venerdì 23 maggio 2025

I partigiani di Pigna puntarono la loro mitragliatrice pesante in direzione del trivio di accesso a Baiardo


La V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" venne fatta oggetto nei primi giorni di settembre 1944, nella zona di Baiardo, di un mal riuscito tentativo di rastrellamento da parte nazi-fascista.
Il 4 settembre 1944 nei pressi del cimitero del paese le sentinelle garibaldine avvistarono un gruppo di nemici che si avvicinavano e, aperto il fuoco, causarono otto morti ed un ferito. "Il caso volle che il prigioniero ferito fosse un polacco, il quale informò i partigiani che il sergente tedesco comandante della pattuglia, roso dall'ira per la sconfitta subita, aveva svelato il piano nemico: l'indomani cinquanta tedeschi sarebbero giunti a Baiardo per sloggiare i banditi", così scrive Francesco Biga in  Storia della Resistenza imperiese, Vol. III: Da agosto a dicembre 1944 (a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio IsrecIm, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977).
Questa preziosa informazione eliminò il fattore sorpresa a vantaggio degli attaccanti, in quanto i garibaldini poterono organizzare la difesa del paese sotto gli ordini di "Vittò" ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo, da luglio 1944 comandante della V^ Brigata Garibaldi "Luigi Nuvoloni" e dal 19 Dicembre 1944 comandante della II^ Divisione "Felice Cascione"] e di "Gino", Gino Napolitano. Alle 6 del mattino i tedeschi attaccarono da tre direttrici: "la prima proveniente da Badalucco-Ceriana, la seconda da San Romolo-Monte Bignone, la terza da Isolabona-Apricale".
I partigiani con il loro ampio raggio di fuoco impedirono l'avanzata dei tedeschi e successivamente si sganciarono verso Monte Ceppo in modo da essere fuori dalla portata del tiro dei mortai nemici.
Contemporaneamente i garibaldini di Pigna puntarono la loro mitragliatrice pesante in direzione del trivio di accesso a Baiardo e bloccarono in questo modo i nazisti.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
[...] sentinelle che avevano udito raffiche di mitra provenienti da Bajardo. Segno di un conflitto del quale il comandante Ivano venne avvisato da una staffetta. Vittò, trovandosi in zona, raduna una squadra e parte immediatamente alla volta di Bajardo, paese occupato il 2 settembre dal I° Battaglione di Gino Napolitano (Gino). La situazione, infatti, stava per precipitare. Le raffiche di mitra udite in precedenza segnalavano uno scontro tra alcuni uomini del II Distaccamento e un'avanguardia di tedeschi. Questi ultimi, nel pomeriggio, al termine di un conflitto a fuoco lasciarono sul posto morti e feriti. Tra coloro ai quali i partigiani prestarono cure c'era un polacco che, sentitosi in debito con i propri soccorritori, rivelò il piano nemico; il giorno successivo circa 500 tedeschi sarebbero saliti a Bajardo per cacciare i partigiani.
Alle 3 del mattino del 5 settembre, la gran parte delle forze appartenenti alla V Brigata aveva raggiunto le postazioni per contrastare l'avanzata dei nazifascisti, i quali, mentre avanzavano divisi in tre colonne provenienti da Ceriana, San Romolo e Apricale, vennero contrastati efficamente dai partigiani. Dopo i primi attacchi ci fu un periodo di relativa tranquillità ma, quando i tedeschi e i repubblichini del Battaglione San Marco misero in campo le armi pesanti (mortai e cannoni), i partigiani compresero che era giunto il momento di ritirarsi.
"Nonostante dovessimo ritirarci" - ha raccontato Vittò "eravamo soddisfatti di aver dimostrato la nostra presenza efficace. Erano in gran numero e compresi che la roccaforte di Bajardo era per noi in quel momento inattaccabile. Insegnai ai miei uomini la tattica del ripiegamento adatta a far consumare al nemico tante munizioni senza risultato. I miei suggerimenti furono accettati ed i miei insegnamenti sfruttati. Diventavano regola per le prossime circostanze. Avremmo potuto resistere di più ma io non dimenticavo che la nostra era una guerriglia. Dovevamo attirare le pattuglie nemiche a cercarci e far sì che, sparpagliandosi, dovessero diminuire di numero; così le potevamo attaccare in superiorità per le nostre cercate posizioni strategiche. Diminuendo il numero degli uomini delle pattuglie, esse dovevano avanzare prive di armi pesanti e così erano da noi battute. Quando arrivava la forza grossa, la massa, noi avevamo cambiato posizioni e li costringevamo nuovamente, per cercarci, a riformare piccole pattuglie. La battaglia, in queste condizioni, era favorevole a noi. Ci siamo ritirati tutti a Carmo Langan e non ci inseguirono. Ogni distaccamento tornò alla sua sede". <44

44 don Armando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975, pagg, 117-118
Romano Lupi, VITTO'. Vita del comandante partigiano Vittorio Guglielmo, Quaderni sanremesi, Sanremo, 2011  

mercoledì 5 marzo 2025

Le raffiche tedesche rendono fumanti le rocce su cui battono

Pigna (IM)

In località Colla cade il partigiano Rollo Giovanni di Giovanni (classe 1899).
Pigna è perduta, i Tedeschi vi bruciano decine di casolari e così a Buggio. Inizia il grande rastrellamento nazifascista che durerà dieci giorni e terminerà il 18 di ottobre [1944] con il passaggio in Piemonte delle forze garibaldine della V brigata. Castelvittorio viene occupata da un battaglione di Tedeschi che si accantonano nelle case migliori e vi rimangono tre mesi razziando e uccidendo molte persone e ne deporteranno cinque in Germania.
Ecco uno degli episodi di cui furono protagonisti garibaldini della V brigata nella giornata dell'8 di ottobre [1944], come racconta il comandante Giuseppe Gaminera (Garibaldi):
«...il mattino dell'8 di ottobre "Spartaco", comandante di quello che fu un distaccamento di Candido Queirolo (Marco) decimato il 14 di agosto a Baiardo, accampato nella caserma distrutta di Muratone, tramite una staffetta riceve l'ordine dal comandante "Vittò" di inviare rinforzi al distaccamento di Rocchetta Nervina. Parte il garibaldino Giuseppe Gaminera (Garibaldi) al comando di una squadra di dodici uomini; il drappello s'inoltra nella gola di Scarasan presso il bivio di Gouta.
In basso s'intravvede a tratti la strada militare percorsa da numerose colonne tedesche che salgono verso l'alto. Il Gaminera chiede informazioni ad una postazione garibaldina il cui comandante, accompagnato dal commissario e da alcuni subalterni era sceso a valle venendo tagliato fuori dalle colonne avanzanti, quindi attacca il nemmico con foga e valore, dopo di che, con gli uomini del distaccamento di Rocchetta Nervina, si sposta su posizioni più sicure presso il passo Muratone, sperando di trovarvi ancora gli altri compagni del distaccamento col comandante "Spartaco", ma invano.
Ad un tratto il Gaminera ode il mitragliatore del bravo garibaldino Nicolò Rubino (Matteotti), che aveva fatto appostare in una posizione sottostante. Ode pure i cannoni e le mitraglie che rimbombano presso Pigna. L'eco pauroso sale verso l'alta montagna ed i garibaldini immaginano cosa sta succedendo nel paese, mentre scorgono altre colonne nemiche che stanno salendo da Saorge.
Il drappello s'incammina verso il Toraggio per una strada intagliata nella roccia, buona posizione per opporre resistenza al nemico. Per il sentiero nord, giunto all'incontro con il sentiero sud presso il secondo costone, il comandante Gaminera piazza un mitragliatore Saint-Etienne ed invita "Matteotti", che intanto si era ritirato, a portarsi lassù, sul lato ovest del Toraggio, per coprire i suoi uomini.
Davanti le raffiche nemiche rendono fumanti le rocce su cui battono. "Garibaldi" apre il fuoco contro un "Majerling" nemico riducendolo al silenzio per alcuni minuti; è l'occasione per passare oltre il tiro nemico. Passa anche una capretta bianca che per caso era sul posto e che, imperterrita continua a brucare l'erba.
Ma ecco che il "Majerling" riprende a sgranare le sue raffiche, accompagnate da assordanti colpi di mortaio. Il garibaldino "Matteotti" che, rimasto sommerso con i suoi uomini e con quelli di Rocchetta Nervina dai Tedeschi avanzanti non aveva fatto in tempo a raggiungere la posizione che gli era stata assegnata, riesce in tempo a porsi in salvo.
I mortai nemici picchiano sempre più duro. Ora agli uomini di "Garibaldi" non rimangono che pochi minuti per mettersi in salvo. Il comandante ordina ai compagni di percorrere di corsa i cento metri in rapidissima salita che li dividono dalla sommità della collina, per sganciarsi dal nemico. Sono cento metri difficilissimi, il pietrame sgretolato rallenta la corsa, mentre il nemico spara con furia. Sulla collina per primo giunge "Fulmine" seguito da tutti gli altri. Ma il drappello si accorge che sul versante opposto la collina strapiomba su un abisso dove si scorgono soltanto le cime dei pini. È impossibile scendere, mettersi in salvo.
Allora "Garibaldi" punta il mitragliatore di fianco mentre gli inservienti Zambarbieri Lino (Piero), Moraglia Gerolamo (Fulmine), Allaria Battistino (Savona) e Capponi Antonio (Nino) puliscono i caricatori per evitare un inceppamento dell'arma. Il nemico è vicino, il momento è drammatico. Un prete olandese, già prigioniero dei Tedeschi e poi passato ai garibaldini di Rocchetta Nervina, trova riparo dietro un grosso sasso; prega con un rosario in mano conscio della prossima fine.
Ma ecco un po' di nebbia inghiottire la collina, mentre s'ode un Tedesco dare un calcio al mucchietto di bossoli lasciati dal mitragliatore di "Garibaldi" nella precedente posizione. Alla nebbia segue una fitta pioggia mentre la truppa tedesca passa; lo dice un vociare in tedesco, un tintinnio di armi e di borracce e un bestemmiare in dialetto dei contadini requisiti con i propri muli. Dopo parecchio tempo, il silenzio.
Dalla cresta della collina i garibaldini di Gaminera scendono sul sentiero che avevano lasciato qualche ora prima e guidati da Ballistino Allaria (Savona), di Andagna, raggiungono il casone di un pastore sperando in qualche modo di potersi sfamare. Ma ritrovano i Tedeschi ed ancora devono allontanarsi verso una baita in basso. Stremati dalla fatica quivi si addormentano sotto il fieno. Chi, all'alba, apre la porta del ricovero, scorge a cinquanta metri una sentinella tedesca presso un'altra baita; ma cammina avanti e indietro e, quando volge la schiena, uno alla volta, i garibaldini riescono nuovamente a fuggire, però devono rimanere nei dintorni perchè sono circondati.
Si cibano di castagne e dopo due giorni, con l'aiuto di un pastore di Pigna, riusciranno a raggiungere Baiardo per incorporarsi, poi, come 9° distaccamento, nel 3° battaglione comandato da Domenico Simi (Gori), della V brigata.
Un garibaldino di Rocchetta Nervina, dopo le peripezie rimasto solo con "Garibaldi", ed il prete olandese, erano ritornati verso passo Muratone...».
Osvaldo Contestabile, La Libera Repubblica di Pigna, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1985, pp. 54-56