenuta imbarcammo "Leo", "Rosina" [n.d.r.: Luciano Mannini] e con Renzo "U Longu" [Renzo Biancheri] iniziammo a remare verso la costa francese. Il dr. De Paolis, viste le condizioni ormai gravi di "Leo", mi incaricò di iniettargli una fiala di adrenalina. Con questa adrenalina in corpo "Leo" affrontò il viaggio.
[...] Iniziò ufficialmente una più stretta collaborazione tra la Resistenza italiana e le forze alleate.
Renzo Stienca/Gianni Rossi in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

Io sono partito per la Francia il 10 dicembre; giunto colà presi contatto con il Comando Americano di Nizza con il quale già ero in relazione da circa due mesi.
Stefano "Leo" Carabalona in una lettera a Curto acclusa al dispaccio prot. n° 2 del CLN di Bordighera del 26 febbraio 1945, documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

Dopo la battaglia di Pigna Carabalona non seguì Vitò [“Ivano“, Giuseppe Vittorio Guglielmo] in Piemonte: era stato delegato ad avere rapporti con gli alleati. Ricavo le notizie da un’intervista con Vitò: «Stefano Carabalona, tenente nell’esercito nelle forze G.A.F., dopo l’8 settembre iniziò la sua propaganda per la formazione di gruppi partigiani. Radunò i ragazzi della bassa Val Nervia e soprattutto quelli di Rocchetta Nervina, sulle cui alture aveva stabilito la sede del distaccamento. I giovani che raccolse erano numerosi e furono anche ben organizzati […] Quando con la venuta a Pigna degli alleati si presentò la necessità di una missione alleata tra noi la chiedemmo: furono loro stessi ad appoggiare la nostra richiesta. Qualcuno di noi doveva essere preparato e delegato per avere un contatto diretto. Designai Carabalona e Lolli [Giuseppe Longo], che mi sembravano più adatti. Dovevamo superare anche la questione del colore politico. Non volevamo che questo ci danneggiasse. Se mai era una questione nostra. Anche tra gli alleati vi erano delle divergenze di opinioni. A noi interessava il loro aiuto. Così Carabalona, dopo accordi presi, si era recato presso Nizza, nel golfo di Villafranca. Qui in una villetta presero contatto con gli alleati. Fu lì che partì il capitano Bentley per venire in mezzo a noi come osservatore e come elemento di collegamento. Carabalona ed il suo gruppo sono sempre stati in Francia, collegati con gli americani. Venivano di tanto in tanto in Italia per collegamenti con i nostri gruppi. In uno di questi rientri Carabalona fu colpito piuttosto gravemente ed ebbe molto a soffrire […] Durante i suoi rimpatri aveva formato un secondo gruppo partigiano». don Ermando MichelettoLa V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975 

Dopo lo sbarco alleato sulla Costa Azzurra francese, il comandante partigiano Leo invia agli amici della resistenza di Ventimiglia, Giulio Pedretti e Pasquale Corradi, quattro militari anglo-americani: Paul Morton da Toronto (Canada), Cap. Geoffrey Long - Pretoria (S.A.), W. Mac Lelland - Lanark (Scotland) e Maurice R. Larouche - Detroit (USA), che dovevano raggiungere la zona liberata, dove sono condotti di nottetempo con una barca a remi, che li porta a Montecarlo.
Pedretti e Corradi, intendendo continuare questa loro attività, passano in forza al Comando Americano dell’O.S.S. di Nizza. Inizia così la missione che dal nome di guerra del Pedretti sarà conosciuta come «Missione Corsaro» e avrà per compito:
1) collegamento fra truppe alleate e reparti partigiani;
2)  raccolta e trasmissione di informazioni militari;
3) asilo, assistenza e smistamento dei componenti delle missioni alleate da e per l’Italia e dei partigiani che dovevano espatriare.
Tornati a Ventimiglia col materiale necessario, fra cui due radio ricetrasmittenti, iniziarono la loro attività negli appartamenti delle famiglie Pedretti, Corradi e Renato Sibono, tenente di artiglieria. I collegamenti con le forze partigiane erano assicurati dal maggiore degli alpini Raimondo e dal figlio, che si prodigarono, anche assieme ai sigg. Efisio Loi e Albino Machnich nella raccolta delle informazioni militari.
Redazione, Martirio e Resistenza della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale. Relazione per il conferimento di una Medaglia d’Oro al Valor Militare, Comune di Ventimiglia (IM), 1971 

La guerra partigiana intanto manifestava alcuni pesanti difetti organizzativi; c’erano contatti con gli alleati che erano sbarcati a St. Raphael in Provenza e, a settembre 1944, erano arrivati a Mentone, ma erano scarsamente coordinati. […] Lanci di paracadute con armi finiti in dirupi inaccessibili o addirittura in mano ai tedeschi.
Inoltre l’inverno giunse in anticipo sulle montagne e i collegamenti con gli alleati, che avvenivano attraverso i sentieri alpini, erano resi impossibili.
Si ipotizzò anche di tentare con i sommergibili, ma non ci fu nessun serio risultato. Si poteva tentare soltanto via mare.
Il 20 dicembre 1944 doveva sbarcare il capitano Robert Bentley, ma fu tutto rinviato per il mare in tempesta. Dapprima arrivarono due collaboratori del capitano e finalmente la notte fra il 6 e il 7 gennaio 1945 sbarcò Bentley con il radiotelegrafista John Mac Dougall.
Renato "Plancia" Dorgia, in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

A sera apparve Pascalin, che aveva avuto ordini dal suo comandante Richard, e mi condusse con Gianni alla Villa Citronières [a Mentone], ove incontrai mio fratello Pierino, Scipio e il marsigliese Neron, tutti addetti al Service Renseignement Operation, Antenne de Menton.
[...] Gli ufficiali britannici non ci abbandonarono; dopo pochi giorni ci fecero trasferire nel braccio dei prigionieri militari; ci rifornivano di viveri e di sigarette  e continuarono a farlo per tutto il tempo che fummo ospitati presentandosi, a giorni alterni con un sacco di iuta ripieno di viveri; i secondini, in maggioranza corsi, divennero anch’essi gentili. In quei giorni fummo raggiunti da un altro ventimigliese, Pippo; in cella si creò un trio; Pippo parlava di Nettu [Ernesto Corradi].
[...] Giunsero da Bordighera Elio [Ampelio Bregliano], Luciano [Luciano Rosina Mannini] e Mimmo [Domenico Dònesi]. Elio si fermò con noi e gli altri proseguirono per Nizza [...]
Paolo Pollastro Loi, testimonianza raccolta da Don Nino Allaria Olivieri in Ventimiglia partigiana… in città, sui monti, nei lager 1943-1945, a cura del Comune di Ventimiglia, Tipolitografia Stalla, Albenga, 1999, ripubblicata in Quando fischiava il vento. Episodi di vita civile e partigiana nella Zona Intemelia, Alzani Editore - La Voce Intemelia - A.N.P.I. Sezione di Ventimiglia (IM), 2015

Trascorso il plenilunio, la notte del 14 [dicembre 1944] partiva con un'altra barca anche il partigiano dott.  Kahnemann (Nuccia) con la pianta di tutte le postazioni tedesche del primo schieramento costiero e le coordinate delle principali fortificazioni, ricevute a Coldirodi [Frazione di Sanremo (IM)] da un incaricato della Divisione Felice Cascione. Su interessamento del comando della I^ Brigata Silvano Belgrano [della Divisione Silvio Bonfante], rientravano dal Piemonte nella prima decade di novembre e, con l'aiuto di Corsaro [Giulio Pedretti], dopo qualche giorno seguivano Nuccia verso la Francia anche due soldati R.T. americani, fuggiti ai tedeschi in Alta Italia, con il compito di sollecitare presso il Comando alleato l'invio di apparecchi radio ricetrasmittenti. Il tenente Antonio Capacchioni del gruppo Kanhemann veniva incaricato di preparare, in collaborazione con la S.A.P. di Vallecrosia, l'arrivo presso la Divisione Felice Cascione del capo della Missione alleata, il capitano inglese Robert Bentley.
Francesco Biga, Op. cit., Vol. IV

Poi finalmente Girò [Pietro Gerolamo Gireu Marcenaro] e gli amici prepararono la barca e partimmo. Era dicembre [1944] e tra i compagni di viaggio ricordo sicuramente Luciano "Rosina" Mannini.
Ampelio Elio Bregliano in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit. [n.d.r.: o Bregliano ricordava male o non era stato accreditato con la Missione Kahnemann]
 
Della Missione Kahnemann faceva parte anche Alberto Nino Guglielmi.
Raggiunti gli alleati, Domenico Mimmo Dònesi e Nino furono ingaggiati dai servizi inglesi, sottoposti ad un breve addestramento e preparati alla missione di invio dell’ufficiale di collegamento presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria, il capitano Robert Bentley, del SOE  britannico. Intorno a Natale Nino fu inviato a preparare lo sbarco di Bentley, che avvenne il 6 gennaio 1945, sempre sulla spiaggia di Vallecrosia. Di questa missione faceva parte anche Dònesi. Capacchioni era già in attesa in zona.
appunti inediti di Giuseppe Mac Fiorucci, per Op. cit.

Raggiunti gli alleati, Mimmo (Domenico Dònesi) e Nino (Alberto Guglielmi) furono ingaggiati dai servizi inglesi, sottoposti ad un breve addestramento e preparati alla missione di invio dell’ufficiale di collegamento presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria, il capitano Robert Bentley, del SOE   britannico. Dopo Natale Nino fu inviato a preparare lo sbarco di Bentley.
appunti inediti di Giuseppe Mac Fiorucci, per Op. cit.

Con lo sbarco [notte tra il 6 ed il 7 gennaio 1945] del capitano Bentley si strinsero ancor più i rapporti tra il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia e il gruppo di "Leo" Carabalona, del quale faceva parte Giulio Corsaro Pedretti, che per primi avevano preso contatto con le forze alleate. Gli sbarchi si susseguirono con invio di armi e anche di agenti radiotelegrafisti per azioni di spionaggio. [...]
Gli sbarchi si susseguirono con invio di armi e anche di agenti radiotelegrafisti per azioni di spionaggio. Tra queste operazioni vi fu la tragica "Operazione Leo", a seguito della "Operazione Gino", di cui non conosco i particolari, ma che mise a repentaglio tutta la nostra organizzazione.
Renato "Plancia" Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

Ripassai in Francia e studiai un piano per entrare in Italia via mare… i vostri uomini di Bordighera e Vallecrosia, Leo [Stefano Carabalona], Renzo Rossi, Rosina [Luciano Mannini], Caronte [detto anche Corsaro, Giulio Pedretti], Renzo Biancheri hanno seguito la stessa via numerose volte. Ad ogni modo presi contatto con Leo, che era appunto appena sbarcato in Francia in quel tempo, e poi con Kahnemann (Nuccia), il quale era pure passato [partendo con il suo gruppo da una spiaggia di Vallecrosia la notte del 14 dicembre 1944] a Nizza e mi posi immediatamente al lavoro. Tonino [Antonio Capacchioni], Mimmo [Domenico Dònesi] e Nino [Alberto Guglielmi] mi furono di grande ausilio durante la fase preparatoria. Le difficoltà di una traversata erano grandissime… decidemmo di inviare Nino perché preparasse il terreno…
capitano Robert Bentley in Mario Mascia, Op. cit.

A febbraio del 1945 un agente telegrafista di una radio rice-trasmittente clandestina che operava nella nostra zona venne scoperto e catturato. La scoperta del telegrafista bloccò il flusso di informazioni militari tra i partigiani e gli alleati. Viste le mie qualifiche militari di "operatore radio", il CLN  dispose il mio trasferimento nella vicina Francia liberata [...]
Angelo Athos Mariani in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit. 

mercoledì 10 marzo 2021

Roia che, visto dalla nostra posizione, appariva come un torrentello da oltrepassare con un salto

[...]
28/8/44 - Ripartiamo diretti alla Mezzaluna, durante la giornata raggiungiamo i freddi casoni della banda di "Giulio" [Libero Remo Briganti]; rivedo i miei compagni ancora in attesa dei lanci, mi soffermo alcuni minuti con loro […] 25/8/44 […] Siamo di fronte uno all’altro, ci guardiamo meravigliati, poi scoppiamo dal ridere; mi racconta che è reduce da un imponente rastrellamento subìto sulle pendici del monte Grammondo. Ora cerca [Netu/Nettu/Nettù, Ernesto Corradi, in quel momento ancora comandante di un distaccamento, Grammondo, della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi Luigi Nuvoloni della II^ Divisione Felice Cascione] il Comando di divisione per fare il suo rapporto. Mi propone di seguirlo, dicendomi che sarebbe sceso a Torrazza [Frazione di Imperia] e ritornato, poi, in Francia. Il desiderio di rivedere i miei genitori era immenso e l’idea di avvicinarmi agli alleati mi allettava molto. Illuso di poter entrare a Porto Maurizio sopra un carro armato americano, accetto la proposta e decido di seguirlo. Convinto dall’entusiasmo del mio compagno, abbandonavo la vita partigiana nelle montagne imperiesi, mentre una nuova spericolata avventura mi avrebbe condotto oltre confine, dove pensavo di arruolarmi in un esercito regolare per combattere, con maggiori probabilità di riuscita, quel nemico da cui non volevo più fuggire e che volevo vincere. Saluto i compagni, dispiaciuti per la mia decisione, che rimangono là in attesa di quelle armi che non arriveranno mai, e mi avvio con “Nettu” verso il Comando di divisione. Terminato il suo rapporto sulla sconfitta subìta sul monte Grammondo, “Nettu” ottiene da “Giulio”, commissario di divisione [Libero Remo Briganti], il permesso di partire per la Francia, ed io con lui.
29/8/44 - Con una lunga camminata, prima di sera raggiungiamo Triora […]
30/8/44 - Prima di partire per la Francia, “Nettu” mi fa capire che vuole attuare un colpo di mano nei pressi di San Lorenzo al Mare […]
2/9/1944 - […] Alcuni miei compagni sono già pronti a partire [da Pigna (IM)], ma "Nettu", che ci osserva poco più in là, ci fa segno di attendere.
In quel mattino di settembre il sole caldo ci spinge all'ombra esterna di una baita vicina, mentre attorno a noi i partigiani di "Vittò" [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo] sono in vivace movimento.
Appoggiati a quel muro di paglia, rivolti al confine francese, discutiamo del nostro imminente viaggio guardando da lontano quelle cime rocciose velate dalla foschia, che si innalzano verso il cielo come un muro invalicabile, eretto sul nostro cammino.
Quelle cime, forse sorvegliate dal nemico, potevano essere la fine del nostro viaggio.
L'imprevedibilità del nostro destino lasciava libero spazio alla nostra fantasia e nelle nostre menti prendevano forma i più irrealizzabili progetti, mentre davanti a noi si preparavano giorni difficili.
Durante le pause dei nostri discorsi mi assaliva il pensiero dei miei genitori che, inconsapevoli della mia decisione, sfidando il pericolo dei rastrellamenti continuavano a cercarmi in quei posti da cui mi ero già allontanato, mentre io, incurante del pericolo cui andavo incontro, sentivo un gran desiderio di raggiungere il confine ad ogni costo.
Passano le ore e nell'attesa vaghiamo per l'accampamento, confondendoci con i partigiani di "Vittò" […]
Prima di mezzanotte un partigiano mandato da "Nettu" bussa violentemente alla porta svegliandoci di soprassalto.
Mi alzo dal tavolaccio stordito dal sonno, con le ossa che mi fanno male scendo con i compagni in piazza dove "Nettu" e "Alberto" ci attendono con tre civili e un camion, pronti a partire verso il posto convenuto.
[...] Verso l'una, nel pieno della notte, ci fermiamo in un punto in cui la strada, allargandosi, forma uno spiazzo circondato da grossi abeti oltre i quali il buio ci impedisce di vedere.
Scendiamo a terra caricandoci gli zaini sulle spelle; con poche parole i nostri accompagnatori ci suggeriscono il percorso da seguire e, augurandoci buona fortuna, risalgono sull'automezzo allontanandosi per la strada da cui eravamo arrivati.
[3 settembre 1944]
[...] Con fare nervoso "Nettu" si guarda attorno, poi, con gesto sbrigativo, ci indica la direzione da prendere.
Ci inoltriamo su una strada carrozzabile che nel buio sembra sconnessa e abbandonata. Dietro al nostro capo camminiamo in fila indiana senza capire con esattezza la giusta direzione. Dopo alcune ore di strada ci fermiamo sfiniti e, appena seduti a terra, ci addormentiamo; trascorsi pochi minuti la mano del nostro capo, scrollandoci una spalla, ci sveglia.
Nuovamente in marcia, per farci acquistare fiducia durante il faticoso cammino, come punto di riferimento ci indica il monte Abellio che sta davanti a noi.
Il monte appariva come una massa oscura che si delineava nel cielo stellato, ad intervalli illuminato dai pallidi bagliori delle granate che esplodevano oltre confine.
La notte è fonda e la meta ancora lontana; camminiamo quasi barcollando dietro al nostro instancabile capobanda che, durante quella marcia forzata, stanco di sentirci inveire, ci concede qualche sosta di pochi minuti.
Con i primi chiarori dell'alba abbandoniamo per prudenza la vecchia strada e, percorrendo un sentiero di campagna, appena giorno ci troviamo nella valle Roia.
Ci muoviamo con prudenza sotto gli alberi di ulivo e, lentamente, scendiamo verso il paese di Airole; ci fermiamo a un centinaio di metri da esso e in due ci avviciniamo con cautela all'abitato; giunti a pochi metri dalle case scorgiamo sulla strada alcuni autocarri dell'esercito italiano occupati dai militi della brigata nera.

Il fiume Roia poco a monte dell'abitato di Airole (IM)

Ritorniamo subito indietro informando i compagni di quella pericolosa situazione. Davanti a noi rimaneva la preoccupante traversata del Roia che, visto dalla nostra posizione, appariva come un torrentello da oltrepassare con un salto.
Sull'altra sponda, a circa trenta metri di altitudine sul livello del fiume, scorreva la strada nazionale che dovevamo attraversare; purtroppo la strada era percorsa da numerosi automezzi militari e il guado si presentava davvero poco agevole; c'era il rischio di restare a lungo un bersaglio facile e scoperto per il nemico.
Quella barriera liquida rappresentava per noi un'ostacolo alquanto pericoloso, mettendoci in seria difficoltà.
A causa della vicinanza del nemico non possiamo permetterci di discutere a lungo su come raggiungere l'altra sponda. Calcolata ogni possibilità optiamo, con unanime consenso, per la soluzione che inizialmente appariva più rischiosa.
Sotto di noi il ponte della ferrovia che unisce Airole a San Michele, apparentemente abbandonato ma completamente scoperto davanti alla strada nazionale, rimaneva per noi il mezzo più rapido attraverso il quale proseguire verso la meta che volevamo raggiungere.
Fermi e decisi, aggrappandoci ai cespugli, scivoliamo giù in mezzo alla roccia e raggiungiamo il piede del viadotto sulla sponda sinistra del fiume.
Dallo stato in cui si trovavano i binari si poteva facilmente capire che l'abbandono di quella linea ferrata era totale. Per alcuni minuti restiamo nei pressi del ponte nascosti dietro ad un muro.
Per attraversare il viadotto avremmo impiegato all'incirca un minuto, dovevamo approfittare quindi dei rari momenti in cui il traffico, sulla strada di fronte a noi, si arrestava.
Ascoltiamo nervosi il rumore delle macchine, nell'attesa di un momento di silenzio.
Trascorrono alcuni minuti interminabili, ci sentiamo stritolati da un'ansia che ci toglie il respiro, poi ad un tratto il frastuono dei motori si affievolisce allontanandosi.
"Nettu", che fino a quel momento si era mantenuto nascosto, esce allo scoperto con il corpo proteso in avanti, guarda ancora per un istante il viadotto sospeso nel vuoto sul Roia, poi, deciso, parte correndo e, in pochi secondi, raggiunge l'altra sponda; per alcuni istanti rimaniamo indecisi, ma, mentre sulla strada persiste ancora il silenzio, anche noi partiamo saltando di corsa sulle traversine dei binari e riusciamo tutti a raggiungere il nostro capobanda.
Un tratto di galleria che copre quella strada percorsa dal nemico facilita il nostro passaggio, infatti proprio mentre ci troviamo sulla sua sommità, sotto di noi transita un'autoambulanza scortata da un camion tedesco.
Ci allontaniamo in fretta per raggiungere la cima di una collina, intanto sulla strada il traffico degli automezzi militari continua inarrestabile.
Superato il grande ostacolo del Roia, ci dirigiamo verso il paese di Collabassa [Frazione di Airole IM)]; sul sentiero, fra alberi di pino, incontriamo un giovane di Olivetta San Michele e lo convinciamo a seguirci; il suo nome di battaglia sarà "Pineta", proprio a ricordo del luogo in cui l'abbiamo incontrato.
 

Uno scorcio di Val Roia, visto da Collabassa

Oltrepassato l'abitato di Collabassa proseguiamo verso il torrente Bevera e, prima di sera, giungiamo nel paese di Torri [Frazione di Ventimiglia (IM)]; ci fermiamo pochi minuti, il tempo utile per informarci sul movimento dei Tedeschi, dopo di che ci allontaniamo verso Villatella [altra Frazione di Ventimiglia (IM)].
Sopraggiunta la notte ci fermiamo in una casa abbandonata di campagna. Ormai il confine tanto sognato era vicino, e ognuno di noi sperava di trovare oltre quello la libertà desiderata ormai da troppo tempo.
Il mattino seguente ci rimettiamo in marcia su quell'ultimo tratto di strada che ci separa dalla nostra meta, le granate delle artiglierie americane sembrano esplodere a pochi passi da noi, camminiamo fuori strada, muovendoci fra i cespugli, temendo di incontrare pattuglie nemiche. L'entusiasmo di giungere sul suolo francese ci faceva dimenticare il pericolo che poteva nascondersi sul nostro cammino.
Diretti verso quelle cime rocciose che delimitavano il confine, ci sembrava già di aver concluso la nostra avventura.
Durante l'ascesa verso quel valico mi sentivo sopraffatto dall'emozione, mentre pensavo ai compagni lasciati a combattere una guerra di cui non potevo più essere partecipe.
Avvicinandomi alla vetta, con le spalle tristemente rivolte al mio paese, giuravo a me stesso che sarei tornato dalla mia gente, combattendo quel nemico che oggi, costretto dalle circostanze, fuggivo.
Giunti ormai a breve distanza dal nostro traguardo, ci fermiamo per prudenza dove la vegetazione può ancora nasconderci.
Davanti a noi un prato verde, quasi pianeggiante, terminava sulla sommità della montagna oltre la quale c'era la Francia.
Per alcuni istanti rimaniano ad osservare quel tratto di valico il quale potrebbe nasconderci un agguato mortale.
Mimetizzati nella macchia di arbusti, scrutavamo quelle rocce sulle quali una leggera brezza di ponente muoveva cespugli di erba fiorita, nata fra le crepe.
Prima di uscire allo scoperto, controlliamo attentamente l'ultimo tratto del percorso. Alcuni corvi, appollaiati su quella vetta, ci facevano supporre in modo quasi certo che quella postazione di confine fosse abbandonata.
Usciamo allo scoperto con le armi in pugno, disponendoci a ventaglio, circondati da un silenzio impressionante; con lo sguardo fisso su quelle rocce aride, avanziamo verso quel valico che per noi rappresenta una conquista; giunti sulla linea di demarcazione, quel posto ci appare abbandonato e deserto. Davanti a noi un terreno quasi nudo di vegetazione dava inizio a quella vallata che in basso, coprendosi di verde, terminava ai bordi della città di Mentone.
[4 settembre 1944]
Sono le ore sedici meno venti del giorno 4 settembre 1944, inginocchiati, il busto eretto, le mani strette sul fucile, guardiamo delusi il forte di Monte Agel, bombardato dalle artiglierie degli Americani, i quali credevamo fossero già giunti al confine da molti giorni.
Stentavamo a credere che gli alleati fossero ancora oltre quella montagna, ma purtroppo dovevamo rassegnarci ad attenderli su un territorio ancora occupato dal nostro nemico.
Completamente isolati dai nostri Comandi, con gli zaini vuoti, ci preparavamo ad affrontare giorni difficili.
Alle nostre spalle rimaneva l'Italia, con i nostri ricordi e le nostre famiglie, soggiogate da un nemico che, prima di essere vinto, era ancora pronto ad uccidere, a bruciare, a saccheggiare ogni cosa; con i nostri compagni che, lottando sui monti, attendevano l'arrivo degli alleati.
Credendo di riconoscermi tra i partigiani uccisi, qualcuno aveva sparso la notizia della mia morte, mentre i miei genitori ignari attendevano fiduciosi il mio ritorno.
Per alcuni minuti ci soffermiamo a meditare su quella sconvolgente verità, che ci avrebbe lasciato sperare solo per i giorni successivi, poi, ripresi dalla nostra amarezza, decidiamo di scendere in territorio francese.
Prima di lasciare quel valico, mi volgo ancora una volta verso la mia terra, sulla quale non so quando sarei tornato.
Rimango alcuni istanti ad osservare il panorama che mi circonda, mentre i miei compagni si avviano sul sentiero in discesa dietro al comandante; rassegnato al mio destino mi unisco a quel gruppo che va verso l'ignoto.
Dopo aver espresso i sentimenti che ho provato nell'attraversare il confine italo-francese, tralascio un momento di descrivere il proseguimento della mia avventura per illustrare le figure dei miei compagni con i quali avevo accomunato il mio destino.
"Nettu", ultra quarantenne, l'amico con il quale avevo lasciato il mio paese; era dotato di un grande spirito d'avventura; benché amante più della forma che della sostanza delle cose, attendeva la fine della guerra per aver modo di saldare i conti personali rimasti in sospeso con chi aveva contrastato il suo modo di vivere e contestato le sue idee.
"Alberto", anche lui non più giovane, da sempre convinto antifascista, si era ovunque esposto in prima persona nella lotta, cominciata per lui molti anni prima che per noi.
"Pineta", già combattente nei battaglioni d'assalto a Tobruch, aveva sofferto la guerra e il suo unico desiderio era di vederla finita.
I rimanenti sei, di cui io facevo parte, erano tutti ragazzi sotto i vent'anni, nati e cresciuti in epoca fascista; non avevano mai conosciuto la vera libertà.
"Bellagamba", un ragazzo veneto molto coraggioso, rientrerà in Italia attraversando le linee tedesche prima che finisca la guerra. "Lupo", con molti problemi familiari alle spalle, morirà per un crudele e banale incidente, dovuto alla troppa leggerezza di un nostro compagno di banda, e verrà sepolto nel cimitero di Roquebrune.
"Bolide", romagnolo, comunista per tradizione, era fuggito dalla Todt per raggiungere le file partigiane sulle montagne di Ventimiglia.
"Fracassa", emigrato siciliano, non ho mai saputo come fosse arrivato fra noi.
"Torri", ragazzo sedicenne, come nome di battaglia aveva scelto quello del suo paese; appartenente ad una famiglia numerosa, era finito nei partigiani trascinato dall'esempio di altri compagni.
Riprendendo la descrizione delle nostre avventure, dopo aver varcato la frontiera cui accennavo prima, scendiamo lentamente con cautela verso Castellar, un piccolo paese sopra Mentone [...]
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall'Arroscia alla Provenza. Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza,  IsrecIm, ed. Cav. A. Dominici, Oneglia Imperia, 1982
 

Castellar

Arrivati in Francia Lavagna ed il suo gruppo vennero arruolati nella FSSF, First Special Service Force (chiamata anche The Devil’s Brigade, The Black Devils, The Black Devils’ Brigade, Freddie’s Freighters), reparto d’elite statunitense-canadese di commando, impiegato anche nella Operazione Dragoon nel sud della Francia, tuttavia sciolto nel dicembre 1944; a questa data, per non farsi internare, questi garibaldini furono costretti ad immatricolarsi nel 21/XV Bataillon Volontaires Etrangérs francese, nel quale prestarono servizio sino alla fine della guerra, come, del resto, Lavagna scrisse nel suo libro. Sulla controversa figura di Ernesto Corradi si possono, invece, leggere alcuni significativi passi nel recente La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di) Paolo Veziano (con il contributo di) Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020, passi che in larga misura fanno riferimento al memoriale, oggi documento depositato nell'Archivio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, memoriale del qui menzionato "Alberto", al secolo Giacomo Alberti, "Dritto", ma da Lavagna, come si è potuto vedere, ricordato, invece, come "Alberto".  
Adriano Maini