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Il soggiorno di Ada e Lidia Marchesi presso la villa di Porcheddu durò fino al 24 gennaio 1945. Alcune segnalazioni e allarmi giunti dalla rete informativa consigliarono di mutare nascondiglio.
A Ventimiglia, fra il '43 e il '45, nei pressi della stazione ferroviaria e di fronte alla chiesa principale, vi era un albergo-pensione gestito da Maria Pisano. L'albergo fu meta e passaggio di molte operazioni di espatrio clandestino di ebrei verso la Francia, di rifugio di antifascisti e resistenti, di incontro fra partigiani e missioni alleate. Maria Pisano era originaria di Apricale, località nell'entroterra ligure. Aveva sposato Giobatta Littardi di Pigna, altra località poco distante. La Pisano nascose nella propria casa di Apricale la signora Ada e la figlia Lidia Marchesi sotto il falso cognome di Mendelsoni, fino al mese di aprile 1945. Apricale era una località più sicura, non oggetto di rappresaglie tedesche e controlli fascisti. Vi era infatti un intreccio di rapporti famigliari che forse motivarono la maggior sicurezza. Enrico Littardi, figlio di Maria Pisano e di Giobatta Littardi, sposò Paola, figlia dei titolari di una nota vetreria artistica tedesca operante a Torino, la Vetreria Jorger-Faholaber. Proprio per questi rapporti con una vetreria tedesca, Apricale venne ritenuta oasi di non particolare osservazione nazifascista.
Sergio Favretto, Il Piccolo, venerdì 16 ottobre 2020
[Alcune pubblicazioni di Sergio Favretto: Con la Resistenza. Intelligence e missioni alleate sulla costa ligure, Seb27, Torino, 2019; Fenoglio verso il 25 aprile, Falsopiano, 2015; La Resistenza nel Valenzano. L’eccidio della Banda Lenti, Comune di Valenza, 2012; Resistenza e nuova coscienza civile. Fatti e protagonisti nel Monferrato casalese, Falsopiano, 2009; Giuseppe Brusasca: radicale antifascismo e servizio alle istituzioni, Atti convegno di studi a Casale Monferrato, maggio 2006; Casale Partigiana: fatti e personaggi della resistenza nel Casalese, Libertas Club, 1977 ]
Era una struttura privata e segretissima, una formidabile arma occulta
della Resistenza. Operava fra Padova e la Svizzera, attraverso lo snodo
fondamentale di Milano.
Era una raffinata, organizzata, capillare rete informativa coi tentacoli
stesi fra il nemico, collegata ai servizi d’informazione elvetici,
inglesi (Soe) e americani (Oss) fra Lugano e Berna, capace di alimentare
tutti quegli aiuti di cui avevano estremo bisogno le formazioni
partigiane che si stavano organizzando dopo l’8 settembre.
Una rete clandestina che portava curiosamente il nome delle sillabe
iniziali di due straordinari personaggi della vita culturale e politica
del tempo. I due fondatori: Ezio Franceschini e Concetto Marchesi.
Questo oggetto semisconosciuto della recente storia patria si chiamava “Gruppo Fra.Ma”.
La dirigevano con saggezza e prudenza, un cattolico e un comunista, il
primo discepolo dell’altro sui banchi storici di quella Università di
Padova dove, il secondo, Concetto Marchesi, il 1° dicembre 1943 prima di
lasciarne la guida (era il rettore magnifico) lanciò agli studenti il
famoso messaggio con cui li invitava a prendere il fucile e lottare per
la libertà contro la tirannide.
[…] quello che sarebbe di lì a poco nato sotto la spinta di Ezio
Franceschini quasi in modo occasionale sull’esperienza avviata da un
cappuccino, padre Carlo Varischi, assistente alla Cattolica che a Milano
aveva organizzato con successo un ufficio clandestino di falsificazione
di documenti per l’espatrio di antifascisti ed ebrei.
Costretto alla fuga per non essere arrestato, Varisco affidò a Franceschini il servizio.
Fu il primo passo verso il “Gruppo Frama” che prese corpo mentre
Marchesi a Padova viveva i suoi ultimi giorni da uomo libero, ricercato
com’era dai nazifascisti (si era dimesso il 28 novembre), dopo l’appello
pubblico rivolto agli studenti.
Franceschini non perse tempo: andò in Toscana, fra Lucca e Pisa, ad
informare la moglie e la figlia di Marchesi perché si mettessero in
salvo; organizzò la clandestinità di Marchesi a Padova sottraendolo al
rischio dell’arresto dall’appartamentino di via Marsala 35 dove, per una
disattenzione, aveva lasciato tracce utili ai suoi inseguitori (l’uomo
non sapeva fra l’altro maneggiare un’arma, camuffarsi, stare
tranquillo); studiò il trasferimento a Milano il 29 novembre (vedi la
testimonianza di Paride Brunetti, comandante partigiano della brigata
“Gramsci” nel Bellunese) dove soggiornò fino al 9 febbraio 1944 in un
appartamento in viale Regina Elena 40 (ora Tunisia); favorì il passaggio
in Svizzera (con il fratello Salvatore), su cui il Pci espresse il suo
accordo pur affermando di non poter essere in grado di fornirgli un
passaggio sicuro, che Franceschini da par suo trovò, consentendo al
“maestro” (che non ne aveva molta voglia) di trovare ospitalità in
Canton Ticino dal valico pedonale di Maslianico, presso Como, il 9
febbraio 1944, dopo un fallito tentativo due giorni prima. […]
Franco Giannantoni, Il Gruppo “FRAMA”. Il comunista Marchesi e il cattolico Franceschini: una rete nella Resistenza, Triangolo Rosso n. 1-2, gennaio-marzo 2008 - ANED
Nel gennaio 1945 la Signora Marchesi, moglie del capo comunista Concetto Marchesi, e la figlia sposata Mendelssohn con un ebreo americano, venivano ricoverate in casa mia coll’aiuto del dott. Marchesi, fratello di Concetto; esse sottostavano alla taglia di 1 milione, già applicata a Concetto Marchesi; fuggito questo in Svizzera le sue familiari rilevarono il funesto privilegio.
Esse restarono in casa mia 25 giorni mentre ivi albergavano pure i 2 ufficiali inglesi; la prudenza e infinite cautele oltre al volere degli ospiti stranieri ci obbligarono ad occultare la presenza di questi alle signore Marchesi: e ci riuscimmo.
Il 24 gennaio il dott. Marchesi precipitatosi in casa mia comunicò che i tedeschi dovevan partire entro 2 giorni, prelevando tutti i designati ostaggi di cui io risultai capolista.
Si impose una fuga generale; Marchesi collocò altrove cognata e nipote, noi ci rifugiammo nella villa di Kurt Hermann… nazista, naturalmente a sua insaputa: i 2 ufficiali inglesi, guidati da mio figlio pei monti, di notte, raggiunsero rifugi ignoti, mentre mio figlio scendeva la costa in attesa degli avvenimenti.
La notizia dataci risultò imprecisa, chè la fuga tedesca tardò ancora 3 mesi.
Ma i 2 inglesi dopo romanzesche avventure in montagna e sulla costa di Vallecrosia raggiunsero la Francia e si misero finalmente al sicuro.
Giuseppe Porcheddu, manoscritto (documento IsrecIm) edito in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019