Una vista da Ventimiglia (IM) a Bordighera |
L'attività della Resistenza francese [ n.d.r.: nel territorio occupato dall'esercito italiano ], almeno sino al 25 luglio, s'indirizzò prevalentemente verso i tedeschi cercando, viceversa, con mezzi di propaganda, di far leva sul presunto sentimento antifascista dei soldati italiani, diffondendo, fin dalla fine del 1942, volantini e materiale ciclostilato clandestino.
Per circa un anno, dunque, Gino Punzi è stanziato tra Grenoble, Marsiglia e Nizza nella Francia occupata, dove gli spostamenti sono frequenti ma la vita di presidio non offre occasioni di combattere: bisogna solo stare all'erta anche in considerazione del fatto che nel territorio francese, operano numerosi partigiani.
I primi mesi del 1943 passano senza che si verifichino avvenimenti importanti.
[...] Il 7° Alpini, essendo dislocato nelle Basse Alpi Marittime, aveva già valicato, prima della dichiarazione dell'armistizio, il vecchio confine col battaglione Feltre e con parte del Belluno; mentre il suo comandante col. Lorenzotti si era fermato a Mentone, ove il gen. De Castiglioni, proveniente da Roma, gli ordinò di prendere posizione al colle di Tenda fronte ad ovest.
Gli alpini, giunti a Ventimiglia, vi sostarono tutto il giorno 9 per attendere l'arrivo da Nizza della rimanente parte del battaglione Belluno, le salmerie ed il gruppo di artiglieria Belluno che, scaramucciando coi tedeschi, riuscirono a sganciarsi.
[...] Nella ricostruzione del quadro dei fatti non è possibile rintracciare, allo stato della ricerca, le vicende personali di Gino Punzi su documenti o memorie. Soccorre la tradizione orale che ci presenta Gino impegnato in un combattimento contro i tedeschi con la sua batteria fino all’esaurimento delle munizioni, trattare la possibilità per i suoi uomini di rientrare in Italia attraverso il monte Argentera offrendosi in ostaggio.
Nell’occasione fu sottoposto anche al disonore militare di una degradazione, azione contraria alle consuetudini militari e alle convenzioni internazionali che si spiega con il disprezzo dei tedeschi per l’ex alleato traditore.
Assicuratosi della salvezza dei suoi uomini, si diede alla fuga, inseguito e probabilmente ferito dal fuoco tedesco.
La fuga del prigioniero di guerra era un diritto previsto dalla Convenzione di Ginevra, ma qui, se il fatto è vero, disegna la psicologia di Gino Punzi, che sfida la morte, per l’ennesima volta, in modo consapevole, al servizio di una scelta ideale che ha già compiuta, probabilmente da tempo, ma che diventa decisione nel volgere delle poche ore trascorse dall’8 settembre.
Né rientro in patria per imboscarsi (cosa che avrà più volte la possibilità di fare), né accettazione passiva della prigionia che lo avrebbe portato ai campi di lavoro o di prigionia in Germania.
Si tratta di un fuga “verso” e non soltanto di una fuga “da”.
Da questo momento, come migliaia di uomini dell’esercito italiano nelle stesse ore, si trova in un vuoto psicologico abissale: dissolta l’Istituzione militare, dissolte le istituzioni politiche, capovoltesi le alleanze, cambiati in un lampo i nemici, non altrettanto pronti e disponibili da subito nuovi amici.
La scelta ideale è supportata, in questa occasione, dalla forza della giovane età che gli consente di correre, nuotare, resistere alla fame e al freddo, forse ad una ferita, per il tempo (ore o giorni) che serve per raggiungere qualche rifugio sicuro, quasi sicuramente Montecarlo.
I mesi di relativa tranquillità e di assenza di azioni belliche dirette trascorsi prima dell’8 settembre nel settore delle Alpi Marittime, tra montagne, paesi e mare, hanno probabilmente consentito a Gino di costruire una rete di riferimenti di persone e luoghi che ora devono essere verificati come approdi sicuri.
Le puntate verso la riviera nelle licenze hanno reso possibile creare riferimenti personali affidabili, fondati sul clima nel complesso positivo che gli occupanti italiani avevano stabilito e accresciuti, nel suo caso, dal profilo personale dell’ufficiale, per il quale onore e valori morali si traducevano in uno stile di comportamento superiore.
Dall’attività militare, prevalentemente di controllo del territorio, che fu esercitata prevalentemente sulle montagne e nei paesi dell’entroterra, derivò invece, la conoscenza di luoghi, paesi, ma soprattutto dei gruppi partigiani francesi con i quali sarebbe entrato in contatto nelle settimane successive.
I ricordi familiari lo pongono a Montecarlo presso l’abitazione di una signora che aveva precedentemente conosciuta. Bisogna tenere presente che qualsiasi sistemazione, qualsiasi spostamento, qualsiasi contato, avveniva ora in terra ostile perché i tedeschi avevano preso il controllo diretto delle zone e andavano fortificando la costa su cui era accresciuto il controllo.
Non minore era il pericolo derivante dall’impiego di reparti militari e di polizia della repubblica di Salò, per i quali era più facile individuare gli italiani “fuori posto”, o perché soldati sbandati o perchè civili renitenti comunque alla leva di Salò.
Tuttavia negli ultimi mesi del ’43, cioè tra ottobre e dicembre, è proprio questa situazione di ristrutturazione e riposizionamento di migliaia di uomini e delle istituzioni civili e militari stesse, che rimescolò e confuse le cose, che consente a Gino Punzi di uscire dall’emergenza della fuga.
Dalla metà del settembre 1943, non è più possibile seguire i movimenti di Gino seguendo la dislocazione del suo reggimento e della sua Divisione.
Altri documenti, però, consentono di ricostruire, in forma indiretta e in forma diretta, la sua straordinaria storia integrando la tradizione orale.
Da un documento redatto a Imperia il 28 aprile 1945 e intitolato "Relazione riguardante il servizio svolto dal Signor Panascì Antonino per il buon esito della causa di Liberazione" si cita diverse volte il Capitano Punzi e se ne indicano i ruoli ricoperti nei mesi che vanno sicuramente dal dicembre 1943 al gennaio 1945.
Si tratta di un documento riguardante un poliziotto che dichiara di avere prestato servizio come agente della resistenza a servizio di Gino Punzi operante per conto dell’OSS (Office of Secrets Services). È un documento, scritto nei giorni della liberazione, per provare la buona appartenenza del poliziotto quando la resa dei conti con i repubblichini e la necessità di garantire soprattutto la fedeltà dei corpi istituzionali era prioritaria e un documento attestante il proprio operato diventava vitale per non essere considerato un collaborazionista.
Dal documento, che viene riportato per intero più avanti, risulta che nel dicembre ‘43 il capitano degli alpini Gino Punzi viene arrestato dagli agenti della squadra controllo passaporti di Ventimiglia Ferrovia.
Viene trovato in possesso di armi e carte topografiche e il suo nome era stato iscritto nella rubrica di frontiera (elenco di persone ricercate) con il provvedimento di arresto. La sua posizione è evidentemente disperata perché lo destina alla fucilazione. Il documento fornisce un dato certo ma non chiarisce completamente la situazione: il nominativo con cui Gino viene segnalato è proprio il suo (probabilmente anche con il grado di capitano) e il provvedimento giunge da un maresciallo, il Maresciallo Salvagni, della Guardia Nazionale Repubblicana, la ricostituita polizia. Quando viene fermato è in possesso dei suoi documenti originali o viaggia con documenti contraffatti? Viene fermato perché i documenti sono falsi o proprio perché sono veri e il suo nome coincide con quello nella lista dei ricercati? È stato iscritto tra i ricercati come soldato in fuga o perché si ha già notizia o sospetto di sue attività nella resistenza?
Più avanti il documento racconta il seguito. Trasferito per gli interrogatori negli uffici di Ventimiglia Ferrovia, lo soccorrono due agenti di polizia che ne prendono le difese.
Su quali basi? Il documento stesso lo rivela, aprendo uno squarcio ulteriore sulla storia di Gino. Egli infatti possiede un documento di licenza rilasciato dal Comando Milizia Confinaria, un corpo di Polizia addetto al controllo delle frontiere creato prima della guerra e riorganizzato dalla Repubblica di Salò.
[...] In tempo di guerra la Milizia confinaria avrebbe rappresentato un'ottima ed addestrata truppa di copertura. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 le cinque legioni della "Confinaria" confluirono nella costituenda Guardia Nazionale Repubblicana di Frontiera.
Come mai Gino Punzi risulta appartenere alla Milizia Confinaria?
Una prima spiegazione potrebbe essere data dal fatto che lui stesso si sia presentato al Comando della Guardia o presso qualche Reparto nei giorni successivi allo sbandamento dell’esercito e all’episodio della fuga. Forse qualche contatto o conoscenza iniziati nel periodo della comune collaborazione sulle montagne.
[...] Il documento [Panascì] potrebbe fare confusione tra milizia e guardia alla frontiera, ma la sostanza non cambia: se il documento in possesso del Punzi era originale, lui stesso si era riarruolato. In questo caso, però, non si spiegherebbe l’iscrizione nella rubrica della frontiera del suo nominativo, se non con una mancata comunicazione tra Comando della Milizia Confinaria e Questura. Fatto sta che il documento stesso ci ricorda che Punzi, dopo il rilascio, prestava servizio nella Milizia confinaria come Ufficiale addetto alla propaganda verso i militari sbandati sulle montagne italo-francesi allo scopo di farli presentare ai comandi nazi-fascisti.
Ufficialmente, dunque, Punzi lavora per la Milizia Confinaria, confluita, nella RSI, nella Guardia Nazionale Repubblicana di Frontiera.
La cronaca del fermo e dell’arresto, continua con la liberazione di Punzi che viene rilasciato sotto la garanzia personale dei due agenti, Panascì e Iannacone che a causa del loro lavoro alla polizia ferroviaria incroceranno Punzi più volte, tutte quelle cioè in cui Punzi transitava saltuariamente il confine munito di documenti in regola per svolgere il suo compito di riagganciare i soldati sbandati.
In una di queste occasioni Punzi, che ha attentamente verificato il comportamento dei due agenti, con uno dei quali si è già aperto, rivela di muoversi oltreconfine sotto copertura per svolgere attività a favore dei partigiani italiani. Contestualmente rivela di esser a capo di una formazione partigiana attestata in prossimità del confine. Di essa fanno parte alcuni suoi ex soldati.
Come si vedrà, tale formazione agisce nel quadro della resistenza francese.
[...] L’episodio centrale di questi mesi è la grande insurrezione che fa seguito allo sbarco alleato del 14 agosto 1944 in Provenza, appendice del grande sbarco del 6 giugno in Normandia e della liberazione di Roma.
La resistenza entra in azione simultaneamente alle operazioni alleate che erano state precedute, nei mesi precedenti dalle preziose informazioni e infiltrazioni nel settore grazie alla collaborazione dei partigiani e delle missioni dei servizi americano e inglese nei quali, pure, come sappiamo, è coinvolto Gino Punzi.
L’episodio della liberazione di Peille rimette in primo piano la figura di Gino Punzi, che possiamo seguire nelle azioni del gruppo di cui fa parte e che in alcuni combattimenti comanda in prima persona. Per questo motivo ripeto la cronaca di quei giorni prendendola da più fonti e testimonianze.
[...] Gino Punzi, dunque, si distingue nelle operazioni partigiane [francesi] di metà agosto. Risulta ferito durante le azioni e certamente fu curato in loco dal dott. David Guirchowski, medico del gruppo. Come si è già detto, si ha notizia del ferimento anche in Italia, anche se inizialmente si parla addirittura di una sua uccisione.
[...] Immaginiamoci il Panascì, che si era fatto rilasciare un documento attestante la sua partecipazione alla rete di informatori, documento che valeva a proteggerlo dopo la guerra, frequentare gli uffici delle SS, quello stesso documento poteva costargli tortura e morte immediata.
Una attività di doppiogiochismo per la quale si dovevano avere nervi d’acciaio e mente lucida.
In questa loro attività, gli agenti riuscirono a non compromettersi con le situazioni più ripugnanti, e anzi, sembra, riuscirono, avvisando per tempo, a mettere in salvo diverse persone.
Veniamo a conoscenza che gli incontri con il Punzi avvengono tra Bordighera e Vallecrosia e in uno di questi Punzi aggiorna il Panascì e lo Iannaccone di essere entrato in contatto con il comando dei Garibaldini della zona alle spalle di Taggia.
È l’ultimo riferimento a Punzi del documento: il documento salta al febbraio del 1945. Ci informa che Gino Punzi non si è visto per più di un mese (è morto il 5 gennaio) e i documenti con la radio da lui portati vengono trasferiti a Bordighera.
Francesco Mocci, (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019
In data 26 ottobre 1944 essendo io alla Direzione della missione portante il mio nome di battaglia "Dritto" ho sbarcato nella notte a Ventimiglia del materiale e varie persone tra cui il capitano Gino [...]
Giacomo Alberti, Rapporto, senza data, documento IsrecIm, copia di Giorgio Caudano
Il posto di ascolto S.R.A. [n.d.r.: sigla usata dall'estensore del presente documento per indicare i servizi segreti della Kriegsmarine] di Sanremo ha giocato un ruolo importante contro i servizi americani.
Il capitano Gino Punzi, agente dell'OSS, è stato assassinato in una casa isolata di Sanremo, crimine probabilmente commesso da Rocca, passeur per conto di S.R.A.
Rocca volle prevenire Sessler, che, portatosi sul posto, trovò Punzi assassinato con un colpo d'ascia [n.d.r.: in effetti fu il sottoposto Jacobs ad occuparsi in Ventimiglia, località Marina San Giuseppe, sia di far dare il colpo di grazia ad un Punzi in agonia che di quanto segue].
La perquisizione immediata permise di scoprire [n.d.r.: come già in possesso di Punzi] piani molto ben fatti sulla linea di resistenza [tedesca] sul Roia ed un gran numero di altre informazioni di carattere militare.
[n.d.r.: il documento esamina a questo punto come i nazisti, rimasti in agguato nell'abitazione in cui era stato colpito il capitano Gino, fossero riusciti ad arrestare il radiotelegrafista che era stato atteso da Punzi, arrivato a Ventimiglia insieme al pescatore che aveva condotto tutti e tre dalla Francia in barca, e ad un altro italiano, capo di questa missione statunitense, quest'ultimo rimasto ucciso, e come, di conseguenza, indussero l'operatore radio a mandare falsi messaggi agli alleati - uno di questi determinante per l'azione che portò al grave ferimento del comandante partigiano Stefano Leo Carabalona - , nonché a fare rientrare in Costa Azzurra l'altra persona, obbligata ad un doppio gioco, questo, tuttavia, prontamente sventato dai francesi]
Al 25 febbraio [1945] erano ancora in corso i contatti radio tra Eros [n.d.r.: il radiotelegrafista] e Jones [n.d.r.: capo dell'antenna OSS di Nizza].
Relazione già segreta di parte francese, La missione Jones di Nizza, senza data, copia di Giorgio Caudano