Uno dei fatti più orrendi, solo secondo a quello di Torre Paponi, accade il 3 dicembre 1944 nell'alta Val Nervia, quando duecento uomini combattenti Tedeschi, bersaglieri e brigatisti neri, provenienti da Dolceacqua raggiungono il paese di Castelvittorio per rastrellare la zona.
Dal giorno che un reparto tedesco si era insidiato nell'abitato (8 ottobre 1944) la popolazione, benchè costretta a subire continue violenze, aveva fatto capire da quali sentimenti era animata. Ai lavori di fortificazione e di costruzione di trinceramenti, che i Tedeschi imponevano, spesso non si presentava nessuno o solo pochi comandati.
I Castellesi non avevano timore di tenere occultati nelle proprie case di campagna i partigiani, con pericolo della vita.
La collaborazione con le forze partigiane, invece di affievolirsi, si faceva più solidale, anche se il rischio era maggiore.
Si taceva e si lavorava per la Resistenza. Il nemico lo sapeva e tacciava di “banditi” tutti gli abitanti ed attendeva il giorno della sanguinosa vendetta. Non bastavano più le vessazioni quotidiane, i giorni di terrore trascorsi dagli uomini trattenuti come ostaggi nelle celle della posticcia prigione locale.
Appunto il 3 dicembre si presenta l'occasione per la rappresaglia. All'alba, iniziato il rastrellamento a monte Gordale, dove i tedeschi sapevano esservi partigiani alloggiati e riforniti di viveri dalla popolazione di Castelvittorio, si accende una sparatoria durante la quale un sottufficiale nemico rimane ferito.
La reazione è immediata e si abbatte spietata ed inesorabile sui contadini. Le porte vengono sfondate, i barbari entrano con impeto e ferocia nelle case, strappano gli uomini dai loro letti senza dare alcuna spiegazione, urlano solo “alles Kaput” (tutti a morte).
Gli uomini e le donne capiscono che è la fine: stringendo i denti e muti, come sanno essere i contadini delle aspre montagne liguri nei momenti terribili, vanno avanti nella direzione indicata loro dai carnefici. Cinque minuti dopo giunge l'ordine di fucilare i diciannove catturati: dieci in un luogo e nove in un altro.
La sentenza viene impartita, come poi ha riferito un Tedesco, dall'ufficiale Von Katen, aiutante maggiore del battaglione, con queste precise parole: “la terza compagnia, che ha avuto un ferito, ha l'onore di fucilare dieci civili”. A trecento metri di distanza viene ripetuta la stesa sentenza per gli altri nove condannati.
Prima dell'esecuzione, a tutti viene promessa salva la vita se avessero svelato l'ubicazione del rifugio partigiano, dal quale erano partite le fucilate, ma nessuno parla.
Anche le madri e le mogli rimaste nei casolari vicino odono e capiscono, ma non parlano, non dicono niente che possa danneggiare i partigiani. Lunghe raffiche di mitragliatori “Mayerling” abbattono i diciannove condannati i cui corpi rimangono sparpagliati per le “fasce” ed i cespugli. Tra questi una madre e due ragazze, falciate a bruciapelo, colpevoli di essersi scagliate con veemenza contro coloro che stavano per uccidere marito e padre.
Seguono saccheggi e rapine.
Emilio Allavena e Giovanni Orengo (Tumelin) emergono ancora di più da questo eccidio senza pari in Val Nervia.
La lezione che il nemico vuole impartire al paese non è ancora finita: ai due suddetti, accusati di aver rifornito i garibaldini, viene riservata la fucilazione da eseguirsi sulla pubblica piazza del paese.
Mentre la popolazione è a monte Gordale a raccogliere i propri famigliari trucidati, un tribunale improvvisato pronuncia la sentenza di morte.
Anche questi due contadini dimostrano al nemico ed ai compaesani di quale sangue freddo si può essere capaci. Nessuna disperazione ma calma assoluta, e vanno alla morte.
È il 5 di dicembre quando una scarica di mitra nel petto dei due padri di famiglia chiude la settimana più terribile che la storia del paese ricordi.
Così ancora una volta, dopo il 3 di luglio (sette trucidati), il 19 e il 29 di agosto, il 2 di settembre, il 5 e il 10 di ottobre, i Castellesi versano il loro sangue per la libertà.
Vittime del 3 dicembre 1944:
Allavena Eugenio Giovanni di Giacomo nato a Castelvittorio il 21-8-1923
Allavena Filiberto di Giacomo " 21-8-1923
Balbis Mario di Giovanni " 8-12-1902
Moro Remo fu Giuseppe " 25-4-1913
Orengo Giacomo fu Francesco " 25-7-1884
Orengo Giuseppe fu Francesco " 15-11-1892
Orengo Giobatta fu Giacomo " 10-10-1894
Orengo Luigi di Luigi " 1-12-1903
Orengo Luigi fu Giacomo
Orengo Maria Caterina
Orengo Maria Caterina di Luigi " 25-11-1915
Orengo Giovanna Caterina " di anni due
Pastor Ludovico fu Giacomo " 31-10-1905
Peverello Giuseppe fu Giovanni " 19-3-1902
Rebaudo Stefano fu Giacomo " 31-8-1894
Rebaudo Giuseppe fu Giacomo " 25-11-1885
Rebaudo Giovanni fu Giacomo " 3-12-1887
Rebaudo Giovanni fu Luigi " 17-11-1907
Rebaudo Stefano di Luigi " 3.2.1902
Vittime del 5 dicembre 1944:
Allavena Emilio fu Giacomo " 17-8-1908
Orengo Giovanni fu Bartolomeo " 15-5-1890
Il 16 di dicembre muore a Castelvittorio anche il garibaldino Giuseppe Caviglia (Sorcio) fu Giacomo, nato nel Comune il 24-5-1892, a seguito di malattia contratta in servizio.
Dopo qualche mese i Tedeschi se ne andranno ma non dimenticheranno Castelvittorio.
Durante due rastrellamenti catturano altri giovani che vengono seviziati per far loro confessare di appartenere a bande di partigiani: ancora omertà assoluta, è la loro salvezza. Chi ammette di aver fatto parte di bande perché arruolato per forza è passato per le armi. Alcuni vengono arruolati nelle forze repubblichine. Fuggiranno alla prima occasione.
In un successivo rastrellamento, Revello Maggiorino e Rebaudo Primolino, catturati in paese con altri giovani, pagheranno con la vita per aver appartenuto alle formazioni. Traditi da spie, saranno condotti prima a Pigna per subire interrogatori, quindi a Latte [Frazione di Ventimiglia] dove verranno fucilati il 14-3-1945.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977