domenica 2 luglio 2023

Italo Calvino e la Resistenza a Castelvittorio

Castelvittorio (IM)

Un’altra fonte che potrebbe evidenziare il rapporto tra Calvino e la brigata guidata dal comandante Erven ci giunge dal racconto Le battaglie del comandante Erven del 1945 in L’epopea dell’esercito scalzo, raccolta «dei grandi e terribili avvenimenti che ebbero luogo nella riviera di ponente durante i cinquecentonovantaquattro giorni di terrore nazi-fascista» <20. L’obiettivo principale di questo libro era quello di descrivere i fatti e gli episodi salienti della guerra di liberazione di tutta la provincia di Imperia con una cospicua documentazione fotografica e un elenco dei caduti e dei partecipanti attivi alla lotta. Considerato da alcuni studiosi un documento forse troppo colorito e non completamente attendibile, in questa raccolta sono presenti due capitoli firmati da Calvino: uno appunto dedicato al ferimento del comandante Erven, l’altro è invece un omaggio ai castellesi, abitanti di Castelvittorio, durante la Resistenza. I testi dell’Epopea non sono da ritenersi completamente attendibili: infatti non mancano errori di vario ordine come per esempio il nome di Calvino (indicato come Caldino nell’elenco generale dei partigiani) <21.
[NOTE]
20 L’epopea dell’esercito scalzo, a cura di Mario Mascia, A.L.I.S. Sanremo, s.d. [ma 1945] (firmati da Calvino sono i capitoli su Castelvittorio paese delle nostre montagne, pp. 49-50, e Le battaglie del comandante Erven, pp. 235-244). Mario Mascia, nato a Ponticelli (Napoli) nel 1900, si iscrisse al partito socialista italiano nel 1919. Dopo la laurea in Giurisprudenza lascià l’Italia per gli Stati Uniti a causa del fascismo. Tornò in Italia dove si trasferì a Sanremo e insegnò inglese all’Istituto tecnico commerciale per ragionieri, dal quale venne sospeso perché lontano dai dettami fascisti. Fondò il primo comitato anti-badogliano italiano e divenne membro del Cln di Sanremo. Morì a Sanremo all’età di sessant’anni (Romano Lupi, Italo Calvino e la Resistenza, in La città visibile: luoghi e personaggi di Sanremo nella letteratura italiana, Philobon, Ventimiglia 2016, pp. 93-103 (93).
21 Un errore che evidenzia lo stesso Calvino in una lettera a Giacomo Amoretti datata 8 aprile 1976, conservata dall’Istituto Storico della Resistenza di Imperia, con in calce la frase autografa nella quale segnalava l’errore. Lettera visionata personalmente e conservata presso l’Istituto della Resistenza di Imperia.
Elisa Longinotti, Calvino e i suoi luoghi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2022-2023

E tuttavia, Calvino non sembrava affatto intenzionato a gettare le armi, come rivelano due lettere di quello stesso 1974, scritte in risposta a due lettori di quella sua incompleta e provvisoria rievocazione: «il racconto intero non ho ancora finito di scriverlo, e contavo sull’aiuto di altri che si trovavano là e che mi possono fornire particolari che mi sono sfuggiti», rispondeva ad Alessandro Toppi - partigiano a Baiardo - segnalandogli a sua volta l’allora «introvabile» volume collettaneo sulla Resistenza nell'imperiese (L’epopea dell’esercito scalzo) <60 rispolverato per l'occasione, per "rispolverare" la memoria e rifocalizzare proprio quella rete di condizionamenti reciproci.
60 M. Mascia (a cura di), L'epopea dell'esercito scalzo, A.L.I.S., Sanremo, s.d., ma del 1945 (firmati dal giovane Calvino sono i capitoli su Castelvittorio paese delle nostre montagne, pp. 49-50 e Le battaglie del comandante Erven, pp. 235-244).
Alessandro Ottaviani, «Un atteggiamento umano senza pari»: lo spirito della Resistenza nell'opera di Calvino in Aa.Vv., Lo spirito della Resistenza. Contributi e note a margine della conferenza annuale dell'AAIS (Zurigo, maggio 2014), Quaderni di Storia e memoria, 2/2014, Ilsrec

Italo Calvino racconta:
Aggrappato in cima ad un'altura che domina Pigna, Castelvittorio, col suo aspetto di antica fortezza, sembra ancora attendere gli assalti dei corsari saraceni. Ma se la guerra moderna, tecnica e mecccanizzata disdegna queste vestigia medioevali, la guerriglia fa rinascere in pieno secolo XX lo spirito avventuroso e cavalleresco dei secoli andati.
I tenaci «Castellusi», laboriosi agricoltori e cacciatori instancabili, si trasformano in guerrieri ogni volta che l'invasione tedesca o fascista minaccia il loro paese: i 40 e più caduti della popolazione ed il molto maggior numero dei tedeschi uccisi testimoniano il loro valore.
                                                          « L'ACIDU » e « U SOCIU »
La prima volta che i Castellesi si trovarono in combattimento a faccia a faccia con i tedeschi e i fascisti, fu nei primi di luglio del '44, durante la famosa offensiva germanica contro i partigiani della zona. Salgono in forza i tedeschi e fascisti il 3 luglio ma i castellesi, cui già il giorno prima era stata saccheggiata la farina dai fascisti, sono pronti ad accoglierli. Molti sono i tedeschi che cadono a mordere la polvere sotto le fucilate di Mario, Tucin, di Giuan Grigiun, de l'«Acidu» e di « U sociu », ma alla fine i nazi-fascisti hanno il sopravvento. Sette castellesi cadono sotto il piombo tedesco, uno dei quali in combattimento. Diciannove case del paese vengono bruciate e saccheggiate.
Di questa prode popolazione le figure più battagliere ci sono date dagli anziani, bravi montanari sulla cinquantina o sulla sessantina, vecchi combattenti dell'altra guerra mondiale, tiratori infallibili per la lunga esperienza di cacciatori. Due figure tra essi meritano particolare attenzione: l'Acidu e il Sociu.
« L'Acidu », comandante della banda locale, nasconde sotto sembianze da Sancio Pancia un'anima da Don Chisciotte. Piccolo, grasso, una tonda faccia dal largo sorriso, gran cacciatore di cinghiali, « l'Acidu » fu uno dei principali animatori della resistenza armata castellese. Rischiò la morte per un pelo il giorno in cui andando incontro a una banda di partigiani che aveva visto in lontananza si sentì fischiare intorno raffiche e colpi di moschetto. Erano tedeschi travestiti! Ma l'Acidu è di gamba buona e riuscì a cavarsela.
« U Suciu », un ometto asciutto, dall'aria vivace, è il miglior tiratore del paese, quello che fece cadere sotto il suo 91 il maggior numero di tedeschi. D'indole avventurosa si fece una volta prestare il mitra da un compagno e andò a rincorrere i tedeschi nei pressi del Lago Pigo, annientandone diversi.
                                                    ATTACCHI, SACCHEGGI, STRAGI
Ma i castellesi non impugnano le armi solo per la difesa, quando si vedono direttamente minacciati, l'odio mortale che dopo le stragi di luglio essi nutrono verso l'oppressore li spinge al contrattacco. Il 19 agosto, in solidarietà con le bande partigiane, la popolazione di Castelvittorio attacca la caserma di Pigna. E il 29 agosto, mentre i fascisti sconfitti si ritirano a Isolabona, i castellesi con la banda garibaldina di «Fuoco» entrano in Pigna. Ma i nazi-fascisti non mollano: il 2 settembre avviene un grnnde attacco di tedeschi e fascisti contro Pigna, appoggiati dal tiro di 12 cannoni da Isolabona. Ma sopraggiungono i castellesi, prendono alle spalle il nemico e lo obbligano a ritirarsi a Isolabona abbandonando sul terreno morti e mitragliatori. E respinti sono pure il 5 ottobre dopo due giorni di fuoco delle artiglierie di Isolabona concentrate su Pigna e Castelvittorio. Alfine, il 10 ottobre essi hanno il sopravvento: entrano nel paese, saccheggiano e vandalizzano.
Comincia l'inverno; un inverno di sangue per i castellesi. La strage più cruenta fu quella di Monte Gordale, compiuta il 3 dicembre da tedeschi, bersaglieri e fascisti: 19 contadini furono fucilati tra cui due donne e un bambino. Altri rastrellamenti si susseguono e altri partigiani del paese vengono trucidati per la denuncia di spie.
Il 20 aprile elementi del paese catturano 9 tedeschi a Isolabona. Una pattuglia di 25 tedeschi sale per liberare i camerati ma si incontra con una banda locale comandata dall'Acido e viene messa in fuga. Questo è l'ultimo combattimento dei prodi castellesi; i tedeschi fuggono: è la libertà, è la pace.
Castelvittorio più di ogni altro paese d'Italia ha il diritto di dire che non ha aspettato la liberazione da terzi, ma ha saputo meritarsela e conquistarsela da sè.
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, ed. A.L.I.S, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 
 
Pure i contadini della montagna hanno dimostrato nella guerra partigiana un entusiasmo, uno spirito combattivo, una solidarietà, un disinteresse che sfata ogni superficiale definizione del loro carattere. Lo testimoniano il grandissimo contributo di combattenti, di comandanti, di caduti che i contadini diedero alle Brigate Garibaldine, lo testimoniano il fraterno aiuto sia materiale che morale prestato per venti mesi ai partigiani combattenti nelle vallate; lo testimoniano le popolazioni trucidate, i villaggi saccheggiati e incendiati per mano tedesca e fascista. […] Valga per tutti l’esempio di Castelvittorio, paese asserragliato su un’altura della Val Nervia, tra montagne coperte di boschi fittissimi dove si nascondono i cinghiali, e di “fasce” coltivate che si spingono fin oltre i mille metri. I “castelluzzi”, gran lavoratori e gran cacciatori, divennero famosi per l’accanimento con cui difesero il proprio paese, ogni volta che i tedeschi o i fascisti tentarono di conquistarlo.
Italo Calvino, Liguria magra e ossuta, «Il Politecnico» 10, 1 dicembre 1945