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Targa franco-italiana collocata nei pressi dell’Albarea. Fonte: Giovanni Quaranta, art. cit. infra |
Grande, e troppo spesso dimenticato, fu il contributo dei meridionali alla lotta di Liberazione contro il fascismo ed il nazismo. Tantissimi giovani e meno giovani sacrificarono la loro vita in territorio italiano e all'estero per affermare quei principi di libertà che sono alla base delle moderne civiltà.
In questo breve scritto, ci occuperemo delle vicende legate alla morte di tre calabresi, tutti originari della Piana di Gioia Tauro, che trovarono la morte in territorio francese.
La prima
storia parte dal giugno del 1944 e si sviluppa sulle alture del monte Grammondo, dove passa il confine franco-italiano e dove diverse decine di giovani francesi e italiani (della valle di Ventimiglia), si radunarono. A metà luglio, un reparto di partigiani italiani liguri si stabilì sotto il Monte Grammondo, intorno alla fattoria L'Albarea, a circa sei chilometri dal villaggio di Sospel (nelle Alpi Marittime). Il distaccamento era quello di Ernesto Corradi <1, detto “Nettu”, che era partito a metà giugno da Case Agnesi o “Prati Piani”, località vicina a Costa di Carpasio e a Colle d'Oggia. Quando Nettu si era trasferito da Case Agnesi al Grammondo, alcuni partigiani, per non allontanarsi troppo da Imperia, si erano separati da lui; altri ne aveva reclutati sul posto. Ed infatti, al gruppo di italiani, ben presto, si aggiunsero altri quattro volontari francesi da Breil, Roquebrune-Cap Martin e Sospel, e da ciò la formazione prese il soprannome di “macchia franco-italiana de L'Albarea”.
Avvertito rapidamente il problema cruciale di sfamare più di quindici giovani combattenti, si decise di trovare una rapida soluzione. Fu un giovane partigiano di Sospel a dire che la sua famiglia possedeva una fattoria nel cuore dell'Albarea (famiglia Curti), luogo più ospitale in un bosco di castagni e che gli agricoltori della valle sicuramente avrebbero contribuito all'approvvigionamento.
Nella mattinata del 9 agosto il 7° Distaccamento della V Brigata Garibaldi “L. Nuvoloni”, mentre era acquartierato in un casone presso la località “Fontana Fredda”, venne sorpreso da un rastrellamento dalle forze tedesche (convergenti da Sospel, Breil, Ventimiglia e Menton). Le colonne germaniche riuscivano ad accerchiare i garibaldini che combattevano insieme ad alcuni francesi delle formazioni denominate “Chasseurs des Alpes”. Il violento attacco veniva contenuto per oltre un'ora ed i garibaldini, asserragliati, si difesero con accanimento, ma poi dovettero cedere sopraffatti dal preponderante numero degli avversari. Rimasero sul campo due partigiani <2, mentre un terzo <3 gravemente ferito morirà in seguito. Solo in due riuscirono a fuggire. Invece i partigiani catturati vivi <4, che assommavano a quindici, condotti a Sospel, per due giorni e tre notti furono sottoposti ad orrende torture, ma nessuno rivelò un solo nome dei compagni o una sola località che interessasse gli aguzzini <5.
Le fasi della cattura vennero così raccontate dal partigiano Giorgio Lavagna: «Il 9 agosto '44 Osvaldo Lorenzi, con alcuni giovani, si trova negli alloggiamenti sul Monte Grammondo, intento alla preparazione del pranzo. All'arrivo improvviso dei tedeschi, le vedette non fanno in tempo ad avvertire; riescono a stento a mettersi in salvo. I partigiani, che sono nella baracca dell'accampamento, vengono sorpresi e catturati: poco prima della cattura, uno di essi chiede al Lorenzi di coprirlo col fieno, sebbene si pensi che la baracca verrà incendiata; il Lorenzi lo nasconde; la baracca, come si temeva, viene data alle fiamme; ciò nonostante il partigiano farà in tempo a mettersi in salvo. Gli altri, fra cui il Lorenzi, mentre cercano di fuggire, capitano fra i tedeschi, e sono catturati vicino agli alloggiamenti, nel bosco dell'Alborea, che è parte del bosco di Sospel, sul pendio del Grammondo rivolto verso la Francia» <6.
Importante è anche la testimonianza di Benoit Gaziello, il quale così raccontò quei terribili eventi: «I tedeschi, dal megafono, chiedono ai superstiti di arrendersi e deporre le armi. Non avendo scelta, obbediscono. Essi non sono consapevoli del destino a loro riservato. Ma prima di condurli alla caserma li obbligano a togliersi le scarpe e legano loro le mani dietro la schiena. Sono a piedi nudi sul sentiero sassoso e spinoso. Due ore più tardi, dove saranno incarcerati a Sospel nella caserma Salel. Le porte dell'inferno si chiudono su di loro! La lunga agonia ha inizio, interrogatori di giorno e notte, senza cibo o bevande, torture, pestaggi con un grosso bastone di legno verde con la corteccia che si strappa e viene coperta di sangue... I Sospellesi, che hanno vissuto questi momenti, ricordano ancora i lamenti e le grida dei carnefici, le urla di dolore, le grida di aiuto. Diede loro il brivido della paura. Questo trattamento ignobile dura [...] Il sindaco del momento, il signor Domerego, interviene presso l'occupante, al fine di porre fine a questa tortura. Nulla può e i barbari rifiutano. Tutte le raffinatezze di crudeltà sono e vengono attuate e, infine, annunciano alle loro vittime che erano liberi e potevano uscire. In piedi, insieme, i partigiani si diressero verso l'uscita ma arrivati in mezzo al percorso i tedeschi liberano i cani che, come belve, si scagliano sui malcapitati, piantando i loro denti nelle carni lacerate, eccitati dai loro padroni e accompagnandoli con le risate. Con questo trattamento, mancanza di cibo, e il calore di agosto, che aiutano le infezioni e le malattie, sono dei morti viventi che, sabato 12 agosto 1944, i tedeschi caricano su un carro. Povera umanità, povero mondo! Quale immagine ci dai in questo momento! Circondato da un plotone d'esecuzione, il sinistro corteo traversa tutta Sospel per arrivare al capanno della cooperativa. Il corteo viaggia in una città tremante di paura, ma che stringe i pugni. Persiane chiuse, le donne si inginocchiano nelle loro case, si fanno il segno della croce e pregano. Non un grido, non un pianto dalla bara ambulante. Nel cortile della cooperativa, i nazisti scaricano questi mezzi morti e li assassinano per la seconda volta fucilandoli e i loro corpi vengono abbandonati nella piazza di Sospel» <6.
Il 12 agosto 1944, intorno alle 11.30, un tribunale militare di fortuna li ha condannati a morte e, verso le tre di pomeriggio, sono stati giustiziati in gruppi di tre, nel cortile della cooperativa agricola, dietro la stazione ferroviaria. La popolazione si prese cura dei loro corpi e li trasportò al cimitero dove furono lavati e messi in bare, nonostante le istruzioni del comandante tedesco, che li voleva sepolti nella fossa comune.
La memoria dei “Martiri di Sospel” venne affidata a partire dall'estate del 1945 ad una lapide collocata nel luogo dell'esecuzione e ad un monumento con i nomi e le foto che fu eretto nel cimitero <8. Di recente, un'altra targa franco-italiana è stata collocata nei pressi del luogo della cattura dei partigiani sull'Albarea.
Tra queste vittime della barbarie della guerra, provenienti da diverse zone della Francia e dell'Italia, accomunati da un destino comune, trovarono la morte due calabresi: Armando Ferraro e Bruno Larosa.
Armando Ferraro <9 era nato ad Anoia il 18 aprile 1926 da Michele e Mariantonia Ioppolo. La famiglia visse ad Anoia nella casa di via Vittorio Veneto al n. 36 fino al 19 novembre 1939 <10, quando tutti i componenti si trasferirono nel comune di Vallecrosia, in provincia di Imperia <11. Da un certificato di situazione di famiglia rilasciato da quel municipio ligure nel giugno del 1946 risulta che la famiglia risiedeva in via Colonnello Aprosio al n. 184 ed era composta, oltre che dai genitori <12, da sei figli maschi ed una femmina <13. Il padre lavorava da calzolaio, la mamma era casalinga e praticava il commercio ambulante di fiori. Armando era celibe, aveva conseguito il terzo anno della scuola d'avviamento e lavorava - così come il fratello maggiore Domenico - come ferroviere. Dal 13 luglio 1944 (periodo di costituzione della 5a brigata <14), da civile, partecipò attivamente alla lotta partigiana con il nome di battaglia di “Cobra” nelle fila del Distaccamento “Nettu”, appartenente alla 5a Brigata d'Assalto “Luigi Nuvoloni” della 2a Divisione Garibaldi “Felice Cascione”.
Nella stessa formazione partigiana, dal 5 marzo 1944, militò anche Bruno Salvatore Giuseppe Larosa <15. Contadino, era nato a Giffone il 12 dicembre 1911 da Raffaele e Pasqualina Larosa. Soldato di lungo corso, era stato arruolato nel Regio Esercito <16 nelle fila del 50° Reggimento di fanteria il 16 marzo 1932 dal quale venne congedato il 1° settembre 1933. Il 13 aprile 1935 venne richiamato presso il 20° Reggimento di fanteria e da qui, il 1° giugno successivo venne trasferito al 244° Reggimento di fanteria. Da questo reparto venne definitivamente congedato il 1° luglio 1936. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Larosa venne nuovamente richiamato alle armi ed il 5 dicembre 1940 giunse in territorio dichiarato in stato di guerra alle dipendenze del 208° Reggimento di fanteria. Il 31 dicembre successivo venne assegnato alla Batteria Complementare del reggimento. Il 9 marzo 1941 si imbarcò da Brindisi per raggiungere l'Albania ed il giorno successivo sbarcò a Durazzo. Terminate le ostilità con la Grecia, il 16 luglio 1941 il reparto si trasferì in Montenegro, partendo da Durazzo con il piroscafo “Puttini” e sbarcando lo stesso giorno ad Antivari. I reparti del 208° vennero impegnati in operazioni di rastrellamento, scontrandosi in intensi combattimenti contro le forze partigiane. Dopo un anno, il 30 agosto 1942, rientrò in Italia sbarcando al porto di Bari da dove la Divisione “Taro” venne trasferita nella zona di Alessandria-Novi Ligure. Dopo qualche mese, il 27 novembre 1942, venne dislocata in territorio francese nel settore a nord di Tolone dove assunse, oltre al controllo del territorio interno, anche la vigilanza della fascia costiera tra Capo Brun e Capo Cavalaire, rimanendovi fino a quando subì le conseguenze degli eventi scaturiti dalla proclamazione dell'armistizio (8 settembre 1943). A quella data Larosa risultava in forza al 208° Reggimento di fanteria, 3° Battaglione, 11a Compagnia, P.M. n. 41, con l'incarico di Conducente (di muli). La notizia della morte di Bruno Larosa arrivò ai parenti in Calabria nel settembre del 1945 grazie al partigiano Bruno Taulaigo di Livorno <17. Il sindaco di Giffone dell'epoca, il 26 settembre, si affrettò a scrivere al Comando del VII Distaccamento partigiano in Sanremo per chiedere conferma del decesso senza ricevere riscontro. Il 28 ottobre 1947, il sindaco di Giffone scriveva alla “Commissione per il riconoscimento qualifiche ai Partigiani liguri” di Imperia per chiedere tutte le notizie circa la morte del Larosa «dato che fin'ora nessuna notizia si è avuta». La risposta, questa volta, non tardò ad arrivare: il 14 novembre si ebbe la conferma della morte con le notizie sulle circostanze che la determinarono. Dalla documentazione che intercorse tra la Calabria e la Liguria, si evince che Bruno Larosa abitava a Giffone in via Castagnari n. 3, era coniugato con Maria Assunta Valenzisi del fu Giuseppe ed aveva un bambino, Antonio Giuseppe di 3 anni [...].
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Armando Ferraro e Bruno Larosa. Fonte: Giovanni Quaranta, art. cit. infra |
[NOTE]
1 ILSREC - ISTITUTO LIGURE PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELL’ETÀ CONTEMPORANEA “RAIMONDO RICCI”, Banca dati del partigianato ligure. Ernesto Corradi era nato il 02.10.1894 a Torazza (BI), da Bartolomeo e Angela Pastorello. Da civile partecipò alla lotta partigiana dal 01.05.1944 come comandante di distaccamento. Abitava ad Imperia.
2 Il caposquadra Dardano Sauro e Giovanni Vesco.
3 Emilio Pizzol.
4 Michele Badino, “Fontana”, operaio, nato a Sanremo (IM) nel 1919; Antonio Bazzocco, “Antua”, nato a Fonzaso (BL) nel 1910; Adolphe (Joseph) Faldella, “Moustique”, marinaio della Marina francese, nato a Roquebrune-Cap Martin (Alpi Marittime) nel 1921; Oreste Fanti, “Fortunato”, carpentiere, nato a Sanremo (IM) nel 1924; Armando Ferraro, “Cobra”, ferroviere, nato ad Anoia (RC) nel 1926; Sergio Franceschi, “Bufalo”, carrista, nato a Castelbaldo (PD) nel 1926; Pietro Gavini, “Barin”, ex militare, panettiere, nato a Gravedona ed Uniti (CO) nel 1918; Bruno La Rosa, “Bruno”, ex militare, contadino, nato a Giffone (RC) nel 1911; Osvaldo Lorenzi, “Osvaldo”, ex militare, studente universitario, nato a Imperia nel 1918; Luigi Martini, “Dante”, impiegato, nato a Pigna (IM) nel 1922; Bruno Pistone, “Montana”, muratore, nato a Sanremo (IM) nel 1925; Alberto Quadretti, ex militare, nato a Medesano (PR) nel 1920; Marius Rostagni, apprendista, nato a Breil (Alpes-Maritimes) nel 1924; Mario Tironi (detto Marius), operaio edile, nato a Sospel (Alpes-Maritimes) nel 1920; Jean Tolosano, operaio edile, nato a Roquebrune-Cap Martin (Alpes-Maritimes) nel 1907. Si segnala che, alla base del monumento del cimitero di Sospel, è collocata un’altra lapide con foto del caporal maggiore Mario Roncelli, nato nel 1920, “mort pour la France le 12 aout 1944” ma del quale non troviamo riscontro negli elenchi ufficiali dei fucilati.
5 FRANCESCO BIGA, Suggello di un patto di sangue tra Resistenza italiana e francese, in Patria Indipendente, 25 luglio 2004, pp. 19-20.
6 Storia della Resistenza imperiese (I Zona Liguria), Volume I di GIOVANNI STRATO, La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944 (rist.), Ed. Liguria, Savona 2005, pp. 243-244.
7 Le Maquis franco-italien de l’Albarea et le drame de Sospel, Association Azuréenne des Amis du Musée de la Résistance Nationale - Gilette (France), Documents Temoignages Recherches n. 12, pp. 9-10. Colgo l’occasione per ringraziare il
presidente “des Amis du Musée de la Résistance Azuréenne” Jean-Louis Panicacci (professore onorario dell’Università di Nizza) per avermi cortesemente inviato in data 13.06.2018 copia del prezioso opuscoletto.
8 Per le foto caduti: Archivio privato Giuseppe Fragalà; per le foto della lapide a Sospel: ARCHIVIO FOTOGRAFICO ISRECIM, Sezione I, cartelle 31‐32‐33.
9 Per i documenti partigiani: ARCHIVIO ISRECIM, Sezione II, cartella T 179, fascicolo personale Ferraro Armando.
10 COMUNE DI ANOIA, Anagrafe, Scheda Individuale di Ferraro Armando.
11 Il nome di Armando Ferraro è stato riportato per la prima volta nel mio libro I Caduti di Anoia di tutte le guerre (Amm. Comunale di Anoia, 2005, p. 50) nel quale venivano riportati gli estremi dell’atto di morte trascritto presso il comune di Vallecrosia (COMUNE DI VALLECROSIA, Stato Civile, Atti di morte, anno 1946, n. 1, parte II, serie C).
12 Il padre, Michele Ferraro era figlio di Domenico ed Emilia Mandarano ed era nato in Anoia il 26.03.1892; la madre, Mariantonia Ioppolo era figlia di Domenico e Caterina Auddino ed era nata in Anoia il 16.06.1897. Avevano contratto matrimonio in Anoia il 14.02.1920.
13 Domenico, nato in Anoia il 17.12.1924; Armando, nato in Anoia il 18.04.1926; Rinaldo, nato in Anoia il 18.07.1929; Aldo, nato in Anoia il 21.04.1931; Dante, nato in Anoia il 16.09.1932; Maria Dionisia, nata in Anoia il 18.06.1935;
Ettore, nato in Anoia il 19.02.1939.
14 La V Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”, Ed. Micheletto, Arma di Taggia, s.d., pp. 152-154.
15 Per i documenti partigiani: ARCHIVIO ISRECIM, Sezione II, cartella T 220, fascicolo personale La Rosa Bruno.
16 ARCHIVIO DI STATO DI REGGIO CALABRIA, Ruoli Matricolari vol. 460. Matricola 19.837 del Distretto Militare di Reggio Calabria. Dal documento si evince che Larosa era alto m. 1,69, aveva i capelli neri e lisci, naso “camuso”, mento ovale, occhi castani, colorito pallido, dentatura guasta. Non sapeva leggere né scrivere.
17 Abitante a Livorno in viale Diego Angioletti n. 38.
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I luoghi della fucilazione e della sepoltura a Sospel. Fonte: Giovanni Quaranta, art. cit. infra |
Giovanni Quaranta,
Calabresi della "Piana" vittime di eccidi nazisti in Francia, L'Alba
della Piana, novembre 2019