Da Pigna giungevano continuamente notizie di un certo sergente dell'esercito, scoperta spia e delatore dei tedeschi e dei fascisti. Si vedeva spesso tra marzo e aprile 1944 in un certo bar. Sembrava che lì avesse organizzato un centro di spionaggio. Il fatto seccava naturalmente ai partigiani, dava fastidio che, impunemente, un tizio allo scoperto, agisse con tanta baldanza.
Vitò ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] mi dice:
"Allora decisi di andare io a Pigna ad informarmi ed a esplorare. Raccolsi molte voci e seppi che molti di Pigna erano accusati di fascismo. Ne avevo un nutrito elenco. Però volevo accertarmi di che tipo di fascismo si trattasse. In Italia moltissimi dovevano essere fascisti per bisogno di lavoro, per commercio, per non essere perseguitati e vessati. Il fascista, solo perchè era fascista non era da perseguitarsi. Volevo accertare se al termine fascista si aggiungesse qualche aggettivo, come spia, delatore, informatore, staffetta, combattente.
Vitò ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] mi dice:
"Allora decisi di andare io a Pigna ad informarmi ed a esplorare. Raccolsi molte voci e seppi che molti di Pigna erano accusati di fascismo. Ne avevo un nutrito elenco. Però volevo accertarmi di che tipo di fascismo si trattasse. In Italia moltissimi dovevano essere fascisti per bisogno di lavoro, per commercio, per non essere perseguitati e vessati. Il fascista, solo perchè era fascista non era da perseguitarsi. Volevo accertare se al termine fascista si aggiungesse qualche aggettivo, come spia, delatore, informatore, staffetta, combattente.
Incaricai Fragola-Doria [Armando Izzo] di andare a prelevare quelli che più erano indiziati. Ne portò alla Goletta 13 legati insieme con una corda. Era una donna che li accusava formalmente e citava alcuni dati incontestabili. Era l'amante del sergente spia di Pigna che poi fu fucilato. Era vedova di un maresciallo dell'esercito che lei diceva essere stato ucciso dai partigiani. Questo non mi risultava.
Instaurammo un processo. Era presente Fragola-Doria, avvocato, che avrebbe potuto imbastire meglio la causa. Non ho pensato a questa possibilità. Non avevo nemmeno tempo perchè era giunto un avviso che c'era un rastrellamento in atto.
Non potevamo sapere con precisione se le accuse erano fondate o no. Condannare degli innocenti non era affatto mio intendimento. Capisco che facemmo le cose con una certa premura. Era un po' crudele, ma pure bisognava agire. Quella donna accusava senza sosta e sempre più accanitamente.
Accusava con precisi riferimenti di luoghi e di persone. Gli accusati ammettevano di essere fascisti, o almeno di avere la tessera del fascismo per ragioni di lavoro, ma affermavano che non erano spie e che non intendevano danneggiare nessuno. Pensavo che tra i tredici qualcuno era spia, ma non potevo condannarlo senza prove. Fingemmo delle esecuzioni iniziando da quelli che mi parevano i più innocenti. Si condannava uno, gli si faceva firmare una dichiarazione, e lo si portava in luogo discosto da quello del processo. Dietro un cespuglio i partigiani, da me istruiti, sparavano, fingendo una fucilazione e costringevano quello a sdraiarsi con la farsa di essere sepolto.
Dal luogo del processo si vedeva la terra smossa e si mettevano le sue scarpe in vista. Ognuno le vedeva".
Raccontare ora è niente, non si prova nessuna emozione, ma vivere quei momenti nella realtà, produceva una sensazione di angoscia e, diciamolo pure, di spavento.
Nessuno dei tredici si seppe difendere veramente e con alibi precisi dall'accusa di spie, dicevano che erano iscritti al fascio ma null'altro. Terminate le finte esecuzioni, rimaneva da processare la donna accusatrice. Certamente l'unica che poteva essere accusata di spionaggio.
Aveva fatto capire che era soddisfatta delle esecuzioni e non riusciva a nascondere la gioia di essere stata vendicata. Ma il suo senso di esultanza cessò quando Vitò ordinò di ripresentare al tavolo del processo gli uomini che in realtà non erano stati fucilati. La donna rimase confusa, spaventata. Interrogata nuovamente non seppe dire il perchè aveva accusato quegli innocenti. Nel suo cuore allignava odio e disprezzo per l'altrui felicità.
I rivivi, che avevano scampato la vita, si accanirono contro la donna accusandola di ogni azione vile contro molte persone di Pigna. Era avvilita che il suo amante fosse stato ucciso come suo marito. Si vendicava cercando il male altrui. I finti fucilati avevano avuto uno choc nervoso deprimente, ma alla vista dell'accusatrice ora sotto accusa, tentarono di scagliarsi addosso.
Vitò evitò il linciaggio.
"Voi siete dei semplici cittadini e non potete sostituirvi alla legge, sia pure di guerra. In questo momento sono io il giudice".
I poveretti, estenuati dalle forti emozioni manifestavano un collasso preoccupante. Bisognava assisterli. Il vento della morte aveva colpito i loro corpi e li aveva quasi raggelati.
Vitò offrì a tutti del cognac perchè si riprendessero.
"Quanto mi rincresceva vedere il mio cognac consumarsi! Era per me e per i miei uomini una fonte sicura di rianimazione nei momenti di depressione. Non avevo altro ed era difficile poterne procurare. Credo che quei fortunati scampati alla morte si ricorderanno ancora ora del mio cognac".
La donna, trovata colpevole di spionaggio, amante del sergente spia, fu fucilata. Il ricordo del fatto fece pronunciare a Vitò: "Io mi sentivo un combattente e non un giudice. Pregai il Comando di Divisione di togliermi quell'attributo e di darlo ad altri.
«L'umanissimo Vitò», diceva Erven [Bruno Luppi].
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
Instaurammo un processo. Era presente Fragola-Doria, avvocato, che avrebbe potuto imbastire meglio la causa. Non ho pensato a questa possibilità. Non avevo nemmeno tempo perchè era giunto un avviso che c'era un rastrellamento in atto.
Non potevamo sapere con precisione se le accuse erano fondate o no. Condannare degli innocenti non era affatto mio intendimento. Capisco che facemmo le cose con una certa premura. Era un po' crudele, ma pure bisognava agire. Quella donna accusava senza sosta e sempre più accanitamente.
Accusava con precisi riferimenti di luoghi e di persone. Gli accusati ammettevano di essere fascisti, o almeno di avere la tessera del fascismo per ragioni di lavoro, ma affermavano che non erano spie e che non intendevano danneggiare nessuno. Pensavo che tra i tredici qualcuno era spia, ma non potevo condannarlo senza prove. Fingemmo delle esecuzioni iniziando da quelli che mi parevano i più innocenti. Si condannava uno, gli si faceva firmare una dichiarazione, e lo si portava in luogo discosto da quello del processo. Dietro un cespuglio i partigiani, da me istruiti, sparavano, fingendo una fucilazione e costringevano quello a sdraiarsi con la farsa di essere sepolto.
Dal luogo del processo si vedeva la terra smossa e si mettevano le sue scarpe in vista. Ognuno le vedeva".
Raccontare ora è niente, non si prova nessuna emozione, ma vivere quei momenti nella realtà, produceva una sensazione di angoscia e, diciamolo pure, di spavento.
Nessuno dei tredici si seppe difendere veramente e con alibi precisi dall'accusa di spie, dicevano che erano iscritti al fascio ma null'altro. Terminate le finte esecuzioni, rimaneva da processare la donna accusatrice. Certamente l'unica che poteva essere accusata di spionaggio.
Aveva fatto capire che era soddisfatta delle esecuzioni e non riusciva a nascondere la gioia di essere stata vendicata. Ma il suo senso di esultanza cessò quando Vitò ordinò di ripresentare al tavolo del processo gli uomini che in realtà non erano stati fucilati. La donna rimase confusa, spaventata. Interrogata nuovamente non seppe dire il perchè aveva accusato quegli innocenti. Nel suo cuore allignava odio e disprezzo per l'altrui felicità.
I rivivi, che avevano scampato la vita, si accanirono contro la donna accusandola di ogni azione vile contro molte persone di Pigna. Era avvilita che il suo amante fosse stato ucciso come suo marito. Si vendicava cercando il male altrui. I finti fucilati avevano avuto uno choc nervoso deprimente, ma alla vista dell'accusatrice ora sotto accusa, tentarono di scagliarsi addosso.
Vitò evitò il linciaggio.
"Voi siete dei semplici cittadini e non potete sostituirvi alla legge, sia pure di guerra. In questo momento sono io il giudice".
I poveretti, estenuati dalle forti emozioni manifestavano un collasso preoccupante. Bisognava assisterli. Il vento della morte aveva colpito i loro corpi e li aveva quasi raggelati.
Vitò offrì a tutti del cognac perchè si riprendessero.
"Quanto mi rincresceva vedere il mio cognac consumarsi! Era per me e per i miei uomini una fonte sicura di rianimazione nei momenti di depressione. Non avevo altro ed era difficile poterne procurare. Credo che quei fortunati scampati alla morte si ricorderanno ancora ora del mio cognac".
La donna, trovata colpevole di spionaggio, amante del sergente spia, fu fucilata. Il ricordo del fatto fece pronunciare a Vitò: "Io mi sentivo un combattente e non un giudice. Pregai il Comando di Divisione di togliermi quell'attributo e di darlo ad altri.
«L'umanissimo Vitò», diceva Erven [Bruno Luppi].
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
[n.d.r.: Paolo Veziano, nel libro cit. infra, da cui qui si traggono brani pertinenti, fornisce ulteriori dati, tra cui nome e cognome, di questa donna, delatrice dei partigiani]
Anna Grillo, proprietaria dell'Albergo Viaggiatori di Pigna, fu arrestata - circostanza non casuale - il 2 settembre, giorno dell'arresto di "Fuoco", perché considerata un'attiva spia. Due giorni dopo ammise di essere in contatto con l'agente Golia dell'Ufficio Politico Investigativo (UPI), al quale trasmetteva i nominativi di persone sospettate di appartenere a bande partigiane. Dichiarò di avere fornito notizie in merito al partigiano "Tommaso" sul quale pendeva una taglia di £. 25.000. <138
Su suggerimento di Golia in marzo, servendosi di un pretesto, si era spinta sulle colline circostanti per conscere la dislocazione delle formazioni.
Rivelò infine il suo numero di matricola dell'ufficio al quale apparteneva: Z74.
Anna Grillo fu giustiziata il 4 settembre alle ore 11.00. < 139
Nel capitolo Il processo ai tredici di Pigna Ermando Micheletto impiega una testimonianza di "Ivano" ["Vitò"] per svelare i retroscena della drammatica vicenda di un gruppo di persone tra le quali una donna che risponde certamente al nome di Anna Grillo.
138 Archivio ISRECIM, Sezione I, cart. L128, Servizio SIM V brigata a SIM divisionale, Relazione sull'interrogatorio e sull'esecuzione di Anna Grillo.
139 Ibidem
Paolo Veziano, Giustizia partigiana in La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020, pp. 126,127
Su suggerimento di Golia in marzo, servendosi di un pretesto, si era spinta sulle colline circostanti per conscere la dislocazione delle formazioni.
Rivelò infine il suo numero di matricola dell'ufficio al quale apparteneva: Z74.
Anna Grillo fu giustiziata il 4 settembre alle ore 11.00. < 139
Nel capitolo Il processo ai tredici di Pigna Ermando Micheletto impiega una testimonianza di "Ivano" ["Vitò"] per svelare i retroscena della drammatica vicenda di un gruppo di persone tra le quali una donna che risponde certamente al nome di Anna Grillo.
138 Archivio ISRECIM, Sezione I, cart. L128, Servizio SIM V brigata a SIM divisionale, Relazione sull'interrogatorio e sull'esecuzione di Anna Grillo.
139 Ibidem
Paolo Veziano, Giustizia partigiana in La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020, pp. 126,127
[ nd.r.: tra i lavori di Paolo Veziano si segnalano: Paolo Veziano, Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, ed. Fusta, 2014; Paolo Veziano, Sanremo. Una nuova comunità ebraica nell'Italia fascista. 1937-1945, Diabasis, 2007; Paolo Veziano, Ombre di confine: l'emigrazione clandestina degli ebrei stranieri dalla Riviera dei fiori verso la Costa azzurra, 1938-1940, Alzani, 2001 ]